Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giovanni Francesco Straparola
Le piacevoli notti

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO
    • NOTTE SETTIMA
      • FAVOLA IV. Duo fratelli s'amano sommamente; l'uno cerca la divisione della facultá: l'altro gli consente, ma vuole che la divida. Egli la divide; l'altro non si contenta, ma vuole la metá della moglie e de' figli: e poi s'acquetano.
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

FAVOLA IV.

Duo fratelli s'amano sommamente; l'uno cerca la divisione della facultá:

l'altro gli consente, ma vuole che la divida. Egli la divide; l'altro

non si contenta, ma vuole la metá della moglie e de' figli: e poi s'acquetano.

[Lionora:]

Grande veramente, amorevoli e graziose donne, è l'amore del tenero padre verso il suo figliuolo; grande è la benivolenza del stretto e fedel amico verso l'altro; grande è l'amorevolezza che porta l'orrevole cittadino alla cara e diletta sua patria. Ma non minore giudico esser quello di duo fratelli, quando sommamente e con perfetto amore s'amano insieme. Da questo, avenga che sovente il contrario si vegga, riescono lieti e maravigliosi effetti, che oltre la speranza riducono l'uomo al desiderevole fine. E di ciò io ne potrei addurre infiniti esempi: i quali, per non fastidire questa nobile e grata compagnia, con silenzio passo. E per attendere a quanto vi ho promesso, intendo ora di raccontarvi un caso poco tempo fa a duo fratelli avenuto, il quale spero vi sará piú tosto di non picciolo frutto, che di contentezza.

In Napoli, cittá nel vero celebre e famosa, copiosa di leggiadre donne, costumata e abondevole di tutto quello che imaginar si puole, furono due fratelli; l'uno de' quai si chiamava Ermacora e l'altro Andolfo. Costoro erano di stirpe nobile e della famiglia Carafa, e ambiduo dotati di risvegliato ingegno; e appresso questo maneggiavano molte merci, con le quali avevano acquistato un ricco tesoro. Questi, sendo ricchi e di nobil parentado e senza moglie, come ad amorevoli fratelli conviene, vivevano a comuni spese; e tanto era il loro fratellevole amore, che l'uno non faceva cosa veruna, che non fosse di somma contentezza dell'altro. A venne che Andolfo, minor fratello, con consenso però di Ermacora, si maritò; e prese per sua legittima moglie una donna gentile e bella e di sangue nobile, il cui nome era Castoria. Costei, perciò che prudente era e di alto ingegno, non meno onestamente amava e riveriva Ermacora suo cognato, che Andolfo suo marito: e l'uno e l'altro di loro con reciproco amore le correspondeva; e tanta era fra loro la concordia e la pace, che per l'adietro mai non si trovò la pare. Castoria, come piacque al giusto Dio, ebbe molti figliuoli: e come cresceva la famiglia, cosí parimente cresceva l'amorevolezza e la pace e s'aumentavano le ricchezze: né v'era tra loro mai differenzia alcuna; anzi tutt'e tre erano d'un medesimo volere e d'una medesima volontá.

