— Se noi, piacevoli donne, volessimo, con quella diligenzia
che si conviene, prudentemente cercare quanto grande sia il numero de sciocchi
e d'ignoranti, con assai agevolezza trovaressimo essere innumerabile; e se piú
oltre volessimo conoscere i difetti che dalla ignoranza procedeno, andiancene
dalla isperienza, di tutte le cose maestra, ed ella, come madre diletta, il
tutto ci dimostrerá. Ed acciò che noi non ce ne andiamo con le mani, come
volgarmente si dice, piene di mosche, dicovi che da lei, tra gli altri vicii,
nasce uno che è la superbia, fondamento di tutti i mali e radice d'ogni umano
errore; perciò che l'uomo ignorante si presume sapere quel che non sa, e vuole
apparere quel che non è: sí come avenne ad un prete di villa, il quale,
presumendosi esser scienziato, era il maggior ignorante che mai la natura
creasse. Ed ingannato dalla falsa sapienza sua, rimase della facoltá e quasi
della vita privo: sí come per la presente novella, la qual forse ancora intesa
avete, a pieno intenderete.
Dicovi adunque che nel territorio di Brescia, cittá assai
ricca, nobile e popolosa, fu, non giá molto tempo fa, uno prete, il cui nome
era Papiro Schizza; ed era rettore della chiesa della villa di Bedicuollo, non
molto discosta dalla cittá. Costui, che era essa ignoranza, faceva il literato,
e mostravasi con ogni uno esser gran sapiente; e quelli del contado assai
volontieri il vedevano, onoravano e di molta dottrina l'estimavano. Avenne che
dovendosi il giorno di san Macario in Brescia celebrare una divota e solenne
processione, il vescovo fece fare un espresso comandamento a tutti i chierici
sí della cittá come di villa, che sotto pena di ducati cinque dovessero cum
cappis et coctis venir ad onorare la solenne festa, sí come ad un tanto
divoto santo si conveniva. Il nunzio del vescovo, andatosene alla villa di
Bedicuollo, trovò messer pre' Papiro, e fecegli il comandamento, da parte di
monsignor lo vescovo: che sotto pena di ducati cinque il giorno di san Macario
la mattina per tempo si trovi a Brescia nella chiesa catredale cum cappis et
coctis, acciò che egli con gli altri preti onori la solenne festa.
Partito che fu il nunzio, messer pre' Papiro cominciò tra sé
stesso pensare e ripensare che dir volesse ch'ei venisse a tal solennitá cum
cappis et coctis. E discorrendo su e giú per casa, ruminava con la dottrina
e sapienza sua, se per aventura poteva venir in cognizione delle predette
parole. Or avendo lungamente pensato sopra questo, finalmente gli occorse
nell'animo che cappis et coctis non significasse altro che capponi
cotti. Onde, fermatosi nella sua bestial intelligenza, senza aver l'altrui
consiglio, prese due paia di capponi, e degli migliori, e alla fante ordinò che
diligentemente li cucinasse. Venuta la mattina sequente, pre' Papiro
nell'aurora montò a cavallo: e fattisi dare in un piatto i capponi cotti, a
Brescia li portò; ed appresentatosi dinnanzi a monsignor lo vescovo, li diede i
capponi cotti, dicendoli che dal suo nuncio gli era stato commesso ch'egli
venisse ad onorar la festa di san Macario cum cappis et coctis, e per
sodisfare al debito suo egli era venuto e seco portato aveva i capponi cotti.
Il vescovo, che era prudente ed astuto, veduti i capponi grassi e ben arrostiti,
e considerata la ignoranzia del prete, strinse le labbra e s'astenne dalle
molte risa; doppo con faccia gioconda accettò i capponi, e resegli mille gratis.
