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Giovanni Francesco Straparola
Le piacevoli notti

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  • LIBRO SECONDO
    • NOTTE OTTAVA
      • FAVOLA V. Maestro Lattanzio sarto ammaestra Dionigi suo scolare; ed egli poco impara l'arte che gl'insegna, ma ben quella 'l sarto teneva ascosa. Nasce odio tra loro, e finalmente Dionigi lo divora, e Violante figliuola del re per moglie prende.
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FAVOLA V.

Maestro Lattanzio sarto ammaestra Dionigi suo scolare; ed egli poco impara

l'arte che gl'insegna, ma ben quella 'l sarto teneva ascosa. Nasce odio tra loro,

e finalmente Dionigi lo divora, e Violante figliuola del re per moglie prende.

[Alteria:]

Vari sono i giudíci degli uomini e varie le volontá; e ciascaduno, come dice il savio, nel suo senso abbonda. Da qua procede che degli uomini alcuni si danno al studio delle leggi, altri all'arte oratoria, altri alla speculazione della filosofia, e chi ad una cosa e chi a l'altra: cosí operando la maestra natura, la quale, come pietosa madre, muove ciascaduno a quel che gli aggrada. Il che vi fia noto se al parlar mio benigna audienza prestarete.

In Sicilia, isola che per antiquitá tutte le altre avanza, è posta una nobilissima cittá; la quale per lo sicuro e profondissimo porto è chiara, e volgarmente è detta Messina. Di questa nacque maestro Lattanzio; il quale aveva due arti alle mani, e dell'una e dell'altra era uomo peritissimo: ma una essercitava publicamente e l'altra di nascosto. L'arte che egli palesemente essercitava, era la sartoria; l'altra, che nascosamente faceva, era la nigromanzia. Avenne che Lattanzio tolse per suo gargione un figliuolo d'un pover'uomo, acciò che imparasse l'arte del sarto. Costui, che era putto, e Dionigi si chiamava, era diligente ed accorto, che quanto gli era dimostrato, tanto imparava. Avenne che, sendo un maestro Lattanzio solo e chiuso nella sua camera, faceva certe cose di nigromanzia. Il che avendo persentito Dionigi, chetamente si accostò alla fessura che nella camera penetrava; e vidde tutto quello che Lattanzio suo maestro faceva. Laonde, invaghito di tal arte, puose ogni suo pensiero alla nigromanzia, lasciando da canto l'essercizio del sarto; non però osava scoprirsi al maestro. Lattanzio, vedendo Dionigi aver mutata natura, e di diligente e saputo esser divenuto pigro ed ignorante, né piú attendere, come prima, al mistiero del sarto, diégli licenza, e mandollo a casa di suo padre. Il padre, che poverissimo era, veduto che ebbe il figliuolo, molto si duolse. E poscia che castigato ed ammaestrato l'ebbe, lo ritornò a Lattanzio, pregandolo sommamente che lo dovesse tenere, castigarlo e nodrirlo; né altro da lui voleva se non che l'imparasse. Lattanzio, che conosceva il padre del gargione esser povero, da capo l'accettò, e ogni giorno gl'insegnava cuscire; ma Dionigi si dimostrava d'addormentato ingegno, e nulla apparava. Per il che Lattanzio ogni giorno con calzi e pugna lo batteva, e il piú delle volte li rompeva il viso e facevagli uscir il sangue; ed insomma piú erano le battiture, che i bocconi che egli mangiava. Ma Dionigi ogni cosa pazientemente sofferiva; e la notte alla fessura della camera n'andava, e il tutto vedeva. Vedendo Lattanzio il gargione esser tondo di cervello, né poter apparare cosa che li fosse mostrata, non si curava piú di far la sua arte nascosamente, imaginandosi che, s'egli non poteva apparar quella del sarto, che era agevole, molto minormente appararebbe quella di nigromanzia, che era malagevole. E però Lattanzio non si schifava piú da lui, ma ogni cosa in sua presenzia faceva. Il che era di molto contento a Dionigi; il quale, quantunque fosse giudicato tondo e grossolone, pur molto leggermente apparò l'arte nigromantica, e divenne dotto e sofficiente in quella, che di gran lunga il maestro avanzò. Il padre di Dionigi, andatosene un giorno alla bottega del sarto, vidde suo figliuolo non lavorare, ma portar le legna e l'acqua che bisognava per cucina, scopar la casa e far altri vilissimi servigi. Onde assai si duolse; e fatta tuor buona licenza dal maestro, a casa lo condusse.