Cresciuti i figliuoli, e giunti alla perfetta etá, la cieca fortuna, invidiosa dell'altrui bene, s'interpose; e dove era unione e pace, cercò di metter guerra e discordia. Onde Andolfo, mosso da fanciullesco e non ben regolato appetito, deliberò al tutto dividersi dal fratello, e conoscere la parte de' beni suoi, e abitare separatamente altrove; e un disse al fratello: — Ermacora, egli è gran tempo che noi amorevolmente abbiamo abitato insieme e communicato il nostro avere, né mai tra noi è stata torta parola; e acciò che la fortuna, volubile come al vento foglia, non semini tra noi qualche zizzania, ponendo disordine e discordia dove è ordine e pace, determinai conoscer il mio e venire alla divisione teco; e questo io fo, non che abbia mai ricevuta ingiuria da te, ma acciò che ad ogni mio volere possa disponere le cose mie. — Ermacora, inteso il sciocco voler del fratello, non si puote astenere che non si ramaricasse: e principalmente non essendovi causa per la quale egli dovesse moversi leggermente a separarsi da lui; e con dolci ed affettuose parole incominciò ammonirlo ed essortarlo che da questo iniquo pensiero si dovesse rimovere. Ma Andolfo, piú ostinato che prima, persisteva nel suo malvagio volere; né considerava il danno che avenir ne poteva. Onde con voce robesta disse: — Ermacora, egli è commun proverbio che ad uomo deliberato non giova consiglio; e però non fa bisogno che con tue lusinghevoli parole mi rimovi da quello che giá fermamente proposi nell'animo mio, né voglio che mi astringi a renderti la ragione per la quale io mi muova a separarmi da te. E quanto piú tosto farai la divisione, tanto maggiormente mi fia grato. — Udendo Ermacora il fermo voler del fratello, e vedendo di non poterlo con dolci parole rimuovere, disse: — Poscia che cosí ti aggrada che noi dividiamo il nostro avere, e che l'uno e l'altro si separi, io (non però senza grave dolore e grandissimo discontento) sono apparecchiato di sodisfarti e adempire ogni tuo volere. Ma una sol grazia a te addimando, e pregoti che quella non mi neghi, e negandola presto vedresti il termine della vita mia. — A cui Andolfo: — che ti piace, — rispose, — che in ogni altra cosa, fuor che in questa, son per contentarti. — Allora disse Ermacora: — Dividere la robba e separarsi l'uno da l'altro, è giusto e ragionevole; ma dovendosi far questa divisione, io vorrei che tu fosti il partitore, facendo le parti che niuno s'avesse a sentire. — Rispose Andolfo: — Ermacora, a me non aspetta far le parti, perciò che io sono il fratello minore; ma appartiene a te, come fratello maggiore. — Finalmente Andolfo, bramoso di dividere e d'adempire la sua sfrenata voglia, né vedendo altro rimedio di venir al fine, divise i beni, e al fratel maggiore diede la elezione. Ermacora, che era uomo aveduto, ingenioso e d'animo benigno, quantunque vedesse le parti esser giustissime, finse però quelle non esser uguali, ma in diverse cose manchevoli; e disse: — Andolfo, la divisione che tu hai fatta, ti par per tuo giudizio che stia bene, e niuno si abbia a dolere; ma a me pare che uguale non sia. Onde ti prego che meglio la sostanzia dividi, acciò che l'uno e l'altro resti contento. — Vedendo Andolfo il fratello della divisione non contentarsi, rimosse alcune cose da una parte e le mise all'altra; e addimandolli se in tal maniera erano le parti uguali, e se di tal divisione si contentava. Ermacora, che era tutto amore e caritá, sempre gli opponeva e fingeva di non contentarsi, quantunque il tutto fosse con sinceritá ottimamente diviso. Parve molto strano ad Andolfo che 'l fratello non si contentasse di quello che fatto aveva; e con faccia tutta di sdegno pregna, prese la carta nella qual era annotata la divisione, e quella con molto furore squarciò; e voltatosi contra il fratello, disse: — Va, e secondo che ti piace, dividi; perciò che io sono disposto al tutto vedere il fine, avenga che fosse con mio non poco danno. — Ermacora, che chiaramente vedeva l'acceso animo del fratello, con umil voce graziosamente disse: — Andolfo, fratello mio, non ti sdegnare, e non permettere che 'l sdegno superi la ragione; raffrena l'ira, tempera la collera e conosci te stesso; poscia come prudente e savio considera se le parti sono pari: e non essendo pari, fa ch'elle siano; perciò che allora mi accheterò, e senza contrasto torrò la parte mia. — Andolfo ancor non intendeva l'alto concetto che era ascosto nel ben disposto cuore del fratello; né avedevasi dell'artificiosa rete colla quale egli s'ingegnava di prenderlo. Onde con maggior empito e con maggior furore che prima, contra il fratello disse: — Ermacora, non ti dissi io che tu facesti le parti come fratello maggiore? E perché non le festi? Non mi promettesti tu di contentarti di quello che da me deliberato fosse? E perché ora mi manchi? — Rispose Ermacora: — Fratello mio dolcissimo, se tu hai partita la robba e datami la parte mia, se ella non è eguale alla tua, qual ragion vuole ch'io non mi lamenta? — Disse Andolfo: — Qual cosa si trova in casa, della quale ancor tu non abbi avuta la parte tua? — Rispose Ermacora, non averla avuta; e Andolfo diceva che , e Ermacora diceva che no. — Io vorrei saperedisse Andolfo, — in che mancai, che le parti non siano pari. — A cui rispose Ermacora: — Tu mancasti, fratel mio, nel piú. — E perché Ermacora vedeva Andolfo piú adirarsi, e la cosa, se piú in lungo andava, poteva partorire scandolo dell'onore come della vita, trasse un gran sospiro; e disse: — Tu dici, o amorevole fratello, avermi data intieramente la parte che di ragion mi tocca; e io il nego, e il provo con evidentissima ragione, che potrai con l'occhio vedere e con la mano toccare. Dimmi un poco, e il sdegno stia da parte, quando tu menasti a casa Castoria, tua diletta moglie e mia cara cognata, non eravamo noi in fraterna? — . — Non si ha ella affaticata in governar la casa a beneficio universale? — . — Non ha ella partorito tanti figliuoli, quanti che ora tu vedi? Non sono nati in casa? Non è ella vivuta con i figliuoli a communi spese? — Stava Andolfo tutto attonito ad ascoltar l'amorevoli parole del fratello; né poteva comprendere il loro fine. — Tu hai, fratello mio, — diceva Ermacora, — divisa la robba: ma non hai divisa la moglie e i figliuoli, dandomi di loro ancor la parte mia. Non debbo ancora io participar di loro? E come farò io senza la parte della diletta cognata e degli amorevoli nipoti miei? Dammi adunque e della moglie e de' figliuoli la parte mia; dopo', vattene in pace, che io ne rimarrò contento. E se altrimenti farai, io non intendo che la divisione abbia luogo per modo alcuno. E se per caso, che Iddio no 'l voglia! non volesti a questo consentire, io giuro di convenirti dinanzi la mondana giustizia e addimandar ragione; e non possendo ottenerla dal mondo, io ti farò citare dinanzi al tribunal di Cristo, a cui ogni cosa è manifesta e palese. —

