26.
Pace di
dodici anni; guerra della successione di Polonia [1720- 1735]. - Seguí una pace di dodici anni in
Europa. Re Vittorio ne approfittò ad ordinare il nuovo Stato di Sardegna, gli
antichi di Piemonte, l'istruzione pubblica principalmente, l'universitá di
Torino. il collegio delle province da lui fondato. Molti professori chiamò di
fuori. Guerriero egli soprattutto, ma gran principe in tutto, si compiaceva,
s'accerchiava degli uomini e massime de' ministri piú capaci in ogni cosa;
sentiva di rimaner superiore a chiunque, non solamente col grado, ma
coll'ingenita grandezza. L'Ormea fu ministro principale di lui e del figlio
poi; e fu allevato da lui il Bogino successor dell'Ormea. Fu donnaiuolo in
gioventú; e fatto vecchio e pio, volle sposare una gentildonna lungamente
amata, la contessa di San Sebastiano. E fosse poi vergogna di ciò effettuare
dal trono, o, come fu detto, imbroglio politico ove si fosse messo ed onde non
sapesse uscire, o stanchezza del lungo agitato regno, ad ogni modo lasciollo [3
settembre 1730] al figliuolo Carlo Emmanuele III, e si ritrasse privato a
Chambéry. Ma fosse ambizione della vecchia sposa, o propria ridestatasi tra
l'insueta inoperositá, passato appena un anno, venne a un tratto a Rivoli
presso Torino, e poi [25 settembre] a Moncalieri; e chiamato Del Borgo ministro
e notaio della corona, gli ridomandò l'atto della rinunzia, e nella notte
tentò, ma non gli riuscí, farsi dare la cittadella di Torino. Adunatosi,
agitatosi intanto il Consiglio di re Carlo, fu da questo dato ordine di
arrestare il padre. Eseguissi nella notte del 27 al 28; fu rapita la San
Sebastiano e condotta a Ceva; rapito e ricondotto a Rivoli, prigione del
figlio, il vecchio vincitor di tante battaglie. Infuriò, languí un anno;
domandò, ottenne riaver la moglie, tornare in Moncalieri; vi morí ai 31 ottobre
1732. Brutto fine, brutto principio di due belli e felici regni. - Il Piemonte
fu tra' paesi d'Italia quello che piú si avvantaggiò della pace. E tentavansi
riordinare pure Milano e il regno di Napoli e Sicilia dagli austriaci. Ma non
vi riuscivan guari essi, e come signori nuovi, e come stranieri; ed anche
perché, essendo Carlo VI imperatore senz'altra prole che due figliuole, egli e
suo governo attendevano a poco piú che ad assicurar la successione a Maria
Teresa, la prima di quelle, e n'agitavano la diplomazia di tutta Europa. -
Delle due grandi repubbliche, Venezia languiva sempre piú; si divertiva,
apprestava i carnovali a' gaudenti di tutta Europa: Genova, all'incontro, era
turbata dalle sollevazioni de' còrsi. Governati in modo assoluto, tirannico e
corrotto, come sogliono i sudditi non partecipanti al governo delle
repubbliche, scoppiarono nel settembre 1729 per una angaria fatta a un povero
vecchio nella riscossione de' tributi. Tumultuossi in vari luoghi, fecersi
assembramenti, levaronsi armi; due volte i sollevati assaliron Bastia e si
ritrassero. Governatori, capitani, pacieri nuovi vi furono invano mandati da
Genova. S'innalzarono, si mutarono parecchie volte i capipopolo. Finalmente,
brutto rimedio ad italiani contra italiani, piú brutto a un governo libero, i
genovesi chiamarono gli austriaci ad aiuto, ad arbitri; e venuti gli austriaci,
e fatto l'uno e l'altro ufficio, statuirono cessazioni d'armi, paci, indulti, e
di soprappiú una Camera imperiale, che giudicasse in appello tra sudditi còrsi
e signori genovesi [1732- 1733]; e cosí i signori ebber lor signoria diminuita,
e i sudditi lor sudditanza accresciuta d'una nuova supremazia; non insolito né
indegno fine di tali appelli. Ma durò poco quel cattivo accordo; risollevaronsi
i còrsi fin dal 1734, ed ordinaronsi nel 1735 piú che mai in istato