Aveva il buon padre per vestir il figliuolo molti danari spesi acciò che apparasse l'arte del sarto; ma vedendo non potersi prevaler di lui, assai si ramaricava; ed a lui diceva: — Figliuolo mio, tu sai quanto per farti un uomo ho per te speso; né dell'arte tua mi ho mai prevalesto nelle bisogne mie. Onde mi trovo in grandissima necessitá, né so come debba far in nodrirti. Io vorrei, figliuol mio, con qualche onesto modo tu ti affaticassi per sovenirti. — A cui rispose il figliuolo: — Padre, prima vi ringrazio delle spese e fatiche fatte per me; indi pregovi che non vi affannate, ancor che io non abbia apparato l'arte del sarto, come era il desiderio vostro; perciò che io ne apparai un'altra che ne sará di maggior utile e contento. State adunque cheto, padre mio diletto, né vi smarrite, perciò che presto vedrete il profitto che io fei, e del frutto la casa e la famiglia sovenir potrete. Io per nigromantica arte trasmuterommi in un bellissimo cavallo; e voi fornito di sella e briglia mi menerete alla fiera, e mi venderete: ed io lo sequente giorno ritornerò a casa nel modo che voi ora mi vedete; ma guardate di non dare in modo alcuno al compratore la briglia, perciò che io non potrei piú ritornare a voi, e forse piú non mi vedreste. — Trasformatosi adunque Dionigi in un bellissimo cavallo, e menato dal padre in fiera, fu veduto da molti: i quai si maravigliavano di tanta bellezza e delle prove che il cavallo faceva.

Avenne che in quell'ora Lattanzio si trovava in fiera; e veduto il cavallo, e conosciutolo esser sopranaturale, andò a casa: e trasformatosi in un mercatante, prese gran quantitá di danari, ed in fiera ritornò. E avicinatosi al cavallo, espressamente conobbe quello esser Dionigi; e addimandato il patrone se vender lo voleva, fulli risposo che . E fatti molti ragionamenti, il mercatante gli offerse dare fiorini ducento d'oro.