Messer pre' Papiro, udite le parole del vescovo, per la sua grossezza non le
comprese; ma tra sé stesso pensò che il vescovo li richiedesse mille fassa di
legna. Laonde l'ignorantazzo, gettatosi a' piedi del vescovo, con le ginocchia
a terra, disse: — Monsignor mio, vi prego per l'amor che portate a Iddio, e per
la riverenzia che io vi porto, non vogliate imponermi tanta gravezza, perciò
che la villa è povera, e mille gratis è troppo gran carico a cosí
bisognoso luoco; ma accontentatevi di cinquecento, ch'io li manderò piú che
volontieri. — Il vescovo, quantunque fusse giotto ed astuto, non però comprese
quello che dir voleva il prete; ed acciò che non paresse, come egli, ignorante,
si achetò al voler suo. Il prete, fornita la festa, e presa buona licenza e la
benedizione dal vescovo, a casa ritornò. E tantosto ch'aggiunse a casa, trovò i
carri e fece caricare le legna; e la mattina sequente al vescovo le mandò
appresentare. Il vescovo, vedute le legna ed inteso chi era il mandatore, assai
s'allegrò e molto volontieri le ricevette. Ed in tal maniera il grossolone,
persistendo nella sua ignoranza, con suo disonore e danno perdè i capponi e le
legna.
Avenne, dopo non molti giorni, che nella predetta villa di
Bedicuollo trovavasi un contadino, detto per nome Gianotto, il quale,
quantunque fosse uomo di villa e né leggere né scrivere sapesse, era nondimeno
tanto amatore de gli virtuosi, che servo in catena si sarebbe fatto per loro
amore. Costui aveva uno figliuolo di buon aspetto, che dimostrava chiaro segno
di divenir scienziato e dotto: il cui nome era Pirino. Gianotto, che
cordialmente amava Pirino, determinò di mandarlo in studio a Padova e non gli
lasciare cosa alcuna, che ad uno studioso appartiene, mancare; e cosí fece.
Passato un certo tempo, il figliuolo, assai ben fondato nell'arte della
grammatica, tornò a casa, non giá per rimpatriare, ma per visitare i parenti e
gli amici suoi. Gianotto, desideroso dell'onor del figliuolo e volendo sapere
s'egli faceva nel studio profitto, determinò d'invitare i parenti e gli amici e
fargli un bel desinare, e pregar messer pre' Papiro che in presenza loro l'essaminasse,
acciò che vedessero se egli perdeva il tempo in vano.
Venuto il giorno dell'invito, tutti i parenti e gli amici,
secondo l'ordine dato, si ridussero a casa di Gianotto; e fatta la benedizione
per messer lo prete, tutti, secondo la loro maggioranza, sederono a mensa.
Finito il desinare e levate le tovaglie, Gianotto si levò in piede, e disse: —
Messere, io volontieri vorrei, tuttavia piacendovi, che voi essaminaste Pirino
mio figliuolo, acciò che noi vedessimo se egli è per far frutto o no. A cui
messer pre' Papiro rispose: — Gianotto, compare mio, questo è poco carico a
quello che io vorrei far per voi, perciò che quello che ora mi comandate, è una
cosa minima alla sufficienza mia. — E voltato il viso verso Pirino, che a
dirimpetto sedeva, cosí disse: — Pirino, figliuol mio, noi siamo qua tutti
raunati ad uno istesso fine, e desideriamo l'onor tuo, e vogliamo sapere se tu
hai ben dispensato il tempo nel studio di Padova. Onde, per sodisfamento di
Gianotto tuo padre e per contento di questa onorevole brigata, noi faremo un
poco di essaminazione sopra le cose che hai imparato a Padova; e se tu ti
porterai, sí come noi speriamo, valorosamente, tu darai a tuo padre e agli
amici e a me consolazione non picciola. Dimmi adunque, Pirino, figliuolo mio: come
si addimanda latinamente il prete? — Pirino, ch'era ottimamente instrutto nelle
