34.
- Napoleone
primo consolo e presidente della repubblica italiana, poi imperatore e re
d'Italia [1802-1814]. - Nei dodici anni di
che ci resta a dire, non solamente non furono grandi fatti nazionali, ma
nemmeno grandi fatti stranieri in Italia. Le guerre qui rinnovate non furono
piú, come poc'anzi, principali, ma secondarie in Europa; e le paci furono obbedienze
di poco men che tutti allo straniero. Tuttavia, fra i tempi d'obbedienza, niuno
fu lieto, operoso, forse utile, quasi grande e glorioso come questo. Men
vergogna era servire con mezza Europa ad un uomo operosissimo, grandissimo, e
che si potea dir di nascita, e dovea dirsi indubitabilmente di sangue, di nome,
italiano; e servirlo operosamente, in fatti grandi, moltiplici, incessanti,
crescenti, e continuamente mutanti, i quali non si potea prevedere a che
avesser a riuscire, e si poteva sperare riuscissero a qualche gran riunione e
liberazione d'Italia; men vergogna dico, che, come in altri tempi, servir quasi
soli e languidi in mezzo alle indipendenze e libertá ed operositá universali. -
Non faccio scuse per coloro che cosí servirono, spiego che cosí servirono
allora. Non v'era indipendenza, è vero, ma non ne furono mai speranze cosí
vicine. Non v'era libertá politica, ma n'erano almeno le forme in un gran
centro italiano; non libertá civile ben guarentita, ma legale almeno; e poi,
v'era quella eguaglianza che a molti, bene o male, fa compenso alle mancanze di
libertá. Non libertá di scrivere, certamente; ma non gelosie, non paure d'ogni
sorta di coltura, non disprezzo degli uomini colti, non quella separazione tra
essi e gli uomini pratici, che è il maggior de' disprezzi, e quasi smentita e
scherno delle vantate protezioni. Chiuso poco dopo il mare, non vi fu operositá
commerciale; ma v'eran quelle delle industrie, e dell'agricoltura, e della
milizia: dico quell'operositá di guerra, che è senza dubbio calamitá
all'universale, ma felicitá suprema forse a molti di coloro che l'esercitano,
perché è supremo esercizio dell'umane facoltá. E allora gli italiani, primi i
piemontesi, poi i lombardi e romagnoli, e via via toscani, romani, napoletani,
corsero a quell'esercizio, e vi furon affratellati a quei militari, avanzati e
lodati in quegli eserciti vincitori d'Europa; e quegli italiani sentivano di
far allora ciò che non avean fatto da secoli i maggiori, ciò che speravano si
facesse poi dai nepoti; quegli italiani credevano incamminar i posteri alla
rinnovata virtú italiana. Insomma, era servaggio senza dubbio, ma partecipante
alla concitazione, all'alacritá, all'orgoglio dei signori; non quello
oppressivo compressivo, depressivo di tanti tempi anteriori e posteriori. E
cosí, da quegli anni, dal principio di questo secolo, incominciò a
ripronunziarsi con piú onore ed amore il nome d'Italia; da quegli anni
incominciò a mirarsi ad essa tutta insieme, e incominciarono a cadere quelle
invidiuzze od invidiacce municipali o provinciali che avean lussureggiato da
tanti secoli, e pur testé, nelle repubblichette efimere ed utopiste del medio
evo e della fine del secolo decimottavo, e che lussureggiarono piú tardi
nuovamente. Sottentrò, è vero, quello che i fatti dimostrarono ripetutamente
poi sogno del regno unico italiano; ma se, caduto il sogno, saprá serbarsi la
realitá dello spirito nazionale, se la fine del secolo nostro non sará del
tutto indegna del principio, forse che questo diventerá èra a migliori destini
d'Italia. Ma noi dobbiamo affrettarci al termine del nostro assunto. - Il resto
dell'anno 1802 vide una nuova costituzione della repubblica ligure [26 giugno],
cosí portata a segno dell'ultime, francese ed italiana; piccolo affare
conseguente agli altri. Ma seguí [11 settembre] la riunione a Francia di quel
Piemonte, la cui condizione erasi lasciata dubbia fin allora; e incominciò cosí
quell'estendersi innaturale del territorio francese in Italia, che mostra
(oserò ridirlo?) la incapacitá di Napoleone nella politica vera, grande,
fondatrice. Ed io so che mi scosto qui non solamente dagli scritti apologetici
di lui Napoleone, ma da uno scrittore recente, da me come da tutti molto
