— La donna, assuefatta ad alcuna cosa, o buona o rea che si
sia, non si può da quella agevolmente astenere; perciò che in quell'abito
ch'ella è lungamente vivuta, persevera fino al termine della vita sua. Per il
che intendo ora raccontarvi un caso ad una vedovella avenuto; la quale,
abituata nella puzzolente lussuria, non puote mai per modo alcuno da quella
rimoversi, anzi con uno sottil inganno fatto al proprio figliuolo, che
amorevolmente la riprendeva, non cessò dal suo malvagio proponimento: sí come
nel discorso del mio ragionare a pieno intenderete.
Fu adunque, graziose donne, poco tempo fa, e forse ancora
udito l'avete, nella pomposa ed inclita cittá di Vinegia, una vedovella,
Polissena per nome chiamata, donna nel vero giovane di anni e di corpo
bellissima, ma di bassa condizione. Costei col proprio marito ebbe un
figliuolo, Panfilio chiamato, giovane ingenioso, di buona vita e di laudevoli
costumi; ed era aurifice. E perché, sí come ho detto di sopra, Polissena era
giovane vaga e piacevole, molti uomini, e de' primai della cittá, la
vagheggiavano, e fortemente la solecitavano. Ed ella, che giá provati aveva i
piaceri del mondo e i dolci abbracciamenti d'amore, agevolmente condescendeva
alla volontá di coloro che la solecitavano, e in anima e in corpo a quelli si
dava. Ella, essendo tutta fuoco, non si sottometteva a uno o duo amanti, il che
sarebbe stato errore degno di perdono per esser giovane e di poco rimasa
vedova; ma faceva copia della persona sua a chiunque desiderava gli
abbracciamenti suoi, non avendo riguardo né a l'onor suo, né a quello del
marito.
Panfilio, che di tal cosa era consapevole, non giá che la
favoreggiasse, ma perché di ora in ora s'accorgeva de' pessimi portamenti della
madre, si ramaricava molto, e ne sentiva quel grave cordoglio e dura passione
di animo, quale ciascaduno prudentissimo uomo sentito arrebbe. Dimorando
adunque il meschinello in questo tormento di animo, né potendo piú sofferire
tanto ignominioso scorno, piú e piú volte tra sé stesso deliberò uccidere la
madre. Ma poscia considerando che da lei avuto aveva l'essere, si rimosse dal
suo fiero proponimento, e volse vedere se con parole la poteva placare, e
rimoverla da questo errore. Laonde, presa un giorno l'opportunitá del tempo, si
pose con la madre a sedere; e tai parole amorevolmente le disse: — Madre mia
diletta e onoranda, non senza grandissimo dolore e affanno mi son posto quivi
con esso voi a sedere, e rendomi certo che voi non arrete a sdegno intender
quello che nel petto fin a ora tenni nascoso. Io vi ho per lo adietro
conosciuta savia, prudente e accorta; ma ora imprudentissima vi conosco, e
vorrei, sallo Iddio! esser tanto da lungi, quanto io vi sono da presso. Voi,
per quanto io posso comprendere, tenete pessima vita, la quale oscura la fama
vostra e il buon nome del quondam padre mio e marito vostro. E se non
volete aver risguardo all'onor vostro, almeno abbiate rispetto a me, che vi
sono unico figliuolo, in cui sperar potete che sará vero e fido sostentacolo
della vecchiezza vostra. — La madre, udite le parole del figliuolo, se ne rise,
e fece a modo suo. Panfilio, vedendo che la madre faceva poco conto delle
amorevoli sue parole, deliberò di non dirle piú cosa alcuna, ma lasciarla far
ciò che le aggradiva.
Non varcarono molti giorni, che Panfilio per sua sciagura
prese tanta rogna, che pareva leproso; e perché era il freddo grande, non
poteva remediarle. Stavasi il buon Panfilio la sera presso il fuoco, e di
continovo grattavasi la rogna; e quanto piú egli participava del calor del
fuoco, tanto piú s'accendeva il sangue e cresceva la smania. Stando una tra
l'altre sere Panfilio al fuoco, e con somma dolcezza grattandosi la rogna,
venne uno amante della madre, ed in presenzia del figliuolo stette gran pezza
con esso lei in amorosi ragionamenti. Il meschinello, oltra la noia della
infetta scabbia che fieramente lo premeva, di veder la madre con lui molto
s'attristava. Partitosi l'amante, Panfilio, grattandosi tuttavia la rogna, alla
madre disse: — Madre, altre volte io vi essortai che doveste reffrenare cotesta
mala e disonesta vita, la qual parturisce e a voi vergogna ria e a me, che vi
sono figliuolo, danno non picciolo; ma voi, come donna impudica, avete chiuse
le orecchie, volendo piuttosto contentare gli appetiti vostri, che attender a
gli consigli miei. Deh! madre mia! lasciate ormai questa ignominiosa vita,
cessate da sí grave scorno, conservate l'onor vostro né vogliate esser causa
della morte mia. Non vi avedete che la morte vi è sempre da canto? Non udite
quello che di voi si ragiona? — E cosí dicendo di continuo si grattava la
rogna. Polissena, udendo Panfilio suo figliuolo sí grandemente dolersi,
imaginossi farli una burla, acciò che piú non si ramaricasse di lei; e la burla
le successe sí come ella bramava ed era il desiderio suo. E voltatasi con
allegro viso verso il figliuolo, disse: — Panfilio, tu ti duoli e contristi di
me, che io tengo mala vita; io il confesso, e tu fai quello che dee far un buon
figliuolo. Ma se tu sei cosí desideroso dell'onor mio come tu dici, tu mi
