31.
Le guerre
della rivoluzione francese fino alla pace di Campoformio [1792-1797]. - Il nome che rimarrá
nelle storie universali future alla rivoluzione francese, quando altre
passioni, altri interessi passeggeri saran succeduti a quelli che reggono ora
l'Europa, sará probabilmente quello di restaurazione del governo deliberativo e
rappresentativo sul nostro continente. Tutte le nazioni figliate dal
congiungimento de' popoli tedeschi co' romani ebbero sí il governo deliberativo
ma non il rappresentativo, assemblee deliberative ma non nazionali. Carlomagno
si adattò al governo deliberativo, anzi lo restaurò; e fu cosí grande poi, che
potrebbe bastar l'esempio di lui a provare che son compatibili tal governo e la
grandezza personale del principe. Poi da Carlomagno al secolo decimoprimo cadde
tal governo imperfettissimo, incapace di reggersi da sé. Sorti i comuni al fine
di quel secolo, ne risultò, nelle numerose cittá italiane, quel governo
repubblicano mal ordinato addentro e peggio fuori, di che abbiam notato a'
luoghi loro le origini, le vicende, ed il triste fine; ma risultò, nello stesso
tempo all'incirca, quell'introduzione che pur accennammo de' comuni, cioè dei
loro deputati popolari nelle assemblee deliberative delle monarchie europee,
delle tre grandi di Spagna, Francia ed Inghilterra principalmente. E allora si
può dir fatta la grande invenzione della rappresentanza, allora passato il
governo deliberativo a rappresentativo. Ma fu, come parecchie altre fatte a
tempi immaturi, invenzione precoce, incapace di produrre gli effetti suoi.
Decadde essa pure, fu negletta dai popoli quasi inutilitá, incommodo e carico;
tralasciata dapprima, abolita poi quasi intieramente dai principi come
difficoltá ed impossibilitá nel governo di loro Stati cresciuti. Tra il primo
terzo del secolo decimosesto e il primo terzo del decimosettimo furono spenti
tutti i governi rappresentativi, stabiliti governi consultativi (in breve
caduti in assoluti) in tutta Europa, tranne Inghilterra. Nella quale fu fatto
sí il medesimo tentativo, ma fallí; e dal tentativo fallito, dalla vittoria del
governo rappresentativo riuscí questo nel 1688 finalmente quasi perfetto; e
questa fu la prima restaurazione di esso, appena attesa allora, appena studiata
per parecchi anni, sul continente europeo. Un lungo secolo, centun anni
dovetter correr prima che si pensasse a niuna imitazione. Vi si pensò, se ne
incominciò in Francia nel 1789; e pur troppo il pensiero fu leggiero,
l'imitazione breve, i pervertimenti molti, pronti e gravi e non finiti in
quella pur essa incostante, pur essa misera nazione. Ma intanto, tra gli errori
e le sventure di Francia, il gran pensiero, la grande imitazione
dell'Inghilterra, la seconda e maggiore restaurazione del governo
rappresentativo, s'è diffusa in Germania, in Spagna, in Grecia, in Italia, in
tutto il continente europeo, tranne Turchia, Russia, e non so s'io dica alcuni
principati italiani. Quindi non è dubbio che l'anno 1789 è per tutto questo
continente una delle epoche piú grandi e piú atte a segnare e dividere le sue
etá storiche, è l'èra della sua libertá rappresentativa restaurata. Ma perché
l'Italia non entrò realmente in tal restaurazione se non cinquantanove anni
appresso; e perché poi in quest'Italia, che non ebbe in essi, che non ha nemmen
ora l'indipendenza, la stessa questione di libertá non è (per chi senta e
sappia virilmente) se non secondaria; e perché, se ciò sia vero, noi abbiamo
fatto bene, e se non sia, abbiamo errato con meditata sinceritá, e non ci
possiamo quindi ricredere; perché, dico, ad ogni modo abbiamo da gran tempo
divisa la storia italiana secondo questo interesse primiero dell'indipendenza,
e cosí chiamato quest'ultima etá delle preponderanze straniere; perciò noi non
possiamo se non comprendere in essa, ed anzi nel periodo terzo delle
preponderanze francese ed austriaca, i venticinque anni corsi dal 1789 al 1814.
