— Quanto e qual sia l'ardente e tenace amore del padre verso
il virtuoso e disciplinato figliuolo, non è alcun ch'abbia figliuoli, che
apertamente non lo conosca. Imperciò che egli non solamente si affatica di
farli quello che fa mistieri al viver suo, ma anche spesse volte mette a
pericolo la vita e sparge il sangue per aggrandirlo e arricchirlo. E che questo
sia il vero, dimostrerovvelo con questa breve favoluzza ch'ora raccontarvi
intendo. La quale, perciò che è piú pietosa che dilettevole, penso vi sará di
non poco ammaestramento e dottrina.
In Pavia, cittá della Lombardia nobile sí per lo literario
studio sí anco per essere sepolto in quella il santissimo corpo del venerabile
e divino Agostino, martello degli eretici, lume e chiarezza della religione
cristiana, fu giá, poco tempo fa, un uomo disleale, malvagio, omicida, ladro e
ad ogni malfar disposto; e tutti Rosolino per nome lo chiamavano. E perché era
ricco e capo di parte, molti lo seguitavano; e stando alla strada, or questo or
quello spogliava, rubbava e uccideva. E per lo séguito grande che egli aveva,
tutto il territorio fortemente il temeva. E avenga che Rosolino avesse commessi
molti errori, e contra lui fussero state poste molte querele, nondimeno non era
uomo che vi bastasse l'animo proseguirle, perciò che tanti erano i favori delli
tristi e malvagi uomini, che li querelanti abbandonavano le loro querele. Aveva
Rosolino un solo figliuolo, il quale per natura era tutto contrario al padre e
teneva vita molto laudevole e santa. Egli piú volte con dolci parole riprese il
padre della sua trista e scelerata vita, e dolcemente pregollo ch'omai ponesse
fine a tante sceleraggini, dipingendogli i strabocchevoli pericoli ne' quai
continovamente viveva. Ma nel vero l'ammonizioni sagge del figliuolo erano
frustatorie e vane, perciò che maggiormente che prima egli attendeva al suo disonesto
essercizio, e altro non si udiva di giorno in giorno, se non: egli è stato
spogliato il tale, egli è stato ucciso il tale.
Perseverando adunque Rosolino nel suo fiero e bestiale
proponimento e andando quotidianamente di mal in peggio, volse Iddio che fusse
dagli sergenti del pretore preso e legato e a Pavia condotto. Ed essendo dal
giudice del maleficio constituito, sfacciatamente negò il tutto. Il che
intendendo, il pretore ordinò che gli sergenti in ceppi con tenaci catene in
prigione lo mettessero, dandogli solamente al giorno tre uncie di pane e tre di
acqua, e che fusse con ogni diligenza custodito. E quantunque fusse grandissima
altercazione tra li giudici se doveano averlo per convenuto o no, pur dopo
molto contrasto parve al pretore e alla sua corte di andar alla tortura e aver
dalla sua bocca la confessione.
Venuta la mattina, il pretore fece condurre Rosolino alla sua
presenza, e tolse di volontá il constituto; ed egli come prima dinegò ogni
cosa. Questo vedendo, il pretore comandò che fusse alla corda legato e in alto
levato. E quantunque piú volte Rosolino fusse stato crollato alla tortura per
gli indici grandi ch'erano contra lui, non però mai volse confessare, anzi con
grandissima costanza villaneggiava il pretore e la sua corte, dicendo ch'erano
tristi, giotti, ladri, scelerati e che meriterebbeno per la mala vita che
tengono e per l'ingiustizie che fanno, mille forche: affermando sé esser uomo
da bene, di buona vita, né esser alcuno che con veritá dolersi possa di lui.
Aveva il pretore, com'è detto di sopra, piú fiate contra Rosolino severamente
proceduto, né aveva lasciato specie di tormento che non avesse provato; ma
egli, saldo come ben fondata torre, sprezzava ogni tormento. Il pretore, che
apertamente conosceva lui esser delinquente e non poterlo sentenziare a morte,
assai si doleva. Onde la notte considerando il pretore la tristizia di Rosolino
e la costanza grande, e non potergli dar piú tormento per aver giá purgato ogni
indizio, s'imaginò di essere con la sua corte e proporre una cosa che
intenderete.
