27.
Breve pace.
Guerra della successione austriaca [1735-1749]. - Seguirono una breve pace, una lunga e poco
men che inutile guerra. Durante la pace incominciarono, Carlo Emmanuele in
Piemonte, Carlo Borbone nel suo regno, que' miglioramenti di che diremo quando
si compierono. Ma Toscana fu quella che migliorò piú in questo intervallo. Morí
[9 luglio 1737] Gian Gastone, ultimo e forse pessimo dei degeneri Medici, e
succedette, secondo i trattati, Francesco marito di Maria Teresa, e primo di
quella casa Lorenese, o seconda Austriaca, che essa pure si italianizzò. E cosí
s'italianizzino meglio e davvero queste due famiglie di Toscana e di Napoli; io
lo ridico, dopo ed a malgrado gli ultimi e sí vari eventi. I quali, non che
mutare, hanno sancita la mia opinione, che dalla sola unione di principi e
popoli sia da sperare l'indipendenza italiana; i quali hanno mostrato quanto
vicini noi siamo a questa quando uniti, quanto discosti appena disuniti; i
quali, fra i numerosi e gravi insegnamenti lasciati a' posteri, lasciano questo
sommo, che l'impresa o rivoluzione dell'indipendenza non si debba complicare di
niun'altra né di dinastie né di territori che giá sieno materialmente
indipendenti. Si gridò, si griderá altre volte «indipendenza italiana!», ma non
se ne ebbe finora il concetto, l'idea, ed anche meno la passione vera. E finché
non si concepisca che non è paragone tra l'indipendenza e tutti gli altri
temporali doni di Dio; finché l'idea e la passione della indipendenza non
ispengano le altre idee o passioni nazionali, il giorno dell'indipendenza non
sará venuto. Misere cose sono la mente, il cuore umano; di rado potenti,
quand'anche concentrano lor forze; impotentissime sempre quando le distraggono,
quando femminilmente, fanciullescamente, od anzi animalmente, corron qua o lá
dietro a questa o quell'idea o passione. - Ma pensino i principi, che pur
troppo sovente e dappertutto, e massimamente in Italia, si fanno di queste
terribili fanciullaggini od animalitá; e per amore, se non di noi, di loro
stessi, non vi si espongano. - Nel 1740, ai 31 maggio, morí Federigo Guglielmo
re di Prussia, e gli successe il figliuol suo Federigo II, detto «il grande»; e
morí, ai 20 ottobre, Carlo VI imperatore, e gli successero negli Stati, Maria
Teresa, sua figlia, e Francesco di Lorena. Ma a malgrado la prammatica fatta
per tal successione da Carlo VI, e riconosciuta poi nei trattati successivi da
quasi tutti i principi d'Europa, sollevaronsi allora parecchi; Federigo
coll'armi, prendendo subito Silesia [dicembre]; gli altri, colle trattative ed
alleanze. Una ne fu fatta a Nymphemburg [18 maggio 1741] tra Francia, Baviera e
Spagna, a cui poscia s'accostarono Prussia, Sassonia e re Carlo di Sardegna.
L'esercito gallo-bavaro penetrò in Boemia ed Austria [novembre]; l'elettor di
Baviera fu proclamato re di Boemia; e in breve imperator Carlo VII [24 gennaio
1742]. Austria era agli ultimi; fu salva dal generoso amore de' magiari alla
giovine, bella e virtuosa Maria Teresa, dall'alleanza antica di sua casa con
Inghilterra, e dal trattato da lei conchiuso [l° febbraio 1742] con re Carlo di
Sardegna. Fu detto allora di semplice neutralitá, ma in breve di vera alleanza.
Può, deve far meraviglia questo accostarsi di casa Savoia a casa d'Austria in
tale occasione, che sembra essere stata la migliore da molti secoli, di cacciar
questa di Lombardia e d'Italia. Ma il fatto sta, che Francia e Spagna sembrano
aver voluto allora dar Lombardia non a re Carlo di Sardegna, ma insieme con
Parma e Piacenza a don Filippo di Spagna, fratello secondo del re giá spagnuolo
di Napoli; e se ciò si fosse effettuato, casa Savoia e Italia aveano a temere
il ritorno della preponderanza spagnuola, quasi un ritorno del Seicento. Per
altra parte, non è dubbio che una gran differenza sarebbe sorta dall'essere
Lombardia e Parma e Napoli non province spagnuole come nel Seicento, ma Stati
indipendenti sotto principi, che, spagnuoli o francesi d'origine, si sarebbero
in breve italianizzati; ondeché, in tutto, io non so s'io lodi come giusta, o
se forse io non biasimi come stretta e mal interessata questa prudenza di re
Carlo Emmanuele nell'accostarsi allora a Maria Teresa. Ad ogni modo, bene o
male istituita quella guerra, re Carlo la fece bene poi, a modo de' maggiori.
