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Giovanni Francesco Straparola
Le piacevoli notti

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  • LIBRO SECONDO
    • NOTTE DECIMA
      • FAVOLA V. Rosolino da Pavia, omicida e ladro, vien preso dalla famiglia del podestá: e messo alla tortura, nulla confessa. Indi vede l'innocente figliuolo tormentare, e senza piú martorio il padre confessa. Il pretore li dona la vita, ed il bandiggia; egli si fa eremita e salva l'anima sua.
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FAVOLA V.

Rosolino da Pavia, omicida e ladro, vien preso dalla famiglia del podestá:

e messo alla tortura, nulla confessa. Indi vede l'innocente figliuolo

tormentare, e senza piú martorio il padre confessa. Il pretore li dona

la vita, ed il bandiggia; egli si fa eremita e salva l'anima sua.

[Cateruzza:]

— Quanto e qual sia l'ardente e tenace amore del padre verso il virtuoso e disciplinato figliuolo, non è alcun ch'abbia figliuoli, che apertamente non lo conosca. Imperciò che egli non solamente si affatica di farli quello che fa mistieri al viver suo, ma anche spesse volte mette a pericolo la vita e sparge il sangue per aggrandirlo e arricchirlo. E che questo sia il vero, dimostrerovvelo con questa breve favoluzza ch'ora raccontarvi intendo. La quale, perciò che è piú pietosa che dilettevole, penso vi sará di non poco ammaestramento e dottrina.

In Pavia, cittá della Lombardia nobile per lo literario studio anco per essere sepolto in quella il santissimo corpo del venerabile e divino Agostino, martello degli eretici, lume e chiarezza della religione cristiana, fu giá, poco tempo fa, un uomo disleale, malvagio, omicida, ladro e ad ogni malfar disposto; e tutti Rosolino per nome lo chiamavano. E perché era ricco e capo di parte, molti lo seguitavano; e stando alla strada, or questo or quello spogliava, rubbava e uccideva. E per lo séguito grande che egli aveva, tutto il territorio fortemente il temeva. E avenga che Rosolino avesse commessi molti errori, e contra lui fussero state poste molte querele, nondimeno non era uomo che vi bastasse l'animo proseguirle, perciò che tanti erano i favori delli tristi e malvagi uomini, che li querelanti abbandonavano le loro querele. Aveva Rosolino un solo figliuolo, il quale per natura era tutto contrario al padre e teneva vita molto laudevole e santa. Egli piú volte con dolci parole riprese il padre della sua trista e scelerata vita, e dolcemente pregollo ch'omai ponesse fine a tante sceleraggini, dipingendogli i strabocchevoli pericoli ne' quai continovamente viveva. Ma nel vero l'ammonizioni sagge del figliuolo erano frustatorie e vane, perciò che maggiormente che prima egli attendeva al suo disonesto essercizio, e altro non si udiva di giorno in giorno, se non: egli è stato spogliato il tale, egli è stato ucciso il tale.

Perseverando adunque Rosolino nel suo fiero e bestiale proponimento e andando quotidianamente di mal in peggio, volse Iddio che fusse dagli sergenti del pretore preso e legato e a Pavia condotto. Ed essendo dal giudice del maleficio constituito, sfacciatamente negò il tutto. Il che intendendo, il pretore ordinò che gli sergenti in ceppi con tenaci catene in prigione lo mettessero, dandogli solamente al giorno tre uncie di pane e tre di acqua, e che fusse con ogni diligenza custodito. E quantunque fusse grandissima altercazione tra li giudici se doveano averlo per convenuto o no, pur dopo molto contrasto parve al pretore e alla sua corte di andar alla tortura e aver dalla sua bocca la confessione.

Venuta la mattina, il pretore fece condurre Rosolino alla sua presenza, e tolse di volontá il constituto; ed egli come prima dinegò ogni cosa. Questo vedendo, il pretore comandò che fusse alla corda legato e in alto levato. E quantunque piú volte Rosolino fusse stato crollato alla tortura per gli indici grandi ch'erano contra lui, non però mai volse confessare, anzi con grandissima costanza villaneggiava il pretore e la sua corte, dicendo ch'erano tristi, giotti, ladri, scelerati e che meriterebbeno per la mala vita che tengono e per l'ingiustizie che fanno, mille forche: affermando sé esser uomo da bene, di buona vita, né esser alcuno che con veritá dolersi possa di lui. Aveva il pretore, com'è detto di sopra, piú fiate contra Rosolino severamente proceduto, né aveva lasciato specie di tormento che non avesse provato; ma egli, saldo come ben fondata torre, sprezzava ogni tormento. Il pretore, che apertamente conosceva lui esser delinquente e non poterlo sentenziare a morte, assai si doleva. Onde la notte considerando il pretore la tristizia di Rosolino e la costanza grande, e non potergli dar piú tormento per aver giá purgato ogni indizio, s'imaginò di essere con la sua corte e proporre una cosa che intenderete.