Venuto il giorno, il pretore chiamò i suoi giudici e disse: —
Eccellenti dottori, grande è la costanza di questo reo e maggiore la tristezza
sua, e piú tosto morrebbe tra' tormenti che confessare cosa alcuna. Onde mi
parrebbe, cosí però parendo e a voi, di fare un tentativo per ultimo refugio;
il qual è questo: mandare i sergenti a prendere Bargetto figliuolo di Rosolino,
ed in presenza sua metterlo al tormento, perciò che, veduto il padre tormentare
l'innocente figliuolo, agevolmente confesserá l'error suo. — Questo consiglio
molto piacque alla corte; e subito ordinò il pretore che Bargetto fusse preso,
legato e alla sua presenza menato. Preso Bargetto e menato dinanzi al pretore,
il giudice del maleficio tolse il suo constituto; e Bargetto innocentissimo
rispondeva di non sapere cosa alcuna di quello era interrogato. Il che vedendo,
il pretore senza indugio il fece spogliare e metterlo alla tortura in presenza
del padre. Rosolino, veduto ch'ebbe il figliuolo preso e legato al tormento, rimase
attonito e molto si contristò. Il pretore, tuttavia assistente Rosolino, ordinò
che Bargetto fosse levato in alto, e cominciollo di molte cose interrogare; ed
egli, che era innocente, diceva nulla sapere. Il pretore, mostrandosi d'ira
acceso, disse: — Io tel farò ben sapere; — e ordinò che fusse tirato in alto.
Il meschinello, che sentiva grandissimo dolore e passione, fortemente gridava:
— Misericordia, signor pretore, misericordia, che io sono innocente né mai
commessi tai delitti! — Il vicario, sentendolo dolersi e piagnere, diceva: —
Confessa: non ti lasciar guastare; perciò che noi sappiamo di punto in punto il
tutto, ma lo vogliamo sapere dalla tua bocca. — Bargetto respondeva non saper
quello che 'l giudice dicesse, né esser vero ciò che gl'improperava. Il
giudice, che aveva il maestro dalla corda ammaestrato, gli fece cenno che lo
lasciasse venir giú da alto a basso senza pietá e remissione alcuna. Bargetto,
udendo le parole del giudice, e sentendo nelle braccia grandissima passione, e
considerando di non poterla sofferire, dispose di confessare quello che non
aveva fatto, e disse: — Signori, lasciatemi giú, che 'l tutto chiaramente vi
dirò.— Lasciata leggermente venir giú la fune e appresentatosi Bargetto al
conspetto del pretore e della corte, affermò in presenza del padre aver
commessi tutti gli eccessi contra lui imputati.
Rosolino, che aveva sentita la non veridica confessione del
figliuolo, ravoglieva nell'animo suo molte cose; ed alfine mosso da filial
amore e considerata la lui innocenzia, disse: — Non tormentate piú il figliuol
mio, ma liberatelo, perciò che egli è innocentissimo ed io nocente. — E senza
altro tormento, minutissimamente confessò ogni suo delitto. Il pretore, udita
di Rosolino la confessione e fattala con ogni diligenza annotare e ratificare,
e desideroso di sapere la causa, disse: — Rosolino, tu hai sofferti tanti
tormenti, né mai abbiamo potuto da te aver la veritá; ma poscia che vedesti
Bargetto ne' tormenti, e udisti la confessione da lui fatta, mutasti
proponimento e senza martorio alcuno confessasti il tutto. Io, se Dio ti salvi
ed abbia misericordia dell'anima tua, intenderei volontieri la causa di questa
mutazione. — Ah, — rispose Rosolino, — non la sapete voi, signori? — Disse il
pretore: — Veramente noi non la sapiamo. — Rispose Rosolino: — Ed io, se non la
sapete, ve la raccontarò, s'attenti m'ascoltarete. Signori pietosi, umani e
amatori di giustizia, voi avete veduta e chiaramente conosciuta la costanza mia
ne' tormenti; né è maraviglia: perciò che allora voi martoravate le carni
morte; ma quando voi tormentavate Bargetto, unico mio figliuolo, allora
tormentavate le carni vive. — Adunque, — disse il pretore, — tu sei morto,
essendo le carni tue morte? — Non sono io morto, — rispose Rosolino, — né manco
le carni mie morte sono, ma viveno; tuttavia quando voi mi tormentavate, io
nulla pativa, perché queste carni, che voi ora vedete e tormentavate, non erano
mie, ma del padre mio morto, putrido e giá fatto polve; ma quando tormentaste
il figliuol mio, tormentavate le carni mie, perché la carne del figliuolo è
propria carne del padre. — Il pretore, intesa la causa, volse del tutto
assolverlo: ma perché la giustizia non pativa che tanti delitti impuniti
rimanessero, determinò di perpetuo bandirlo; non che i peccati sí lieve pena
meritassero, ma per l'amore che 'l padre portava al figliuolo. Rosolino, intesa
la leggier sentenzia, levò le mani al cielo e Iddio ringraziò, promettendogli
con giuramento mutar vita e viver santamente. Partitosi Rosolino da Pavia, andò
all'eremo, ed ivi visse santamente, e fece tanta penitenza de' suoi peccati,
che per grazia di Dio meritò di esser salvo; e di lui fino al dí d'oggi si fa
memoria ad essempio de' buoni e dannazione de' tristi.
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