21.Continua. - Se fosse vera in
qualche parte quella tristissima teoria che tiene inevitabile in ogni cosa
umana la successione periodica dell'accrescimento, dello splendore culminante,
e della decadenza, certo ella dovrebbe esser vera principalmente in fatto
d'arti. Perciocché, mirando queste al diletto, ed uno de' maggiori diletti
umani consistendo certamente nella novitá, e la novitá dopo l'ottimo essendo
necessariamente men buona, pare immanchevole che dopo l'ottimo debba venire il
men buono e il cattivo. Eppure il fatto non fu sempre cosí, non fu, se non con
tante eccezioni e varietá, che ne rimane annientata la regola, la trista
teoria. Nella Grecia e nell'Italia antiche, per esempio, lo stile ottimo durò
parecchi secoli; in Egitto, nell'Indie, nella Cina non vi s'arrivò mai. E cosí
nell'Italia, feconda a tutto, quando non sieno troppo contrari i venti, feconda
principalmente a quell'arti che s'adattano meno male ai cattivi, nell'Italia
moderna decaddero sí la scuola primitiva toscana e le nuove romana, veneziana e
lombarda, ma sorse e risplendette la nuova scuola bolognese, che non si può dir
né culminante né decadente; e la decadenza vera non incominciò se non dopo
questo periodo secondo di splendore. Lasciamo dire i tristi profeti; la natura
umana non è infinita per certo, ma è pur certamente indefinita; e in arti
principalmente ella può trovar del nuovo e bello senza fine, purché non
s'abbassi, non s'avvilisca, non si faccia incapace essa stessa. Del resto, essendosi
avanzata l'arte incipiente in ciascuna delle scuole italiane con una virtú
principale e distinta, l'arte giá progredita non poteva guari progredire
ulteriormente se non ecletticamente, scegliendo il buono d'ogni scuola antica o
nuova; le imitazioni delle virtú primitive son sempre affettazioni, e
somigliano al bamboleggiar de' vecchi. Ciò intesero, od anzi a ciò furono
portati da lor natura e lor tempo, i nostri artisti bolognesi; ed a ciò, del
resto, i loro contemporanei spagnuoli e francesi. Fondatori di quella scuola
eclettica che non si dee dir derivata veramente né dal Francia né da altri piú
antichi, furono Ludovico Caracci [1555-1619] e i due cugini di lui, fratelli
tra sé, Agostino [1558-1601] ed Annibale [1560-1609], oltre altri di quella privilegiata
famiglia. Seguirono Guido Reni [1575-1642], Albano [1578-1660], Domenichino
[1581-1641], Guercino [1590- 1666], tutti grandi, oltre una schiera di minori,
fino intorno alla metá del secolo decimosettimo. Allora solamente decadde
questa scuola e con essa tutta l'arte italiana. Perciocché eran decadute
l'altre intanto; la toscana dopo Michelangelo e il Vasari che dicemmo, e il
Bronzino [1502-1570]; benché vi risplendessero ancora Pietro da Cortona
[1596-1669], e il Dolci [1616-1686]. La veneziana decadde giá coi Bassano
[1510-1592], il Palma giovane [1544-1628?] e il Padovanino [1590-1650]. La
romana, decaduta giá dopo Raffaello, decaduta piú dopo la morte degli allievi
di lui, decadde peggio che mai dopo la generazione terza, che fu del Baroccio [1528-1612],
Michelangelo da Caravaggio [1569-1609], e Carlo Maratta [1625-1713]. E dieron
lampi la scuola napoletana per Salvator Rosa [1615-1673] e Luca Giordano
[1632-1705]; la genovese per Luca Cambiaso [1527-1585]; e la piemontese stessa
per Moncalvo [1568-1625]. - La scoltura, portata da Michelangelo ad uno stile
piú ardito e grande che non puro e posato come l'antico, decadde tanto piú
presto; le arditezze e le esagerazioni furono portate al colmo dall'Algardi
[1602-1654], e massime dal Bernino [1598-1680]. I quali poi insieme col
Borromini [1599-1667], il Guarini [1624-1688] e parecchi altri, portando i
medesimi vizi nell'architettura, fecero peggiorar questa, oltre l'altre due
arti sorelle; e secondati dalle magnificenze de' principi, de' grandi e de'
religiosi di que' tempi, moltiplicarono in Italia que' palazzi, quelle ville,
quelle chiese, il cui stile fu vituperato giá (or quasi rionorato per istrano
capriccio) sotto nome di «barocco». E fu di tale stile guastata la facciata
stessa di San Pietro; ma se ne salvò per felice eccezione il Bernino nella
colonnata che le serve di pronao. - La musica all'incontro (la piú cortigiana
dell'arti senza paragone) progredí indubitabilmente in questi tempi. Ma forse
s'ammollí passando dalla chiesa ai teatro. Moltiplicaronsi le opere in musica
lungo tutta la seconda metá del secolo decimosesto. Perfezionaronsi
coll'invenzione del recitativo, or quasi sbandito. L'Euridice del Peri,
cantata nel 1600 a Firenze, ha nome (pur disputato) di prima opera cosí
compiuta. E in esse e nella musica di chiesa risplendettero, Carissimi,
Mazzocchi, Allegri [1640], Scarlatti [1650-1725]. Il famoso Miserere
della cappella pontificia è dell'Allegri. Né questo fu tuttavia il secolo d'oro
della musica italiana. Giá l'accennammo, fu riservata siffatta consolazione,
qualunque sia, ai nostri dí.
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