regole grammaticali, arditamente rispose: — Praesbyter. — Papiro, udita
la presta e pronta risposta datagli da Pirino, disse: — E come praesbyter,
figliuol mio? Tu t'inganni di largo. — Ma Pirino, che sapeva che diceva il
vero, affermava audacemente, quello che risposto aveva, esser la veritá; e
provavalo con molte autoritá. Dimorando l'uno e l'altro in grandissima
contenzione, né volendo pre' Papiro cedere all'intelligenzia del giovane,
voltossi verso coloro che a mensa sedevano, e disse: — Ditemi, fratelli e
figliuoli miei: quando nel tempo di notte vi occorre alcuno caso che sia
d'importanza, come di confessione, di comunione o di altro sacramento che è
necessario alla salute dell'anima, non mandate subito al prete? — Sí. — E che
fate voi prima? Non picchiate a l'uscio? — Certo sí. — Dopo non dite voi:
Presto, presto, messere, levatevi su e venete presto a dar i sacramenti ad un
infermo che se ne more? — I contadini, non potendolo negare, confermavano cosí
essere il vero. — Adunque, — disse pre' Papiro, — il prete latinamente non si
dice praesbyter, ma prestule, perché egli presto viene a sovenire
all'infermo. Ma voglio che questa prima volta ti sia sparamiata. Ma dimmi, come
si addimanda il letto? — Pirino prontamente rispose: — Lectus, thorus.
— Udendo pre' Papiro cotal risposta, disse: — O figliuol mio, tu sei in
grand'errore, e il tuo precettore ti ha ensegnato il falso. — E voltatosi verso
suo padre, disse: — Gianotto, quando voi venete dalla campagna a casa stanco,
dopo che avete cenato non dite voi: Io voglio andar a riposare? — Sí, — rispose
Gianotto. — Adunque, disse il prete, il letto reposorium si chiama. — Il
che tutti ad una voce confermarono esser il vero. Ma Pirino, che si faceva
beffe del prete, non osava contradirgli, a ciò che i parenti non s'adirasseno.
Or seguendo, pre' Papiro disse: — E come s'addimanda la tavola sopra la quale
si mangia? — Mensa, — rispose Pirino. Allora pre' Papiro disse a tutta
la brigata: — Deh, come Gianotto malamente ha speso il suo danaro e Pirino il
tempo! perciò che egli è nudo degli vocaboli latini e delle regole
grammaticali, per ciò che la tavola dove si mangia s'addimanda gaudium e
non mensa, perché di quanto l'uomo sta a tavola, sta in gaudio e
allegrezza. — A tutti che vi erano presenti parve questo molto di laude degno;
e ogni uno comendò assai il prete, tenendolo dottrinato e scienziato molto.
Pirino a suo malgrado era astretto a cedere alla ignoranza del prete, perché
gli era da' propri parenti troncata la strada. Pre' Papiro, che vedevasi esser
da tutti i circonstanti sí degnamente laudato, si pavoneggiava; e alciata
alquanto maggiormente la voce, disse: — E come s'addimanda la gatta, figliuol
mio? — Felis, rispose Pirino. — Oh caprone! — disse il prete, — ella
s'addimanda saltagraffa; perciò che quando se le porge il pane, ella
subito salta, e con la zatta s'attacca, graffa e poi se ne fugge. — Stavano gli
uomini della villa ammirativi, e con attenzione ascoltavano le pronte proposte
e risposte che il prete faceva, e dottissimo il giudicavano. Ritornato il prete
da capo all'interrogazione, disse: — E come si chiama il fuoco? — Ignis,
— rispose Pirino: — Come ignis? — disse il prete; e voltatosi alla
compagnia, disse: — Quando, fratelli miei, voi portate la carne a casa per
mangiarla, che ne fate voi? non la cucinate? — Tutti risposero di sí. —
Adunque, — disse il valente prete, — non si addimanda ignis, ma carniscoculum.