ammirato; ma egli pure sarebbe certo fin d'ora, e rimarrebbe poi forse piú lungamente
ammirato, se, tenero com'egli è della nazionalitá francese, fosse piú
intendente dell'altre; se cercasse gli accordi di quella con queste, se non
avesse voluto rimanere cosí stazionario (anch'egli) ai tempi del suo eroe; se
avesse voluto progredire a' presenti che tendono a quell'accordo di tutte le
nazionalitá cristiane. Ad ogni modo, seguí la mediazione di Napoleone in
Isvizzera e la rioccupazione di lei; e tra per questi estendimenti della
potenza continentale di Napoleone, e quello marittimo di Malta che Inghilterra
volle ritenere a compenso, e il volersi ciascuno estender solo e non patir che
s'estendesse l'altro, si ruppe la guerra nuovamente tra Francia ed Inghilterra
[maggio 1803]. Seguirono, la congiura de' legittimisti francesi, George, Polignac
e compagnia; la presa sul territorio germanico e la morte del duca d'Enghien,
il piú vile degli atti di Napoleone [21 marzo 1804]; poi l'istituzione e
proclamazione dell'imperio francese [18, 20 maggio]; e l'istituzione e
proclamazione dell'imperio ereditario austriaco [4 agosto]; il viaggio di papa
Pio VII a Parigi, dove consacrò il nuovo imperatore [2 dicembre], e incominciò
forse a guastarsi con lui; e il regno d'Italia ricevuto, cioè preso, dal nuovo
imperatore [18 marzo 1805], e poi il viaggio di lui qui, l'incoronazione a
Milano [26 maggio], e le vane parole «Guai a chi la tocca!» pronunciate nel
prender la corona di ferro; e Genova riunita innaturalmente, non al nuovo regno
d'Italia, ma all'imperio di Francia [4 giugno]; e cosí Parma [21 luglio]; e
Lucca fatta principato per una sorella dell'imperatore, giá principessa di
Piombino [23 giugno]. - Austria, Russia non vollero tollerar piú; fecero la
terza coalizione; strinsersi con Inghilterra, la liberarono dalla discesa a lei
minacciata da due anni nella Manica. Napoleone levò a un tratto i campi ove
avea ragunate, esercitate, ordinate piú meravigliosamente che mai sue vecchie
divisioni [27 agosto]; e facendole attraversar Francia di corsa, le portò in
Germania, dove incominciarono a chiamarsi la «grande armata», e grande fu poi
veramente ed in numero ed in fatti per nove anni. Intanto Austria ruppe la
guerra, passò l'Inn [8 settembre], invase Baviera. Credeva, incominciando essa,
assicurarsi l'offensiva; ma questa è sempre de' piú forti e piú abili; e
Napoleone solea lasciar incominciare il nemico per vederlo spiegarsi, e
prenderlo sul tempo poi, o, come diceva egli, «in flagrante». Cosí fece. Partí
di Parigi [24], passò il Reno [1° ottobre], tagliò, ruppe corpi austriaci qua e
lá, li accerchiò da manca, e li fece capitolare ad Ulma [19 ottobre]; e
attraversando Baviera entrò a Vienna [13 novembre]. Allo stesso tempo
l'esercito francese, e giá in parte italiano, d'Italia, ragunato sotto a
Massena, vinceva l'austriaco sotto l'arciduca Carlo a Caldiero [30 ottobre]; e
spintolo dinanzi a sé, passava il Tagliamento, al medesimo dí che il grande
esercito entrava a Vienna; e combattendo e vincendo univasi a questo addí 24
novembre in Austria. Ma un grande esercito russo ed Alessandro imperatore
s'erano pure uniti al resto dell'esercito austriaco, ed a Francesco II. Ed
uscito di Vienna Napoleone, s'incontrarono, si combatterono ad Austerlitz in
Moravia i tre imperatori in gran giornata, al dí anniversario
dell'incoronazione di Napoleone [2 dicembre 1805]. Vinse questi, il gran
capitano, naturalmente; e seguí tra pochi dí un armistizio, e tra pochi altri
la pace firmata a Presburgo [26 dicembre]. Per questa rimasero cacciati gli
austriaci oltre all'Isonzo, e riunita Venezia al regno d'Italia; e rimasero
acquistate a Napoleone, ma non riunite a niuno Stato, tenute quasi a riserva
per li suoi disegni futuri, le antiche province veneziane in Illirio. Quali
erano questi disegni? Certo orientali, contro all'imperio turco, al quale ei
voleva cosí farsi limitrofo, per partecipare in ogni caso a sue spoglie. Ma per
li particolari ei se ne rimetteva al tempo, alle occasioni e loro ispirazioni.