L'aprí in Italia fin dal 1742, assalendo Modena alleata di Spagna; e movendo
quindi, per l'Emilia e la Romagna, contro all'esercito venutovi di Spagna. Ma
fu tra poco di lá chiamato per l'invasione d'un altro esercito spagnuolo in
Savoia [settembre]. Dove accorso re Carlo, respinse dapprima, fu respinto poi,
ed invernò in Piemonte. - Nel 1743, combattessi a Camposanto sul Panaro una battaglia
dubbia tra gli austro-sardi e gli spagnuoli, e questi si ritrassero; né segui
altro fatto di conto colá od in Savoia. Francia, quantunque avesse dato il
passo all'esercito spagnuolo, non era ancora in guerra con re Carlo. Ma avendo
questi firmato in Worms un trattato di alleanza oramai aperta con Austria [13
settembre 1743], Francia gli dichiarò formalmente la guerra addí 30, ed
entrovvi anch'essa dall'Alpi. Ma, in breve, per la stagione avanzata, vi si
posò. - Nel 1744, l'esercito gallo-ispano, sotto il principe di Conti e
l'infante don Filippo, assalí fortemente il Piemonte fortemente difeso da re
Carlo. Incominciaron da Nizza, la presero; e in varie fazioni [aprile] ne
cacciarono l'esercito piemontese. Poi, dopo molto dubitare e andar e venire, scesero
per Val di Stura e l'Argentiera, presero le Barricate e Demonte, e assediaron
Cuneo. Alla quale movendo re Carlo in aiuto, ne seguí, addí 30 settembre, una
gran battaglia che, da una chiesetta lá in mezzo, fu chiamata della Madonna
dell'Olmo, aspramente combattuta dalle due parti, perduta da re Carlo in ciò
che si ritrasse a sera dal campo, ma vinta in ciò che fece entrar soccorso
nella piazza. Dalla quale poi e dal Piemonte si ritrasse l'esercito
gallo-ispano oltre Alpi prima dell'inverno. - Intanto il Lobkowitz,
coll'esercito tedesco, s'era avviato alla conquista di Napoli; ed erasi
avanzato poco al di lá di Roma, fino a Genzano. L'esercito spagnuolo e
napoletano s'era avanzato alla riscossa fino a Velletri; e quantunque cosí
vicini, erano rimasti mesi e mesi i due eserciti a guardarsi, a tastarsi con
piccole fazioni, che chiamavasi cent'anni fa un guerreggiar bello e
scientifico, or par goffo agli stessi ignoranti. Una notte [10 agosto] il
Lobkowitz sorprese Velletri, e poco mancò non isbaragliasse l'esercito nemico,
ma fu ricacciato, e non ne seguí altro; fino a che tra le malattie e la noia si
ritrassero, l'uno in Romagna e Lombardia e l'altro a Napoli, i due eserciti,
derisi dalle popolazioni per via. In tutto, salvo il gran Federigo, il maresciallo
di Sassonia, e forse forse il Maillebois, i generali della metá del secolo
decimottavo, esageratori, affettatori degli artifizi tattici e strategici, si
potrebbon chiamare i seicentisti dell'arte della guerra. - Ai quali ora
succederebbero volentieri, se si desse lor retta, i romantici; quelli che,
pretendendo imitar Napoleone (il quale non hanno capito né studiato),
vorrebbero guerreggiare senza regola, senz'arte, senza tener conto né di
ostacoli naturali, né di fortezze, né di eserciti nemici, anzi senza esercito
proprio, con quello solo che chiamano (senza conoscerlo) «entusiasmo». Del
resto, costoro son conseguenti nel non voler guerre lunghe né eserciti
regolari; non vi vorrebbon andare nemmen per ombra; mentre sorridon loro le
guerre di entusiasmo, sempre brevi, non faticose, e di che si ritrae ciascuno
facilmente, gridando: - Non v'è piú entusiasmo. - Nel 1745, Genova si alzò
contro agli alleati di Worms che abbandonavan Finale al re di Sardegna, ed
entrò nell'alleanza contraria di Spagna e Francia [1° maggio]. Quindi unironsi
meglio le mosse dei due eserciti gallo-ispani. Il Gages, coll'esercito
spagnuolo-napoletano, passando dal Panaro in sulla Magra, si congiunse intorno
a Genova con don Filippo e Maillebois che venivan da Nizza; e guerreggiaron poi
alcun tempo sul Tanaro e la Bormida, preser Tortona [3 settembre, Piacenza,
Parma, Pavia, vinsero re Carlo in gran giornata a Bassignana [27 settembre], e
quindi invasero Piemonte fino a Casale ed Asti, difendendosi solamente la
cittadella d'Alessandria; invasero il Milanese, entrarono in Milano [19