Non è condizione piú anormale all'universale civiltá, che quella d'una nazione
senza indipendenza; e l'anormalitá della condizione trae seco l'anormalitá
della storia. E il fatto sta che la grand'èra europea del 1789 non introdusse
per noi niuna condizione, niuna mutazione, niun fatto nuovo che sia rimasto
grande e durevole. Ne preparò alcuni, è vero; ora incominciamo a saperlo;
preparò questa libertá che incominciamo ad avere. Ma non possiamo dire che
incominciamo ad avere l'indipendenza. E finché non l'avremo, io sfido
chicchessia a dire se sia finita l'etá delle preponderanze straniere. Ad ogni
modo, il secolo decimottavo diede uno spettacolo duplice; da una parte,
Inghilterra sola progrediente ed in quel governo rappresentativo di che ella
aveva allora la privativa, ed in ogni sorta di felicitá e grandezze interne ed
esterne; dall'altra parte, l'Europa continentale incompiutamente progrediente
in quelle riforme che noi accennammo per l'Italia, riforme ecclesiastiche e feodali,
ma non riforme del principato, non restaurazioni di libertá. Molti dissero
allora e poi di queste riforme che elle furono imprudenti, ed io credo che
dican bene; imprudentissimo fu al principato riformar tutto, salvo se stesso;
esser liberale de' diritti altrui e non de' propri; insegnare a' popoli tutte
le libertá, e negar loro quella civile e politica che essi desideran piú e che
comprende l'altre. Non ci è mezzo; o non bisogna educare i popoli, o bisogna
compier loro educazione; o non bisogna invogliarli, o bisogna dar loro ciò di
che si sono invogliati e che prenderan male da sé; non bisogna voler parere, e
non esser liberali. - Luigi XVI, re di Francia, fu il solo principe del secolo
decimottavo che abbia voluto veramente essere e sia stato liberale. E fu detto
e si dice che ei fu imprudentissimo in ciò, ne portò la pena egli, la fece
portar a' popoli suoi. Ma io dico all'incontro, che Luigi XVI non fu imprudente
nell'intenzione, ma solamente nel mezzo adoperato, ma appunto nel non dar da sé
tutto quello che voleva dare, e nel lasciarlo prendere; fu imprudente in
quell'atto imprudentissimo fra tutti gli atti politici, di dare o lasciar
prendere a un'assemblea numerosa, popolare, l'ufficio regio straordinario,
dittatorio, di mutare lo Stato, di fare una rivoluzione, una costituzione. Gli
antichi repubblicani greci e romani, tutti quanti, sospendeano la repubblica,
il poter popolare, quando aveano a ricostituir lo Stato; concentravano per a
tempo il governo legislativo in un solo uomo o pochissimi, un Licurgo, un
Solone, un dittatore, i decemviri. I repubblicani italiani del medio evo,
benché tanto dammeno, seppero pur sovente fare il medesimo, crear balie di
pochi, per le moltiplici mutazioni di Stato che vollero fare e fecero. Fu
riserbato ad un'etá, che era progreditissima sí in molte cose, e si credeva ma
non era nella politica interna dismessa da due secoli, il cader nell'errore
grossolano di dar a fare una mutazione di Stato, una rivoluzione, una
legislazione o costituzione ad un'assemblea popolare, di creare, nome
novissimo, un'assemblea costituente. Questo errore trasse a tutti gli altri,
alle colpe, ai delitti, agli scempi, alle nefanditá che tutti sanno, che tutti
i buoni aborrirono e vituperarono giá, che ora è venuta una colpevol moda di
lodare o scusare, o almeno non vituperare. La bontá dello scopo ideato da
principio, ed arrivato all'ultimo, fa quest'inganno nelle generazioni presenti,
dimentiche de' fatti intermediari; e cosí noi liberali prendiamo quel brutto
vizio, che condanniamo pure in altrui, di scusar i mezzi dallo scopo. Ma, mi si
perdoni o no, io non mi vi arrenderò: brutto è giá l'arrendervisi tra le
concitazioni della pratica, ma piú brutto nella tranquillitá dello studio; qui
sarebbe premeditata adulazione per un po' d'applausi. L'assemblea costituente
del 1789 discostituí lo Stato, se stessa; fecesi governo solo, onnipotente,
prepotente. L'assemblea, che le succedé nel 1791 con nome diverso, di
legislativa, e facoltá minori ma poi esagerate, discostituí piú, fece o lasciò
cadere quella monarchia deliberativa che sola era voluta da principio. E, nuova
vergogna di quella nazione a' que' tempi, la terza assemblea, la Convenzione,
abolí poi la monarchia senza nemmeno costituir la repubblica. Dal 1792 al 1796
che si costituí il Direttorio o governo esecutivo repubblicano, non vi fu né