contentarai d'una sola cosa, ed io all'incontro ti prometto di mettermi nelle
tue mani, e lasciare ogni amatore, e tenere buona e santa vita; ma non
contentandomi, tieni per certo che tu non arrai il desiderio tuo, ed io mi darò
a peggior vita che prima. — Il figliuolo, che desiderava piú che ogni altra
cosa l'onor materno, disse: — Comandate, madre, che se ben voleste che io mi
gettasse nel fuoco ed ivi m'abbrusciasse, io per amor vostro il farei
volentieri, mentre che voi non incorriate piú nel vizio in cui fin'ora siete
incorsa. — Guarda — disse la madre, — e considera bene sopra quello che io ti
dirò, che se tu intieramente l'osserverai, arrai l'intento tuo; se no, la cosa
sará con maggior tuo scorno e danno. — Io — disse Panfilio, — mi obligo di
essequire quanto voi mi proponerete. — Disse allora Polissena: — Io da te,
figliuolo, altro non voglio, salvo che per tre sere cessi di grattarti la
rogna; e io ti prometto di sodisfare al desiderio tuo. — Il giovane, udita la
materna proposta, stette alquanto sopra di sé: e quantunque dura gli paresse,
nondimeno accontentò; e in fede di questo ambiduo si toccaron la mano. Sopra
venne la prima sera, e Panfilio, partitosi da bottega, venne a casa; e posta
giú la zamarra, si mise a passeggiare per la camera. Indi, perché il freddo lo
molestava, si pose appresso il fuoco in un cantone; e tanto li crebbe la
volontá di grattarsi, che quasi non si poteva ritenere. La madre, che era
astuta e aveva acceso un buon fuoco acciò che il figliuolo meglio si scaldasse,
vedendolo tergersi e distendersi non altrimenti di quello ch'arrebbe fatto una
biscia, disse: — Panfilio, che fai tu? Guarda che non mi manchi della promessa
fede, perciò che io non son a te per mancare. — Rispose Panfilio:— Non dubitate
punto di me, madre mia. State pur voi ferma, ch'io non vi mancarò; — e tuttavia
l'uno e l'altra rabbiava: l'uno di grattarsi la rogna, l'altra di ritrovarsi
coll'amante suo. Passata con grandissima amaritudine la prima sera, sopragiunse
l'altra; e la madre, acceso un buon fuoco e apparecchiata la cena, aspettò il
figliuolo che ritornasse a casa. Il quale strinse i denti, e meglio che 'l
puote, ancor la seconda sera ottimamente passò.
Polissena, vedendo la gran costanza di Panfilio, e
considerando ch'erano passate due sere che grattato non si aveva, dubitò
fortemente di non esser perdente; e tra sé stessa si ramaricava assai. E perché
l'amoroso furore la tormentava molto, deliberò di far tal cosa, ch'egli avesse
causa di grattarsi, ed ella trovarsi colli suoi amanti. Onde fatta una delicata
cena con preciosi vini e potenti, aspettò il figliuolo che a casa tornasse.
Venuto il figliuolo e veduto l'insolito apparato, maravigliossi molto; e
voltatosi verso la madre, disse: — Madre, e dove procede la causa di cosí nobil
cena? Arreste mai voi mutato pensiero? — A cui rispose la madre: — Certo no,
figliuol mio; anzi son io piú costante che prima. Ma considerando che tutto 'l
giorno fino alla buia notte te ne stai a bottega a lavorare, e vedendo questa
maledizion di rogna averti sí attenuato che appena la ti lascia vivo, molto
m'attristava. Onde mossa a compassione di te, volsi prepararti alcuna dilicata
vivanda, acciò che tu potesti sovenire alla natura e piú gagliardamente
resistere al tormento della rogna che tu sopporti. — Panfilio, che era
giovanetto e semplice, non s'avedeva dell'astuzia materna, e che 'l serpe era
tra bei fiori nascoso; ma postosi a mensa appresso il fuoco con la madre,
cominciò saporitamente mangiare e allegramente bere. Ma l'astuta e maledetta
madre ora moveva le legna e soffiava nel fuoco acciò che maggiormente ardesse,
ora gli apporgeva il dilicato sapore di spezie condito, acciò che, dal cibo e
dal calor del fuoco acceso, maggiormente si grattasse la rogna. Stando adunque
Panfilio appresso il fuoco e avendo a saturitá empiuto il ventre, vennegli una
sí fatta rabbia di pizza, che si sentiva morire; ma pur volgendosi e
rivolgendosi or qua or lá, quanto piú mai poteva, sofferiva il tormento. Il
cibo salato e con spezie condito, il vino greco e il calor del fuoco gli
avevano giá sí fieramente accese le carni, che 'l miserello non puote piú
durare; ma squarciatisi i panni dinanzi il petto, e slacciatesi le calze, e
levatesi le maniche della camiscia sopra le braccia, si puose sí fortemente a
grattarsi, che d'ogni parte a guisa di sudore il sangue pioveva: e voltatosi
verso la madre, che tra sé stessa rideva, ad alta voce disse: — Ogn'un torni al
suo mistiero! ogn'un torni al suo mistiero! — La madre, vedendo giá aver vinta
la lite, finse di dolersi; e disse al figliuolo: — Panfilio, che sciocchezza è
la tua? che pensi tu di fare? è questa la promessa che fatta mi hai? Tu non
potrai piú dolerti di me, ch'io non ti abbia servata la fede. — Panfilio,
tuttavia forte grattandosi, con animo alquanto turbato rispose: — Madre, ogn'un
torni al suo mistiero; voi farete fatti vostri, ed io farò i miei. — E d'allora
in qua il figliuolo non ebbe piú ardire di riprender la madre, ed ella ritornò
alla usata sua mercatanzia, aumentando le facende sue. —
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