Thiers e Mignet ci rivelarono ultimamente due disegni concepiti da due parti
contrarie: proposto l'uno da un italiano e dal principe Czartorinski ad
Alessandro prima della guerra, l'altro da Talleyrand a Napoleone in mezzo ad
essa, combacianti i due nella idea di spinger e ingrandir Austria sul Danubio
per liberarsene ad Occidente. Le preoccupazioni, gl'interessi momentanei, ciò
che il volgo dei politici chiama sola politica, spinsero a tutt'altro Napoleone
vincitore allora, Alessandro vincitore di poi. I tempi avvenire possono soli
far chiaro quale fosse men sognatrice, quale definitamente piú duratura, o la
politica solamente invaditrice, invaditrice per invadere, senza discernimento,
di Napoleone ed Alessandro, o la fondatrice di Czartorinski e Talleyrand. Solea
dir questi «esser merito suo prevedere un po' piú presto ciò che tutti dovean
veder poi». Ad ogni modo Napoli avea fatto poc'anzi [21 settembre] con Francia
un trattato di neutralitá, e Saint-Cyr col corpo che occupava Otranto da
parecchi anni s'era quindi ritratto e congiunto coll'armata d'Italia. Ma Napoli
avea due mesi appresso [20 novembre] ricevuti inglesi e russi, s'era vòlta ad
essi. Era un'altra di quelle stoltezze de' deboli che riescon fortune a'
potenti ed usurpatori. Napoleone vincitore mandò ad eseguire il facile castigo
un esercito, che entrò nel Regno [8 febbraio], in Napoli [15]; e casa Borbone
fuggí di nuovo a Sicilia. Giuseppe Buonaparte fratello di Napoleone fu primo re
de' Napoleonidi, fu proclamato re di Napoli e Sicilia [30 marzo]; e regnò nella
prima, continuando casa Borbone nella seconda. Gaeta si difese bene, non
s'arrese se non al 18 luglio. Meglio ancora Calabria, che non fu ridotta tutta
se non piú tardi [al principio del 1808], e nemmeno allora non obbedí
tranquilla. Oh se i principi italiani avessero saputo valersi della devozione e
del coraggio nativo de' lor sudditi! riunirlo, disciplinarlo, avvezzarlo! Seguí
[5 giugno] l'instituzione di un secondo re napoleonide, Luigi in Olanda. E
seguí un grandissimo fatto, appena avvertito allora. Addí 6 agosto di
quell'anno 1806, Francesco II, ultimo successore degli imperatori de' romani,
rinunciò a quel titolo, vano senza dubbio da gran tempo, ma impaccio pure e
vergogna nostra finché l'udimmo portare da tanti stranieri. - Seguirono poi la
guerra tra Prussia e Napoleone, minacciata giá l'anno addietro dalla prima,
dismessa poi dopo la vittoria d'Austerlitz, rotta ora dal vincitore,
vendicativo e guardingo, e precipitato ad ogni modo d'una in altra vittoria,
d'una in altra conquista. Seguirono le battaglie di Jena [14 ottobre], d'Eylau,
di Friedland, [8 febbraio, 14 giugno 1807], e la pace di Tilsit [7 e 9 luglio].
- Dopo la quale s'avventò, s'inebbriò peggio che mai il conquistatore nella
politica stoltamente invaditrice. Egli imperiava in Francia, Italia e Germania,
incontrastabilmente; non gli bastarono. Volle Spagna, e almen si capisce, era
un gran regno di piú; ma volle Roma, e non si capisce, essendo cosí poca cosa
materialmente rispetto all'imperio che egli aveva, ma cosí grande rispetto al
pericolo, alla perdita d'opinione a cui andava incontro.