Il patrone del prezio s'accontentò, con patto però che non intendeva che nel mercato fosse la briglia. Il mercatante tanto con parole e con danari fece, che ebbe anche la briglia, e menollo al proprio alloggiamento; e messolo in stalla, e strettamente legato, aspramente il bastonava; e questo ordine teneva e mattina e sera, di modo che 'l cavallo era venuto distrutto, che era una compassione a vederlo. Aveva Lattanzio due figliuole; le quali, vedendo la crudeltá dell'impio padre, si mossero a pietá; ed ogni andavano alla stalla, ed il cavallo accarezzavano, facendogli mille vezzi. E tra le altre una volta lo presero per lo capestro, e lo menorono al fiume per dargli da bere. Giunto il cavallo al fiume, subito nell'acqua si slanciò; e trasformatosi nel pesce squallo, s'attuffò nell'onde. Le figliuole, veduto il strano ed inopinato caso, si smarrirono; e ritornate a casa, si misero dirottamente a piagnere, battendosi il petto e squarciandosi e biondi capelli. Non stette molto che Lattanzio venne a casa; e gitosene alla stalla per dar delle busse al cavallo, quello non trovò: ma acceso di subita ira, e andato su dove erano le figliuole, vidde quelle dirottamente piagnere; e senza addimandarle la causa delle lagrime loro, perciò che s'avedeva dell'error suo, disse: — Figliuole mie, senza timore dite presto quello è intravenuto del cavallo, che noi li provederemo. — Le figliuole, assecurate dal padre, puntalmente gli narrorno il tutto. Il padre, inteso il sopradetto caso, senza indugio si spogliò le sue vestimenta, e andato alla riva del fiume, nell'acqua si gettò; e trasformatosi in un tonno, perseguitò il squallo ovunque nuotava per divorarlo. Il squallo, avedutosi del mordace tonno e temendo che non lo inghiottisse, s'accostò alla sponda del fiume; e fattosi in un preciosissimo robino, uscí fuori dell'acqua, e chetamente saltò nel canestro d'una damigella della figliuola del re, la quale per suo diporto nel lito raccoglieva certe pietruzze: e tra queste si nascose. Tornata la damigella a casa, e tratte fuori le pietruzze del canestro, Violante, unica figliuol del re, vidde l'anello: e preso, se lo pose in dito, e tennelo molto caro. Venuta la notte, e andatasene Violante a riposare, tenendo tuttavia l'anello in dito, l'anello si trasmutò in un vago giovanetto; il quale, messa la mano sopra il candido petto di Violante, trovò due popoline ritondette e sode. Ed ella, che ancora non s'era addormentata, si smarrí, e volse gridare. Ma il giovane, posta la mano sopra la bocca, di odor piena, non la lasciò gridare; e messosi in genocchione, le chiese mercé, pregandola che gli porgesse aiuto, perciò che non era ivi venuto per contaminare la sua casta mente, ma da necessitá costretto; e raccontolle chi egli era, la causa perché era venuto, e come e da chi era perseguitato. Violante, per le parole del giovane assicurata alquanto, e per la lampade, che era nella camera accesa, veggendolo leggiadro e riguardevole, si mosse a pietá; e disse: — Giovane, grande è stata l'arroganzia tua a venir dove non eri chiamato, e maggiore a toccar quello che non ti conveneva. Ma poscia ch'io intesi le sciagure a pieno da te raccontate, io, che non sono di marmo né ho il cuore di diamante, mi accingo e preparo a darti ogni possibile ed onesto soccorso, pur che il mio onore illeso sia riserbato. — Il giovane prima le rese le debite grazie: indi, venuto il chiaro giorno, nell'anello si fece; ed ella il pose dove erano le sue care cose: e spesse volte l'andava a visitare, e con lui, che si riduceva in forma umana, dolcemente ragionava.

Avenne che al re, padre di Violante, sopragiunse una grave infermitá; né si trovava medico che 'l potesse guarire, ma tutti dicevano l'infermitá incurabile: e di in il re peggiorava. Il che venne all'orecchie di Lattanzio; il quale, vestitosi da medico, andò al palazzo regale: ed entrato in camera del re, l'addimandò della sua infermitá; poscia, guardatolo ben nella faccia, e tòccogli il polso, disse: — Sacra Corona, l'infermitá è grande e pericolosa; ma state di buon animo, che presto vi risanarete. Io ho una virtú, che vuol ben esser infermitá gravissima, che non la curi in brevissimo tempo. State adunque di buona voglia, e non vi sgomentate. — Disse il re: — Maestro mio, se voi curarete questa infermitá, io vi guidardonerò di tal sorte, che per tutto il tempo della vita vostra contento vi trovarete. — Il medico disse che non voleva statodanari, ma una sola grazia. Il re promise concedergli ogni cosa che convenevole fosse. Disse il medico: — Sacra corona, altro da voi non voglio se non un robino legato in oro, che ora si trova in balia della figliuola vostra. — Il re, intesa la picciola domanda, disse: — Se altro da me non volete, state sicuro che la grazia vi sará concessa. — Il medico, diligente alla cura del re, tanto operò, che in dieci giorni dalla gravosa infermitá fu liberato. Risanato il re e restituito alla pristina sanitá, in presenza del medico fece il re chiamare la figliuola, e comandolle che li portasse tutte le gioie che ella aveva. La figliuola, ubidiente al padre, fece quanto il re le aveva comandato; non però gli portò quella che sopra ogni altra cosa teneva. Il medico, vedute le gioie, disse tra quelle non esser il robino che egli desiderava: e che la figliuola riguardasse meglio, che lo troverebbe. La figliuola, che era giá tutta accesa dell'amor del robino, denegava averlo. Il re, questo udendo, disse al medico: — Andate e ritornate dimani, che faremo fattamente con la figliuola, che voi l'arrete. — Partitosi il medico, il padre chiamò Violante: e ambiduo chiusi in una camera, dolcemente l'interrogò del robino che voleva il medico. Ma ella costantemente denegava il tutto.