indipendente sotto a tre capi, Giaccaldi, Giafferi e Giacinto Paoli. - Tra gli
Estensi non fu novitá se non nell'anno 1737, che morí il duca Rinaldo e
successegli Francesco III. - In Roma, a Clemente XI [Albani], lungamente
pontificante fin dal 1700, succedettero Innocenzo XIII [Conti, 1721], Benedetto
XIII [Orsini, 1724] e Clemente XII [Corsini, 1730]; e tutti regnarono
tranquilli e virtuosi. - Agitatissimi, all'incontro, furono in questo tempo il
governo degli ultimi Medici e Farnesi in Toscana e Parma, per li patti fatti,
come dicemmo, nel 1720 dalle potenze straniere per quelle successioni. Non
consultati, non consenzienti, protestarono e negoziarono a lungo in tutta
Europa, inutilmente. In Toscana morí [31 ottobre 1723] Cosimo III Medici e
successegli suo figliuolo Gian Gastone, vecchio giá di cinquantadue anni, senza
figliuoli, e principe coltissimo, ma perdutissimo di costumi. Resistette gran
tempo alla successione dell'infante don Carlo; vi s'arrese finalmente per
trattato dei 25 luglio 1731, protestò contro segretamente, pretese (un po'
tardi) restituir la libertá fiorentina, ricevette guarnigioni straniere, e
finalmente l'infante, l'erede stesso [dicembre 1731]. - In Parma, morto il duca
Francesco addí 26 febbraio 1727, succedettegli il fratello Antonio vecchio di
cinquantasette anni, il quale protestò pur egli contro alla successione
impostagli, e prese moglie l'anno appresso ma non ebbe figliuoli, e morí al 10
gennaio 1731. Quindi gl'imperiali preser possesso del ducato, e lo diedero
secondo i trattati all'infante don Carlo, che vi venne in ottobre 1732. - Ma
questo fu il secolo delle successioni contrastate; e se alle piccole de'
principati italiani bastò la diplomazia, alle piú grosse furono necessarie le
guerre. Aprissi quella del regno di Polonia per la morte di Federigo Augusto di
Sassonia, succeduta addí 1 febbraio 1733. Ognuno sa che presso a quella nazione
valorosa, ma pur troppo impolitica, e perciò da gran tempo infelice, le
successioni regie si facevano nella impolitica forma delle elezioni. Due
competitori erano allora: Stanislao Leczinzki, giá stato re al principio del secolo
e cacciato poi per opera della Russia, ed Augusto elettor di Sassonia figlio
dell'ultimo. E perché in questa estrema imprudenza caddero di eleggersi i re
sotto influenze straniere, stavano, per il primo, Francia il cui re Luigi XV
avea sposata una figlia di lui; per il secondo, Carlo VI imperatore zio di lui,
e Russia antica nemica del primo. E perché quando Austria e Francia entrano in
guerra l'una contra l'altra, è inevitabile v'entri Italia o almeno casa Savoia
intermediaria, e cosí abbia a scegliere fra le due una alleata secondo il
proprio interesse; perciò re Carlo Emmanuele scelse Francia, che gli offriva la
conquista del desiderato Milanese. Fecesi in Torino [26 settembre] il trattato,
per cui oltre a quella conquista fu stipulato, che farebbesi pur quella di
Napoli e Sicilia, da darsi all'infante don Carlo che lascerebbe Parma e
Piacenza al fratello don Filippo. - Aprissi subito la guerra con una campagna
d'inverno. Il vecchio Villars condusse gli ausiliari francesi; re Carlo, tutto
l'esercito. Varcaron Ticino, entrarono in Pavia, in Milano [3 novembre];
n'assediarono e presero il castello, e Pizzighettone, Novara, Tortona, e via
via tutto il paese fino all'Oglio. Carlo Emmanuele s'intitolò duca di Milano.
Ma l'error suo qui, l'error forse di tutta sua vita, fu quella prudenza
eccessiva, che teme passar il segno del necessario. Non pensò che bisogna
conquistar due in guerra per serbar uno in pace. Si contentò di difender le
conquiste fatte, e rattenne i francesi che volevan pure spingere la guerra
oltre Oglio e Mincio, alle bocche del Tirolo, e cacciar gl'imperiali d'Italia.
