Il biondo e luminoso Apollo,
figliuolo del tonante Giove e di Latona, omai s'era partito da noi; e le
lucciole, uscite delle cieche e tenebrose caverne, rallegravansi di volare per
la oscuritá della notte, e quella d'ogni intorno signoreggiavano, quando la
signora, venuta nella spaziosa sala con le damigelle, graziosamente ricevette
la nobile e orrevol compagnia, che poco inanzi al bel ridotto era arrivata. E
veggendo tutti come la sera precedente esser ridotti, comandò gli stromenti che
venissero: e poscia ch'ebbero danzato alquanto, venne con l'aureo vaso uno
servente, e di quello un fanciullo trasse cinque nomi; de quali il primo fu di
Eritrea, l'altro di Cateruzza, il terzo di Arianna, il quarto di Alteria:
riservato l'ultimo a Lauretta. Ma prima che la festevole Eritrea desse
principio alla sua favola, la signora volse che tutte cinque insieme con lor
stromenti cantassero una canzone. Le quali con lieti visi e angelichi sembianti
in tal maniera incominciorono la lor cantilena:
Questa fera gentile,
dove soglio trovar sovente unita
ne' suoi begli occhi la mia morte e vita,
mentre piú allargo alle lagrime il freno
per ritrovar pietá, non pur mercede,
ella poco si cura e 'l duol non crede.
E nel volto sereno,
per maggior doglia e per peggior mia sorte,
scorgo che 'l ciel m'ha in odio, amore e morte. —
Piacque a tutti il dolce e celeste
canto: e massimamente al Bembo, a cui piú che ad ogn'altro toccava. Ma per non
scoprir quello che nel cuor ascoso teneva, s'astenne da ridere. E volto il viso
verso la graziosa Eritrea, disse: — Sarebbe oramai tempo che voi con una
dilettevole favola deste principio al novellare. — Ed ella, senz'aspettar altro
comandamento dalla signora, cosí allegramente incominciò:
|