Il fatto sta ch'ei non
faceva caso di questa opinione; non di Spagna, né di Roma che credeva avvilite,
impotenti a resistere. Ma, come volle Iddio, Napoleone s'ingannò: Dio vuol
sovente che s'ingannino i prepotenti. Incominciò a metter truppe francesi in
Ispagna sott'ombra di conquistar Portogallo; e conquistatolo, entrò in una
serie di negoziati e perfidie e violenze, per cui tutta la casa di Borbone
rimase spoglia degli antichi regni di Spagna e del nuovo d'Etruria. Fece
occupar Toscana [12 dicembre]. Poi in breve, inasprito giá contro al papa per
molte contese, e principalmente perché questi ricusava entrare nella lega
continentale contro ad Inghilterra, fece pur occupar gli Stati di lui, e Roma
stessa [1° febbraio 1808]. Poi riuní le Marche al regno d'Italia [2 aprile], e
Parma, Piacenza e Toscana a Francia [24 maggio]; fece passar Giuseppe re di
Napoli a re di Spagna (come mutava i prefetti da un dipartimento all'altro); e
diede Napoli a Murat suo cognato, prode generale di cavalleria [15 luglio]. -
Tuttociò ridestava le costanti ire d'Austria; e la resistenza incontrata dagli
eserciti francesi, da Giuseppe, e da Napoleone stesso in Ispagna, ridestarono
le speranze di lei. Ricominciò la guerra. Era la quarta fatta, e sempre
infelicemente da quella potenza contra Napoleone generale, primo consolo e
imperatore. Vergogna militare, ma gloria politica di quel governo cosí sovente
sconfitto, cosí perdurante sempre. In aprile 1809, gli eserciti austriaci
invasero a un tratto Baviera in mezzo, il nuovo granducato di Varsavia a
settentrione, Italia a mezzodí dall'Isonzo. Napoleone accorse da Spagna a
Parigi, al Reno, a Germania. E su quel campo a lui giá noto, con operazioni piú
grandi ma simili (tanto quel sommo inventor di guerre sapeva obbedire al
costante imperio del terreno!) ruppe, sbaragliò, vinse l'esercito nemico dell'arciduca
Carlo in vari combattimenti e in uno grande ad Eckmüll [22 aprile]; e passò
l'Inn [26], e prese Vienna [13 maggio]. E intanto l'armata d'Italia, piú che
mai grossa d'italiani misti con francesi, e capitanata questa volta da Eugenio
Beauharnais figlio adottivo di Napoleone, viceré e dichiarato erede del regno
d'Italia, indietreggiava dapprima dall'Isonzo fin presso all'Adige; ma si
fermava a Caldiero, ed ivi, dove avea vinto poc'anni innanzi, rivinse ora [29
aprile]. Quindi riavanzando avea passato, combattendo, Brenta, Piave,
Tagliamento, Isonzo; presa Trieste [17 maggio], passate l'Alpi, dato mano al
grande esercito francese, e poi vinta da sé una bella e gran battaglia a Raab
[14 giugno]. Quindi si vede, quanto sia pur vero che vi fosser consolazioni
alla servitú di que' tempi. E allora e poi non poche divisioni italiane, non
pochi capitani nostri s'illustrarono nelle guerre di Spagna: ma questi
combatteron per far compagna nella servitú una generosa nazione; e perciò non
contiamo tali glorie come fortune. - Lí da Vienna poi Napoleone consumava
quell'usurpazione di Roma, che fu la piú leggiera al profitto, la piú grave
allo scandalo, e forse al danno, di quante avesse fatte. Un decreto imperiale
[17 maggio] riuniva Roma e il resto dello Stato a Francia. E ai 10 giugno era
proclamata a Roma quella stolta riunione da Miollis e da una Consulta
governativa composta di francesi ed italiani. Al qual fatto giugnendo, domandò
licenza di notare che ad uno di questi, educato da un padre d'incomparabil
virtú e precision di principi, la colpa fu tanto piú grave che ei vi ripugnava,
e cedeva; non iscusata ma scemata forse dall'etá sua di diciannov'anni, da lui
messa a profitto ad ogni modo coll'imparar lá a resistere per l'avvenire.
