— Suolsi dire, carissime donne, che la virtú consiste nelle
parole, nell'erbe e nelle pietre; ma le pietre avanzano in virtute l'erbe e le
parole: sí come per questa mia brevissima favoluzza intenderete.
Era nella cittá di Bergamo un sacerdote avaro, chiamato pre'
Zefiro, e aveva fama di aver gran danari. Costui aveva un giardino fuori della
cittá presso alla porta che si chiama Penta. Il qual giardino era circondato da
mura e fosse, di modo che non vi potevano entrare uomini né animali, ed era
ornato di diversi arbori d'ogni sorte; e tra gli altri vi era un gran figaro
con suoi rami sparsi d'intorno, carico di frutti bellissimi e ottimi, de' quali
soleva participare ogni anno con gentil'uomini e primai della cittá. Erano quei
fighi di color misto tra bianco e pavonazzo, e gettavano lagrime come di mele;
ed eranvi sempre guardiani che gli custodivano diligentemente. Una notte, che
per caso non vi erano li guardiani, un giovane ascese sopra quest'arbore; e
scegliendo i fighi maturi, quelli con silenzio cosí vestiti nella voragine del
ventre suo fedelmente nascondeva. Pre' Zefiro, ricordandosi che non erano
guardiani al suo giardino, vi andò volando; e subito che fu entrato dentro,
vidde costui che sedeva su l'arbore mangiando i fighi a suo bell'agio. Onde il
sacerdote incominciò pregarlo che descendesse; e non descendendo, egli si gettò
in genocchioni, scongiurando per lo cielo, per la terra, per i pianeti, per le
stelle, per gli elementi e per tutte le sacre parole che si trovano scritte,
che venisse giuso; e il giovane tanto piú attendeva a mangiare. Pre' Zefiro,
vedendo che non faceva profitto alcuno con tai parole, raccolse dell'erbe,
ch'erano lí d'intorno, e in virtú di quelle lo scongiurava che descendesse; ed
egli piú alto ascendeva, meglio accomodandosi. Allora il prete disse queste
parole: — Gli è scritto che nelle parole, nell'erbe e nelle pietre sono le
virtú; per le due prime ti ho scongiurato, e non ti hai curato di descendere;
ora in virtú di quelle ti scongiuro che debbi venir giuso. — E cosí cominciò a
trarli delle pietre con mal animo e gran furore; e ora l'aggiungeva nel
braccio, ora nelle gambe e ora nella schiena. Onde per gli spessi colpi tutto
enfiato percosso e malmenato, gli fu forza a descendere; e dandosi il giovane
alla fuga, depose i fighi ch'egli s'aveva ragunati in seno. E cosí le pietre
avanzaro in virtú l'erbe e le parole. —
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