10.
Roma [754-390]. - Quell'animosa cittá
si chiamava Roma. Sedeva, in un angolo tra il Tevere e l'Aniene, su un suolo
che era stato anticamente de' siculi, poi triplice confine degli etrusci, de'
sabini e de' latini. Era stata fondata, o forse rifondata, l'anno 754 da
Romolo, che le diede o forse ne prese il nome; e, fatta asilo, mercato di
quelle tre genti diverse, antichi tirreni i primi, iberici itali probabilmente
i secondi, e mistura d'itali, di pelasgi e d'elleni i terzi; avea raccolti
abitatori da tutte tre. Ma da' latini principalmente ella professò tener suoi
fondatori, sue origini, sua lingua; la confederazione de' latini fu quella a
cui prima ella fu addetta e si fece capo. Poi s'era ampliata, popolata,
arricchita ed afforzata a spese degli altri due vicini, sabini ed etrusci; ma
cosí lentamente, che dopo tre secoli e mezzo, le due recenti conquiste di
Falerio e di Veio erano le maggiori che ella avesse mai fatte; e l'ultima era
pure a un dieci miglia dalla cittá. - Del resto, regnata giá come tutte le
altre cittá d'Italia e d'Etruria od anzi della penisola, od anzi come tutte le
genti primitive stanziate od erranti, cioè retta da un principe, da un senato
di patrizi e da un'adunanza popolare, aveva (secondo le tradizioni) obbedito
cosí a sette re: Romolo [754-717], Numa Pompilio [717-679], Tullo Ostilio
[679-640], Anco Marzio [640-617], Tarquinio Prisco [617-578], Servio Tullio
[578-534], e Tarquinio Superbo [534-509]. Quindi, cacciato l'ultimo nell'anno
509, era passata a governo repubblicano quasi a un tempo che le cittá elleniche;
una contemporaneitá molto notevole, e che mostra, questa rivoluzione
antichissima dai principati alle repubbliche essersi estesa serpeggiando di
regione in regione, a modo di molte moderne. Del resto, queste rivoluzioni in
generale, e la romana in particolare, fecero poco piú che mutare il sommo
magistrato, giá unico ed ereditario od a vita secondo le occorrenze, in
parecchi elettivi ed a tempo; serbando le «gerontie» o senati e le assemblee
popolari, l'aristocrazia e la democrazia. In Roma i sommi magistrati fecersi
annui, e chiamaronsi «consoli»; e continuò a preponderare il senato,
l'aristocrazia. La quale poi fu fortissima od anche superba in quest'occasione,
contro ai galli. Non che dare i giovani ambasciadori, i Fabi, chiesti a
vittime, li fece capi al proprio esercito. Ma vinto questo all'Allia, fu
occupata la cittá di Roma. Molti patrizi vi si fecero uccidere, dicesi, sulle
lor sedie curuli; altri racchiusersi nella ròcca od arx del Campidoglio,
e vi durarono assediati sette mesi; altri si raccolsero fuori in Veio, la nuova
conquista; altri intorno a Furio Camillo che n'era stato il conquistatore, e
che, invidiato poi, traeva l'esilio in Ardea. E Camillo (il piú grande forse
fra le migliaia d'esuli italiani) guerreggiò dapprima per gli ardeati; poi,
fatto dittatore, per la ingrata patria, contro agli stranieri; poi, quando gli
assediati del Campidoglio ebber patteggiato co' galli, e se ne furon liberati a
peso d'oro e d'umiltá, egli il dittatore annullò il patto, ed inseguí e
sconfisse i vincitori predoni, e li ricacciò, per allora, a lor sedi. - Cosí
l'aristocrazia, conservatrice di natura sua, conservando la patria nei pericoli
estremi di guerra, mostrossi degna di conservarne il governo in pace. E cosí
Roma arrestò per sempre l'invasione straniera, a' limiti di quella che allora
si chiamava Italia; cosí ella si pose a capo della guerra d'indipendenza; cosí
ella salí a potenza, dapprima su quell'Italia, poscia a poco a poco su tutta la
penisola; e contemporaneamente su quasi tutt'Europa, e molta Asia e molta
Africa, tutto il gran cerchio del Mediterraneo. Potenza ammirabilmente
originata e meritata.
|