dicembre]. Insomma, eran precipitate le cose austro-sarde in Italia; mentre
crescevano anzi le cose austriache in Germania per la morte dell'imperator
bavaro Carlo VII [20 gennaio], l'elezione a imperatore di Francesco I, il
marito di Maria Teresa, e la pace conchiusa col piú terribil nemico d'Austria,
Federigo II [25 dicembre]. - Ma qui, contro all'uso impostomi dalla brevitá,
dirò d'un semplice negoziato riuscito a nulla; perché, riuscito a suo fine, ei
sarebbe stato il fatto piú bello e piú importante di tutta questa storia; e il
suo fallire fu uno de' piú lamentevoli. Re Carlo di Sardegna aveva, nel
trattato di Worms con Austria, introdotta una clausula (insueta sí, ma che
accettata dall'altra parte davagli un diritto certo ed onorato), che potesse
scostarsi dall'alleanza, avvertendo tanti mesi prima. Quindi egli aveva libertá
di trattare con Francia. Trattò, e ne risultarono una prima convenzione firmata
a Torino [26 dicembre 1745], un armistizio firmato a Parigi [17 febbraio 1746],
ed un progetto di pace definitiva, per cui dovevano rimanere Parma e Piacenza,
con alcuni accrescimenti all'intorno, a don Filippo; il Milanese a casa Savoia,
ed accrescimenti a Genova, a Modena, a Venezia; Toscana sola, come rimase poi,
a casa d'Austria; cosicché tutta Italia ne sarebbe rimasta in breve tempo
indipendente, e divisa tra principi giá italiani o che sarebbero diventati
italiani; e (per piú dolore) tutta Italia doveva poi stringersi in lega a
mantener quella indipendenza. Venne il Maillebois, figlio del capitano di
Francia, fino a Rivoli, a cinque miglia da Torino, per volgere questi
preliminari in trattato definitivo; andò a Rivoli il Bogino, ministro e
confidente di re Carlo; ma non si conchiuse, e si ruppe. Fu pretesa prudenza
politica per serbar il contrapeso d'Austria? Vergogna, in tal caso! ché anche
queste ricercatezze, questi contrapesi sono seicentismi politici; e l'Italia
libera di stranieri, piena di principati nazionali, non avrebbe avuto bisogno
addentro, ed avrebbe trovati fuori piú utilmente que' due medesimi contrapesi
di Francia ed Austria, e tutta Europa poi interessata a sua indipendenza,
quando fosse stata stabilita. Fu timore, dubbio della sinceritá di Francia? Noi
non possiamo da lungi giudicare se fosser giusti o no siffatti timori; ma la
grandezza dello scopo potea valere alcuni rischi. Fu onestá, impossibilitá di
conchiudere, rispettando la fede agli alleati attuali? Rispondiamo, abbassando
il capo, come il giusto ateniese: non desideriamo, a costo d'un tradimento,
nemmeno l'indipendenza. Del resto, io scrivo qui d'un principe, di cui, io piú
di nessuno, m'allevai a venerar la memoria; scrivo d'un ministro che venero
quasi un grand'avo; ma perciò appunto mi si stringe il cuore al rincrescimento,
che le venerate destre non abbiano, se era rigorosamente possibile, firmata, or
son cent'anni appunto in Rivoli, quella indipendenza d'Italia che non era piú
stata da dodici secoli, che non fu piú nel secolo corso d'allora in poi, che
tentammo noi invano pur troppo, che si ritenterá, ma Dio solo sa quando e con
qual successo. Povera Italia, non avesti finor ventura! - Continuò poi re
Carlo, ottimo alla guerra. Sorprese in bella fazione i nemici in Asti,
ripresela [5-6 marzo 1746], e liberò la cittadella d'Alessandria [11]. I
tedeschi vinsero in battaglia a Piacenza il Maillebois [16 giugno] e
ricuperarono Milano, Lombardia; e quindi austriaci e piemontesi, uniti sotto il
Botta italo-austriaco, rigettarono i gallo-ispani nell'Appennino e poi
nell'Alpi, si presentarono a Genova, l'ebbero a patti [7 settembre] con
vergogna di quel governo, e la multarono di grosse somme, e l'oppressero di
tirannie e di rapine non pattuite, ma solite contro a' vinti prostrati. Ma,
addí 5 dicembre, tirando alcuni tedeschi un mortaio de' rapiti per una via che
sfondò, voller far violenza ad alcuni popolani per ritrarnelo, e dieder loro
busse all'uso patrio. Sollevaronsi lí i popolani, poi di via in via in tutta la
