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Giovanni Francesco Straparola
Le piacevoli notti

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  • LIBRO SECONDO
    • NOTTE UNDECIMA
      • FAVOLA III. Don Pomporio monaco viene accusato all'abbate del suo disordinato mangiare; ed egli con una favola mordendo l'abbate, dalla querela si salva.
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FAVOLA III.

Don Pomporio monaco viene accusato all'abbate del suo disordinato

mangiare; ed egli con una favola mordendo l'abbate, dalla querela si salva.

[Diana:]

— Io vorrei questa sera esser digiuna e non aver il carico di raccontarvi favole, perché in veritá non me ne soviene pur una che dilettevole sia. Ma acciò ch'io non disturbi il principiato ordine, ne dirò una, la quale, ancor che piacevole non sia, nondimeno vi sará cara.

Trovavasi ne' tempi passati in un famoso monasterio un monaco di etá matura, ma notabile e gran mangiatore. Egli s'avantava di mangiare in un sol pasto un quarto di grosso vitello e un paio di capponi. Aveva costui, che don Pomporio si chiamava, un piatello, al quale aveva posto nome oratorio di divozione, e a misura teneva sette gran scutelle di minestra. E oltre il companatico, ogni giorno, a desinare come a cena, l'empiva di broda o di qualche altra sorte di minestra, non lasciandone pur una minuzia andare a male. E tutte le reliquie ch'agli altri monaci sopravanzavano, o poche o molte che ci fosseno, erano all'oratorio appresentate, ed egli nella divozione le poneva. E quantunque lorde e sozze fusseno, perciò che ogni cosa faceva al proposito del suo oratorio, nientedimeno tutte, come affamato lupo, le divorava. Vedendo gli altri monaci la sfrenata gola di costui e la grande ingordigia, e maravigliandosi forte della tanta poltroneria sua, quando con buone e quando con rie parole lo riprendevano. Ma quanto piú li monaci lo correggevano, tanto maggiormente li cresceva l'animo di aggiunger la broda al suo oratorio, non curandosi di riprensione alcuna. Aveva il porcone una virtú in sé, che mai si corocciava; e ciascuno contra di lui poteva dir ciò che li pareva, che non l'aveva a male.

Avenne ch'un giorno fu al padre abbate accusato; il quale, udita la querela, fecelo a sé venire; e dissegli: — Don Pomporio, mi è sta' fatta una gran conscienzia de' fatti vostri, la quale, oltre che contiene gran vergogna, genera scandolo a tutto il monasterio. — Rispose don Pomporio: — E che opposizione fanno contra me questi accusatori? Io sono il piú mansueto e il piú pacifico monaco che nel vostro monasterio sia; né mai molestodo impaccio ad alcuno, ma vivo con tranquillitá e quiete, e se da altrui sono ingiuriato, sofferisco pazientemente, né per questo mi scandoleggio. — Disse l'abate: — Parvi questo lodevole atto? Voi avete un piatello non da religioso, ma da fetente porco, nel quale, oltre l'ordinario vostro, ponete tutte le reliquie che sopravanzano agli altri; e senza rispetto e senza vergogna, non come umana creatura, né come religioso, ma come affamata bestia, quelle divorate. Non vi fate conscienzia, grossolone e uomo da poco, che tutti vi tengono il suo buffone? — Rispose don Pomporio: — E come, padre abbate, deverei vergognarmi? Dove ora si trova nel mondo la vergogna? e chi la teme? Ma se voi mi date licenza ch'io possa sicuramente parlare, io vi risponderò; se non, io me ne passerò sotto ubidienza, e terrò silenzio. — Disse l'abbate: — Dite quanto vi piace, che siamo contenti che parliate. — Assicurato don Pomporio, allora disse: — Padre abbate, noi siamo alla condizione di quelli che portano le zerle dietro le spalle; perciò che ogn'un vede quella del compagno, ma non vede la sua. S'ancor io mangiasse di cibi sontuosi, come i gran signori fanno, certo io mangerei assai meno di quello ch'io fo. Ma mangiando cibi grossi, che agevolmente si digeriscono, non mi par vergogna il molto mangiare. — L'abbate, che con buoni capponi, fasciani, francolini e altre sorti di uccelli col priore e altri amici sontuosamente viveva, s'avide del parlare ch'aveva fatto il monaco; e temendo che apertamente non lo scoprisse, l'assolse, imponendogli che a suo bel grado mangiasse: e chi non sapeva ben mangiare e bere, il danno fusse suo.

Partitosi don Pomporio dall'abbate e assolto, di in raddoppiò la piatanza, accrescendo al santo oratorio del buon piatello la divozione: e perché don Pomporio dai monaci era di tal bestialitá gravemente ripreso, montò sopra il pergamo del refettorio, e con uno bel modo li raccontò questa breve favola.

— «Si trovarono, giá gran tempo fa, il vento, l'acqua e la vergogna ad una ostaria, e mangiarono insieme; e ragionando di piú cose, disse la vergogna al vento e all'acqua: — Quando, fratello e sorella, ci trovaremo insieme pacificamente, come ora ci troviamo? — Rispose l'acqua: — Certo la vergogna dice il vero; perciò che chi sa quando mai piú verrá l'occasione di ritrovarsi insieme. Ma se io ti volesse trovare, o fratello, dov'è la tua abitazione? — Disse il vento: — Sorelle mie, ogni volta che trovar mi volete per godere e stare insieme, verrete per mezzo di qualche uscio aperto o di qualche via angusta, che subito mi trovarete, perciò che ivi è la stanza mia. E tu, acqua, dove abiti? — Io sto — disse l'acqua, — ne' paludi piú bassi tra quelle cannelluzze; e sia secca quanto si voglia la terra, sempre ivi mi trovarete. Ma tu, vergogna, dov'è la stanzia tua? — Io, veramente, — disse la vergogna, — non so; perciò che io sono poverella e da tutti scacciata. Se voi verrete tra persone grandi a cercarmi, non mi trovarete, perché veder non mi vogliono e di me si fanno beffe. Si verrete tra la gente bassa, sfacciati sono, che poco curansi di me. Si verrete tra le donne, maritate come vedove e donzelle, parimenti non mi trovarete, perciò che mi fuggono come monstruosa cosa. Si verrete tra' religiosi, sarò da loro lontana, perciò che con bastoni e con gallozze mi scacciano: di modo ch'io non ho finora abitazione dove mi possa fermare; e se io con voi non m'accompagno, mi veggo d'ogni speranza priva. — Il che il vento e l'acqua sentendo, si mossero a compassione, e in sua compagnia l'accettorono. Non stettero molto insieme, che si levò una grandissima fortuna; e la meschinella, travagliata dal vento e dall'acqua, non avendo onde posarsi, si sommerse nel mare». Laonde io la cercai in molti luoghi, ed ora la cerco; né mai la potei ritrovare, né anco persona che dir mi sapesse ove ella fosse. Onde non la trovando, nulla o poco di lei mi curo; e però io farò a modo mio, e voi al vostro, perciò che oggi nel mondo non si trova la vergogna. —




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