monarchia né vera repubblica rappresentativa; vi fu, incredibile esempio in
questo secolo, una gran nazione non costituita, non governata, se non alla
giornata, da' pochi che si trovarono a caso in Parigi; or quel comune, or le
sezioni di esso, ora una pluralitá, ora una minoritá dell'assemblea; or quelle
di altre assemblee non legali, or l'uno o l'altro membro delle une o delle
altre; un vero caos politico, un tal cumulo di scelleratezze e barbarie, da far
forse scusar l'error contrario a quello detto poc'anzi, di abborrire lo scopo
di libertá, in memoria de' mezzi che l'instaurarono colá. Ma il sommo e piú
pazzo delitto di quella rivoluzione fu senza dubbio l'uccisione del re. Non
solo l'uccisione, ma il giudicio stesso d'un re è sommo delitto politico in
qualunque regno: in uno assoluto, perché ivi il re è la legge viva, lo Stato;
ma forse anche piú in uno costituito ad assemblee deliberative, perché ivi il
re è guarentito irresponsabile, incolpevole, dalla legge. E quindi, senza
dubbio, gran delitto era stato giá nel secolo addietro il giudicio e la morte
di Carlo I d'Inghilterra. Ma Carlo I non era buono e virtuoso principe come
Luigi XVI; ma Luigi XVI era non solamente principe buono, ma liberale, e solo liberale
de' tempi suoi; ondeché la morte di lui fu insieme delitto di lesa maestá, lesa
sovranitá, lesa nazionalitá, lesa liberalitá, lesi progressi, lesa civiltá; la
morte di lui ritardò, chi sa di quanto tempo, i progressi di tutte le altre
nazioni cristiane; la morte di lui fece e fa scusabili le paure, se sono queste
scusabili mai, di tutti i principi d'allora in poi. - E quindi non solamente
scusabile ma lodevole, a parer mio, fu il sollevarsi e confederarsi di tutta
Europa, prime Austria e Prussia a Pilnitz [27 agosto 1791], poi via via il
resto di Germania e Russia, Svezia, Inghilterra, Olanda, Spagna, Portogallo e
pur troppo non tutta Italia, contro a quella rivoluzione diventata antiliberale
e anticivile. Ed anche qui so di oppormi a molti, i quali giudicando da' tempi
presenti, da rivoluzioni minori e tutto diverse, sentenziano non dover gli
stranieri, né per diritto, né per prudenza, frammettersi alle volontá di niuna
nazione. Ma lá non era, non dovea, non potea supporsi volontá cosí anticivile in
una nazione civile; oltreché, forse la civiltá e la libertá de' popoli non
iscapiterebbero nemmeno adesso o mai, se si venisse al principio di non
soffrire nella cristianitá niuno evidente e scandaloso delitto, venga di giú o
di su, di lesa civiltá o cristianitá. Del resto, chiunque esaminerá (come si
fará poi senza dubbio) attentamente i fatti di que' tempi, vedrá che le
aggressioni vennero allora per lo piú da' rivoluzionari francesi, assalenti
tutti i principi europei come illegittimi o tiranni, tutti gli Stati come
illegittimamente costituiti finché non fossero liberi, cioè sconvolti, a modo
di Francia. - Se niuni poi, certo erano i principi e i popoli italiani in
diritto, in dovere di difendersi da tali assalti; aggiugnevasi, ad essi deboli
e vicini, il pericolo sommo che ne veniva a lor indipendenza nazionale. Eppure,
vergogna italiana simile a quella del 1494, come allora era stata lasciata
quasi sola Napoli minacciata dagli stranieri, ed aveano titubato o barcheggiato
gli altri, Savoia, Venezia, Firenze ed Alessandro VI, cosí ora fu lasciato solo
Piemonte all'aiuto straniero austriaco, e barcheggiaron Genova, Venezia,
Firenze, Napoli e Pio VI; tutti quanti. Ciò i governi; né furono migliori, piú
sodi e piú politici i popoli nostri; gridaron gli uni pace, sempre pace, cioè
ozio, finché la guerra non si fu appressata a poche miglia, e cosí
affievolirono, invilirono i governi giá fiacchi e vili; e gli altri, i liberali
di quell'etá (e diciam pure a consolazion nostra, che non portavano per anco
tal nome, ma quelli di «repubblicani» o «giacobini»), fecer turpe alleanza di
desidèri, di grida e di congiure colla turpe libertá, cioè colla mostruosa
tirannia popolare francese. Diciamolo d'un tratto, non fosse altro, per
abbreviare, e non tornarvi: principi e popoli, governanti e governati italiani
della fine del secolo decimottavo, furono (salvo pochissime e tanto piú
onorevoli eccezioni personali) insufficienti alla terribile occasione,
mostrarono l'insufficienza delle riforme fatte lungo il secolo.
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