Venuto il giorno, il pretore chiamò i suoi giudici e disse: — Eccellenti dottori, grande è la costanza di questo reo e maggiore la tristezza sua, e piú tosto morrebbe tra' tormenti che confessare cosa alcuna. Onde mi parrebbe, cosí però parendo e a voi, di fare un tentativo per ultimo refugio; il qual è questo: mandare i sergenti a prendere Bargetto figliuolo di Rosolino, ed in presenza sua metterlo al tormento, perciò che, veduto il padre tormentare l'innocente figliuolo, agevolmente confesserá l'error suo. — Questo consiglio molto piacque alla corte; e subito ordinò il pretore che Bargetto fusse preso, legato e alla sua presenza menato. Preso Bargetto e menato dinanzi al pretore, il giudice del maleficio tolse il suo constituto; e Bargetto innocentissimo rispondeva di non sapere cosa alcuna di quello era interrogato. Il che vedendo, il pretore senza indugio il fece spogliare e metterlo alla tortura in presenza del padre. Rosolino, veduto ch'ebbe il figliuolo preso e legato al tormento, rimase attonito e molto si contristò. Il pretore, tuttavia assistente Rosolino, ordinò che Bargetto fosse levato in alto, e cominciollo di molte cose interrogare; ed egli, che era innocente, diceva nulla sapere. Il pretore, mostrandosi d'ira acceso, disse: — Io tel farò ben sapere; — e ordinò che fusse tirato in alto. Il meschinello, che sentiva grandissimo dolore e passione, fortemente gridava: — Misericordia, signor pretore, misericordia, che io sono innocente né mai commessi tai delitti! — Il vicario, sentendolo dolersi e piagnere, diceva: — Confessa: non ti lasciar guastare; perciò che noi sappiamo di punto in punto il tutto, ma lo vogliamo sapere dalla tua bocca. — Bargetto respondeva non saper quello che 'l giudice dicesse, né esser vero ciò che gl'improperava. Il giudice, che aveva il maestro dalla corda ammaestrato, gli fece cenno che lo lasciasse venir giú da alto a basso senza pietá e remissione alcuna. Bargetto, udendo le parole del giudice, e sentendo nelle braccia grandissima passione, e considerando di non poterla sofferire, dispose di confessare quello che non aveva fatto, e disse: — Signori, lasciatemi giú, che 'l tutto chiaramente vi dirò.— Lasciata leggermente venir giú la fune e appresentatosi Bargetto al conspetto del pretore e della corte, affermò in presenza del padre aver commessi tutti gli eccessi contra lui imputati.

Rosolino, che aveva sentita la non veridica confessione del figliuolo, ravoglieva nell'animo suo molte cose; ed alfine mosso da filial amore e considerata la lui innocenzia, disse: — Non tormentate piú il figliuol mio, ma liberatelo, perciò che egli è innocentissimo ed io nocente. — E senza altro tormento, minutissimamente confessò ogni suo delitto. Il pretore, udita di Rosolino la confessione e fattala con ogni diligenza annotare e ratificare, e desideroso di sapere la causa, disse: — Rosolino, tu hai sofferti tanti tormenti, né mai abbiamo potuto da te aver la veritá; ma poscia che vedesti Bargetto ne' tormenti, e udisti la confessione da lui fatta, mutasti proponimento e senza martorio alcuno confessasti il tutto. Io, se Dio ti salvi ed abbia misericordia dell'anima tua, intenderei volontieri la causa di questa mutazione. — Ah, — rispose Rosolino, — non la sapete voi, signori? — Disse il pretore: — Veramente noi non la sapiamo. — Rispose Rosolino: — Ed io, se non la sapete, ve la raccontarò, s'attenti m'ascoltarete. Signori pietosi, umani e amatori di giustizia, voi avete veduta e chiaramente conosciuta la costanza mia ne' tormenti; né è maraviglia: perciò che allora voi martoravate le carni morte; ma quando voi tormentavate Bargetto, unico mio figliuolo, allora tormentavate le carni vive. — Adunque, — disse il pretore, — tu sei morto, essendo le carni tue morte? — Non sono io morto, — rispose Rosolino, — né manco le carni mie morte sono, ma viveno; tuttavia quando voi mi tormentavate, io nulla pativa, perché queste carni, che voi ora vedete e tormentavate, non erano mie, ma del padre mio morto, putrido e giá fatto polve; ma quando tormentaste il figliuol mio, tormentavate le carni mie, perché la carne del figliuolo è propria carne del padre. — Il pretore, intesa la causa, volse del tutto assolverlo: ma perché la giustizia non pativa che tanti delitti impuniti rimanessero, determinò di perpetuo bandirlo; non che i peccati lieve pena meritassero, ma per l'amore che 'l padre portava al figliuolo. Rosolino, intesa la leggier sentenzia, levò le mani al cielo e Iddio ringraziò, promettendogli con giuramento mutar vita e viver santamente. Partitosi Rosolino da Pavia, andò all'eremo, ed ivi visse santamente, e fece tanta penitenza de' suoi peccati, che per grazia di Dio meritò di esser salvo; e di lui fino al d'oggi si fa memoria ad essempio de' buoni e dannazione de' tristi.

IL FINE DELLA NOTTE DECIMA.


 

 

 




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