23.
Il terzo
periodo della presente etá in generale [1700-1814]. - L'ingrata necessitá di essere troppo brevi
ci fece finora accennare e dividere i fatti italiani da sé, senza accennar le
relazioni di essi co' fatti stranieri. Ma questo non ci è piú possibile
trattando del secolo decimottavo e del principio del decimonono. Né i motivi
delle guerre, né le guerre né le paci, che mutarono continuamente l'Italia, non
furono piú italiane. Quattro guerre e quattro paci si fecero nella prima metá
del secolo decimottavo; due, per la successione di Spagna; due, per quelle di
Polonia e di Austria; poi, dopo una lunga pace, una serie di guerre per la
rivoluzione e per l'imperio francese. Qualunque divisione di que' tempi si
facesse indipendentemente da questi grandi eventi europei, genererebbe
confusione od anzi falsitá d'idee ne' leggitori. Non pochi sono a' nostri dí,
governanti e governati, conservatori e progressisti italiani, i quali hanno la
funesta smania dell'isolamento d'Italia, del trascurare ed ignorar
volontariamente le condizioni, gl'interessi, le opinioni e quasi l'esistenza di
quant'è straniero, o, come dicono con inconcepibil disprezzo, di quant'è
oltremontano ed oltremarino. Ma noi (che speriamo non esser sospetti, in fatto
almeno di nazionalitá ed indipendenza, e che ci esponiam volentieri ad esser
detti uomini d'una sola idea e d'un sol libro), crediamo, all'incontro, essere
due cose assolutamente diverse e talor contrarie, indipendenza ed isolamento.
Il fatto sta, che quegli ultimi avi nostri del secolo decimottavo, lontanissimi
essi dalle vane teorie dell'isolamento, intendentissimi anzi degli affari
europei, furono pur quelli, i quali seppero cosí prender tutte le buone
occasioni di guerra e di pace per liberarsi dalla potenza spagnuola, per scemar
l'austriaca sottentrata, per accrescer gli Stati italiani, e farli progredire
al segno dei piú avanzati contemporanei, sul continente. E quanto agli italiani
della fine del secolo decimottavo e del principio del decimonono, se non furono
superiori alle difficoltá, alle calamitá sorvenute, non ad altro forse è da
attribuire se non appunto alla lunga pace che li avea, lor malgrado forse,
isolati e disavvezzi dall'armi. - In tutto, noi ottocentisti abbiamo il vizio
di voler essere troppo grandi uomini, di non apprezzar se non grandezze
inarrivabili, di disprezzar quelle a che potremmo arrivar noi, ed arrivarono
quegli avi nostri. Il Settecento fu in Italia molto piú grande che non è
opinione volgare. Botta e Colletta hanno il merito di aver saputo andar oltre a
quell'opinione; ed io confesserò fin di qua di voler andar oltre essi ancora.
Non mai forse l'Italia progredí a un tratto tanto, come dal Seicento al
Settecento, in indipendenza, in ordini civili, in colture. Questi ultimi avi
nostri fecero lor ufficio, lor progressi, meglio che non molti antichi piú
lodati. Cosí facessimo noi i nostri! Cosí, tra' nostri stolti disprezzi de'
settecentisti, e le piú stolte ambizioni di assomigliarci ai cinquecentisti,
quattrocentisti o trecentisti, non corressimo il rischio di rimaner poco piú che
seicentisti. Ma di ciò, piú autorevoli che non noi, giudicheranno gli storici
futuri. Ed aspettiamovici pure: nostri o stranieri, ne giudicheranno, come
progrediti, severamente.
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