cittá. E per le vie, alle porte, alle mura combattessi ne' giorni seguenti tra
tedeschi e genovesi cittadini, aiutati a poco a poco da' campagnuoli che
accorrevano. Al glorioso dí 10 dicembre, il popolo cacciò i tedeschi dalla
cittá. E tra per sé e gli aiuti di Francia e Spagna la difesero poi dagli
assalti rinnovati lungo l'anno seguente; finché, assalito re Carlo nel contado
di Nizza, e perduta ivi Ventimiglia e minacciato in sull'Alpi Cozie, ritrasse
sue truppe d'intorno a Genova; e, a' 3 luglio 1747, gli austriaci levarono le
loro; e cosí rimase Genova liberata per quel bello ed ultimo sforzo di sua
antica virtú. - Fu e rimane sventura che si trovassero colá combattenti
piemontesi insiem con austriaci contro a' genovesi: ma l'ingrata memoria
dovrebbe rimanere piuttosto in quelli che furono allor vinti, e non rimane. Cosí
si cancelli questa ed ogni simile da quelle due schiatte piemontese e ligure,
le quali sono le due (per non dir altro) piú operose d'Italia; le quali, quando
unite davvero, sinceramente, basterebbero non a compiere, ma a far immanchevole
il compimento de' destini d'Italia. - Pochi dí appresso successe il minacciato
assalto pel Monginevra. Il cavaliere di Bellisle lo conduceva. Addí 19, i
francesi assalirono i piemontesi, trincerati al colle dell'Assietta, capitanati
dal Bricherasco. La fazione fu delle piú belle e calde della guerra. I
piemontesi vinsero; i francesi si ritrassero oltre Alpi. La guerra continuò, ma
languí d'allora in poi. Tutti erano stanchi; Spagna stessa; dove, morto Filippo
V [9 luglio 1745], e succeduto Ferdinando VI figlio di lui e di sua prima
moglie Savoiarda, era scemato il credito della Farnese, scemata l'ambizione per
don Filippo figliuolo di lei. Adunaronsi prima in Breda, poi in Aquisgrana i
plenipotenziari; e addí 30 aprile del 1748 firmaronsi i preliminari, addí 18
ottobre il trattato di pace; per cui rimase riconosciuta la seconda casa
d'Austria, riconosciuto don Filippo duca di Parma e Piacenza, accresciuta la
monarchia piemontese dei due brani dell'alto Novarese e dell'Oltrepò pavese, e
Finale riconfermato a Genova. Facendoci forza, e scartando dalla memoria ciò
che avrebbe potuto essere altrimenti, dobbiam conchiudere: che fu pace buona,
fu progresso all'Italia, scemando la parte straniera, accrescendo la parte
italiana di Parma, Piacenza, e de' brani di Lombardia diventati piemontesi. -
Due guerre minori, una delle quali risibile, turbarono altre parti d'Italia ne'
tempi or percorsi. L'Alberoni, cardinal legato di Ravenna, invase la
repubblichetta di San Marino [ottobre 1739]; ma fu disapprovato dalla corte di
Roma, che restituí quello Stato. E continuò, pur risibile in parte, feroce e
funesta in tutto, la ribellione de' còrsi, aiutata dalle calamitá narrate di
Genova. Fin dal 1736, approdò lá un Teodoro barone di Neuhof, tedesco,
venturiero, cavalier d'industria, come si diceva allora, che, trovato modo
d'aver denari e munizioni di guerra dal bey di Tunisi, venne a far il re di
Corsica. I poveri còrsi erano in cosí mal punto, in cosí poco senno, che quasi
tutti il gridarono re [15 aprile]. Ma, a novembre, il nuovo Teodoro I lasciò i
sudditi per andar a cercar nuovi soccorsi, nuove venture. Girò Italia,
Germania, Olanda, dove fu incarcerato per debiti, ed onde pur uscí, traendo da
quella buona gente nuovi aiuti, nuovi apparecchi di guerra. Con questi tornò a
Corsica [settembre 1738], fu riconfermato re, ma cadde d'allora in poi, e partí
in breve. Giafferi e Paoli erano i veri capi. Venner francesi in aiuto a
Genova, e fecesi un nuovo accordo nel 1740. Ma ruppesi per la solita causa
delle tasse nel 1741, e di nuovo si guerreggiò. Nel 1743, Teodoro tentò
riprendere il regno, ma non fu nemmeno lasciato approdare, e se ne fu per
sempre. Nel 1744 vi fu nuovo accordo. Nel 1745, ardendo la guerra contro a
Genova, si ridestò la sollevazione, aiutata da Sardegna ed Austria, combattuta
da Francia e Spagna, fino alla pace d'Aquisgrana.
|