Imperciocché fu ammirabile la resistenza di quei preti disprezzati; fu la sola
bella e grande nell'Italia di quegli anni. Una scomunica fu affissa il dí
appresso in tutta Roma, a malgrado le truppe, il governo, la polizia che
l'occupavano; e quindi si sparse in Francia e tutta Europa; e se non fece
certamente l'effetto delle scomuniche del medio evo, scemò pur molto in Italia
e Francia e Spagna gli aderenti a Napoleone, fu il sassolino gettato al piè
dell'idolo universale. E fu portato poi via il papa [6 luglio 1809] da un
general di gendarmi a Toscana, e di lá fatto errare a Francia, a Savona, a
Fontainebleau; mentre succedevansi in Roma co' poteri di lui i vicari
pontefici, e portato via l'uno, scoprivasene uno nuovo; e portavansi via
cardinali e prelati, niuno cedente, finché se ne stancò la polizia francese;
che non credo sia stato dato mai un esempio cosí unanime e costante di quel
coraggio civile o disarmato, che piú d'ogni altro forse tira a sé l'opinione
degli uomini, e la toglie agli opprimenti. - Ma, come succede, non se n'avvedeva
l'oppressore principale tra' successi crescenti. Passato il Danubio, vinse a
Wagram [5, 6, 7 luglio], e dettò poi una nuova pace a Schoenbrunn [14 ottobre];
per cui oltre a nuovi acquisti in Germania, ei fece quelli d'una parte di
Gallizia o Polonia austriaca, ed una nuova d'Illirio. S'egli avesse presa
invece Gallizia intiera, e riunitala al granducato di Varsavia, e fattone un
bel regno di Polonia, egli l'avrebbe avuto a potentissimo aiuto due anni
appresso. Ma il fatto sta, e si conferma ad ogni tratto, che egli non concepí
mai la piú bella dell'ambizioni e delle politiche, quella di liberare e fondar
nazioni. Due n'ebbe nella potente destra, e non ne fece nulla; e quando poi
spoglio di tutto ei ruminò dolorosamente a Sant'Elena le glorie e gli errori di
sua potenza caduta, tentando spiegazioni e scuse, ei non seppe trovarne altra
qui, se non quella troppo sovente recata da chi non vuole dare, non esser ancor
tempo di dare. Il fatto sta che scemava giá il grand'uomo, s'impiccolivano piú
che mai le ambizioni di lui. Ebbe quelle due piccole e da uomo nuovo, di
nobilitarsi con un matrimonio e di lasciar al proprio sangue fortuna fatta.
Repudiò la donna strumento giá di suo primo innalzamento, la compagna di sue
glorie giovanili e maggiori; quella che, non per vani influssi, ma colla dolce
compagnia, aveva dato forse il temperamento giusto e necessario al suo animo
eccedente, ed era stata cosí cooperatrice di tutte le sue fortune. Sposò invece
Maria Luisa d'Austria [2 aprile 1810]; n'ebbe un figliuolo che intitolò re di
Roma [20 marzo 1811]. E, precipitando nella politica sfrenata e delle riunioni
innaturali, riuní Olanda, riuní Germania settentrionale a Francia. Dall'Elba al
Tevere, da Amburgo a Roma chiamaronsi «francesi» tre schiatte, tre lingue, tre
nazioni diverse; e ne rimasero confuse, scemate, quasi distrutte le tre
nazionalitá, due vinte, una quantunque vincitrice. E giá meditava ed
apparecchiava un'altra riunione, degli spagnuoli fino all'Ebro. Ma gli
spagnuoli ebbero allora la gloria di resistere soli sul continente a tutto ciò;
gl'inglesi, di aiutarveli, essi che non correan pericolo dalla loro isola;
Wellington, d'esser capo militare a tale unica e bella resistenza. E i
perduranti ebbero poi l'aiuto che non manca mai, le occasioni; ebbero quello che
men di rado manca, l'esagerarsi nella prepotenza, lo stoltizzare del
prepotente.
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