Ma dimmi, Pirino mio, per la tua fé, come si chiama l'acqua? — Limpha,—
rispose Pirino. — Ahimè, — disse pre' Papiro, — che dici tu? Bestia andasti a
Padova, e bestia tornasti. — E voltatosi alla compagnia, disse: — Sapiate,
fratelli miei, che la isperienza è maestra di tutte le cose, e che l'acqua non
s'addimanda limpha, ma abondantia; per ciò che, se voi andate a i
fiumi per attinger l'acqua o per abbeverare gli vostri animali, l'acqua non vi
manca, e però dicesi abondantia. — Gianotto stavasi come insensato ad
ascoltare, e dolevasi della perdita del tempo e de danari mal spesi. Vedendo
pre' Papiro Gianotto star di mala voglia, disse: — Vorrei solamente saper da
te, Pirino mio, come si addimandano le ricchezze, e poi metteremo fine alle
nostre interrogazioni. — Rispose Pirino: — Divitiae, divitiarum.
— O figliuolo mio! tu t'inganni e sei in grand'errore; per ciò che si chiamano sostantia,
perché sono sostentamento dell'uomo. — Finito il bel convito e le
interrogazioni, pre' Papiro tirò Gianotto da parte e dissegli: — Gianotto,
compare mio, voi potete facilmente comprendere quanto poco frutto abbia fatto
il figliuol vostro in Padova. E però per consiglio mio no 'l mandarete piú in
studio, a ciò che egli non perda il tempo e voi i danari; e se altrimenti
farete, voi ve ne pentirete. — Gianotto, che non sapea piú oltre, diede fede
alle parole del prete; e spogliato il figliuolo dei cittadineschi panni e
vestitolo di griso, il mandò dietro a' porci.
Pirino, vedendosi falsamente superato dalla ignoranza di
Papiro, né aver potuto disputar seco, non giá ch'egli non sapesse, ma per non
conturbare i parenti che gli davano l'onore, e vedendosi di scolare fatto
custode di porci, ritenne nella mente il conceputo dolore; e in tanto sdegno e
furore divenne, che al tutto deliberò di vendicarsi di sí ignominioso scorno. E
la fortuna in questo gli fu molto favorevole, perciò che, andando un giorno
pascendo i porci dinanzi la casa del prete, vidde la sua gatta, e tanto col
pane l'avezzò, che la prese; e trovata certa stoppa grassa, gliela legò alla
coda; e datole il fuoco, la lasciò fuggire. La gatta, sentendosi strettamente
legata la coda e aver il fuoco alle natiche, corse in casa; e per un pertugio
si mise in una camera appresso quella dove il prete ancor dormiva, e tutta
paventata fuggí sotto la lettiera, dove era gran copia di lino. Né stette
molto, che il lino, la lettiera e tutta la camera cominciò ardere. Pirino,
vedendo che la casa di pre' Papiro Schizza s'abbrusciava e che quasi non vi era
piú rimedio di estinguere il fuoco, cominciò ad alta voce gridare: — Prestule,
prestule, surge de reposorio, et vidde ne cadas in gaudium, quia venit
saltagraffa et portavit carniscoculum et nisi succurras domum cum abundantia,
non restabit tibi substantia. — Pre' Papiro, che ancor nel letto giaceva e
dormiva, udita l'alta voce di Pirino, si destò e porse l'orecchie al gridare
che ei faceva; ma non comprese quello che Pirino diceva, per ciò che non si
rammentava delle parole che dette l'aveva.
Il fuoco giá d'ogni parte della casa operava la sua virtú; né
li mancava se non entrare nell'uscio della camera dove dormiva il prete, quando
pre' Papiro si destò e vidde che tutta la casa ardeva. Onde levatosi di letto,
corse per estinguere il fuoco; ma non vi fu tempo, per ciò che ogni cosa ardeva
e appena scampò la vita. E cosí pre' Papiro nudo di beni temporali nella sua
ignoranza rimase; e Pirino, della ricevuta ingiuria grandemente vendicato,
lasciata la cura de' porci, meglio che puote a Padova ritornò: dove diede opera
all'incominciato studio, e famosissimo uomo divenne. —
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