Partita dal padre Violante ed andata nella sua camera e chiusa sola dentro, si mise a piagnere; e preso il robino, lo abbracciava, basciava e stringeva, maladicendo l'ora che il medico in queste parti era venuto. Vedendo il robino le calde lagrime che dai be' occhi giú scorrevano ed i profondi sospiri che dal ben disposto cuore venivano, mosso a pietá, si converse in umana forma; e con amorevoli parole disse: — Signora mia, per cui reputo aver la vita, non piangetesospirate per me che vostro sono, ma cercate rimedio al nostro affanno; perciò che il medico che con tanta sollecitudine procaccia di avermi nelle mani, è il mio nemico che vorrebbe di vita privarmi: ma voi, come donna prudente e savia, non mi darete nelle sue mani, ma dimostrandovi piena di sdegno, mi trarrete nel muro; ed io provederò al tutto. — Venuta la mattina sequente, il medico ritornò al re; ed udita la cattiva risposta, alquanto si turbò, affermando veramente il robino esser nelle mani della figliuola. Il re, chiamata la figliuola in presenza del medico, disse: — Violante, tu sai che per virtú di questo medico noi abbiamo riavuta la sanitá, e per suo guidardone egli non vuole statitesori, ma solamente un robino, il quale dice esser nelle tue mani. Io avrei creduto che per l'amor che mi porti, non che un robino, ma del proprio sangue mi avesti dato. Onde per l'amor che io ti porto e per le fatiche che ha portate tua madre per te, ti prego che non neghi la grazia che il medico addimanda. — La figliuola, udita ed intesa la volontá paterna, ritornò in camera; e preso il robino con molte gioie, ritornò al padre, e ad una ad una le addimostrò al medico: il qual, subito che vidde quella che tanto desiderava disse: — Eccola! — e volse gettarli la mano adosso. Ma Violante, avedutasi dell'atto, disse: — Maestro, state indietro, perciò che voi l'avrete. — E tolto il robino con sdegno in mano, disse: — Giá che questo è il caro e gentil robino che voi cercate, per la cui perdita in tutto il tempo della vita mia rimarrò scontenta, io non vi lo do di mio volere, ma astretta dal padre; — e cosí dicendo, trasse il bel robino nel muro: il quale, giunto in terra, subito s'aprí, e un bellissimo pomo granato divenne, il quale, aperto, sparse le sue granella da per tutto. Il medico, vedute che ebbe del pomo le granella sparse, si trasformò in un gallo: e credendo col suo becco Dionigi di vita privare, rimase del tutto ingannato; perciò che un grano in tal modo si nascose, che dal gallo mai non fu veduto. Lo nascosto grano, aspettata l'opportunitá, in un'astuta e sagace volpe si converse; ed accostatosi con fretta al crestuto gallo, quello per lo collo prese, uccise ed in presenza del re e della figliuola il divorò. Il che vedendo, il re stupefatto rimase; e Dionigi, ritornato nelle propria forma, narrò al re il tutto, e di consentimento suo prese Violante per sua legittima moglie: con la quale visse lungo tempo in tranquilla e gloriosa pace; e il padre di Dionigi di povero grandissimo ricco divenne, e Lattanzio, d'invidia e odio pieno, ucciso rimase.—




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