Lo stesso ottuagenario Villars se ne disgustò; e partito per Francia morí per
via a Torino, deriso dai piú quasi rimbambito; ed era forse di spiriti piú
giovanili che non i derisori. Scese quindi tranquillo l'esercito austriaco
sotto Mercy, e si guerreggiò per quel ducato di Parma, che avrebbe dovuto esser
a spalle dell'esercito gallo-piemontese. E vinsero questi lí a Parma una gran
battaglia sotto il Coigny addí 29 giugno 1734, e s'avanzarono poi di lí in due
mesi e mezzo poche miglia fino alla Secchia. Dove, non guardandosi, furono
sorpresi e mezzo rotti a Quistello da Königseck [14 settembre]; e quindi si
ritrassero e pur rivinsero una gran battaglia a Guastalla [19 settembre]. Re
Carlo vi capitanò e vinse: e tornò quindi a Torino. Si posò l'inverno; si
rifece guerra l'anno appresso 1735, ma piú molle che mai, quantunque col
rinforzo d'un esercito spagnuolo, tornato giá dalla conquista di Napoli e
Sicilia. - Perciocché sin dal fine del 1733 era approdato in Toscana
quest'esercito spagnuolo, a capo di cui postosi l'infante don Carlo s'era mosso
per Roma contro a Napoli. Poca, quasi nessuna resistenza fecero il viceré
Visconti e i tedeschi, che erano pochi e sproveduti; ritrassersi a mezzodí
sull'Adriatico fino a Bari, ad aspettar rinforzi attraverso quel mare. Entrò
don Carlo in Napoli, applaudito, festeggiato, e da coloro che sempre sono
affetti a una signoria antica quantunque straniera e cattiva, e da que'
migliori che speravano un regno finalmente nazionale. E l'ebbero in effetto;
incominciò Carlo quella dinastia de' Borboni, che or buoni or cattivi son pur
diventati napoletani, italiani. Né s'indugiò qui come nell'Italia
settentrionale. Mosse subito il Montemar, capitano degli spagnuoli, contro ai
tedeschi che risalivan da Bari. A Bitonto s'incontrarono, si combatterono addí
25 maggio 1734. Vinse il Montemar, e ne fu fatto duca di Bitonto e governator
di Sicilia. Alla quale poco appresso movendo, approdò a Solanto, entrò in Palermo,
ed inseguí poi il resto de' tedeschi chiusi in Messina; assediolla ed ebbela a
patti [25 marzo 1735], nettando cosí di tedeschi i due regni. - Poco appresso
[3 ottobre] furono firmati tra Francia ed Austria i preliminari, a cui mal
volenterose pur aderirono in breve Spagna e Sardegna; e cosí [19 novembre] fu
conchiusa a Vienna la pace generale. Per essa Augusto rimase re di Polonia,
onde giá aveva cacciato Stanislao; questi fu fatto duca di Bar e poi di Lorena,
sua vita durante, dovendo passare poi questa provincia a Francia; Francesco
duca di Lorena, marito di Maria Teresa l'erede d'Austria, dovea passare
granduca di Toscana alla morte di Gian Gastone Medici; don Carlo rimase re di
Napoli e Sicilia; Parma e Piacenza passarono all'imperatore; e re Carlo di
Sardegna acquistò Novara, Tortona e la supremazia de' feudi delle Langhe,
piccola parte di grandi speranze. Ma l'Italia tutta insieme fu quella che
s'avvantaggiò piú: un nuovo gran regno nazionale, una nuova gran diminuzione
della signoria straniera; questa ridotta a Milano, Mantova, Parma e Piacenza.
Da due e piú secoli, da Carlo VIII e Ferdinando cattolico in qua, non mai erasi
trovata pesta da piedi stranieri cosí poca terra italiana. Il secolo
decimottavo non parlava di nazionalitá come il nostro, e, per vero dire, non vi
pensava guari; i popoli erano contati per nulla, i principi europei pensavano,
trattavano francamente per se soli. Vergogna, che cosí facendo facesser meglio
per li popoli che non quelli i quali hanno ora per le bocche continuamente il
bene de' popoli, e li divelgono e sminuzzan poi ad utile proprio; piú
apparente, del resto, che non forse reale, piú momentaneo che non definitivo.
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