Stava Andolfo molto attento alle parole del fratello, prendendone grandissima maraviglia: e considerava con qual tenerezza di cuore quelle provenivano dal vivo fonte di amorevolezza: e quasi confuso non poteva raccoglier lo spirito a formare la parola per rispondergli. Pur in sé converso, e addolcito l'indurato cuore, prostrato a terra, disse: — Ermacora, grande è stata l'ignoranza mia, grande l'errore; ma maggiore è stata la gentilezza e umanitá tua. Ora conosco il mio sciocco errore: ora veggio la mia aperta ignoranza: ora chiaramente comprendo la turbida nube del mio grosso ingegno; né è lingua pronta spedita, che isprimere potesse quanto io sia degno di rigido castigo, né pena è aspra e crudele, che io non meriti. Ma perché tanta è la clemenza e la bontá che nel tuo petto alberga, e tanta è l'amorevolezza che mi dimostri e hai sempre dimostrato, ricorro a te come fonte vivo, e chiedoti perdono d'ogni mio fallo; e promettoti di mai partirmi da te, ma star alla ubidienza tua con la moglie e con i figliuoli: de' quali voglio che tu disponi non altrimenti che si fussero generati da te. — Allora i fratelli con molte lagrime, che giú da gli occhi cadevano, s'abbracciaron insieme; e in tal maniera s'acquietarono, che per l'avenire non fu mai piú parola tra loro: e fattamente in tranquilla pace vissero, che li figliuoli e i nepoti dopo la loro morte ricchissimi rimasero. —




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License