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Giovanni Francesco Straparola
Le piacevoli notti

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  • LIBRO SECONDO
    • NOTTE DUODECIMA
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NOTTE DUODECIMA

I vaghi e occhiuti uccelli avevano giá dato luogo all'oscuritá della notte, e i pipistrelli nemici del sole e a Proserpina dedicati, eran giá usciti delle usate grotte e per lo caliginoso aere lentamente scorrevano, quando l'orrevole e grata compagnia, diposto ogni molesto e affannoso pensiero, allegramente all'usato luogo si ridusse. E messisi secondo i loro ordini a sedere, venne la signora, e diede un grazioso saluto; indi, fatti alquanti balli con amorosi ragionamenti, la signora, come a lei piacque, comandò l'aureo vaso le fusse recato: e postavi la mano dentro, trasse di cinque damigelle il nome: delle quali il primo fu di Lionora, il secondo di Lodovica, il terzo di Floriana, il quarto di Vicenza, il quinto d'Isabella. A questa e alle altre fu data ampia licenza di poter liberamente ragionare ciò che piú le piacesse, con questa però condizione, che fussero piú brevi e risolute di quello che furono nelle notti precedenti. Alla qual cosa tutte, e ciascaduna da per sé, molto volontieri accontentorono. Fatta adunque la scielta delle donzelle che avevano nella duodecima notte a favoleggiare, la signora fece di cenno al Trivigiano e al Molino che una canzonetta cantassero. I quali, ubidientissimi a' comandamenti suoi, presi i loro stromenti e accordati, in tal modo la seguente canzone artificialmente cantarono:

Se 'l tempo invola ogni mortal bellezza

col rapido suo corso,

che piú tardate, donna, al mio soccorso?

La vita lieve fugge,

e le speranze son caduche e frali:

le nostre voglie lunghe e l'ore corte,

di che 'l pensier mi strugge:

ma tardi, o dura sorte de' mortali!

del vostro error pentita e di mia morte

voi piangerete e di vostra durezza.

Però datemi aita,

mentre è valor in voi ed in me vita. —

Piacque a tutti la dilettevole canzone dal Trivigiano e dal Molino armoniosamente cantata, e a piena voce tutti sommamente la comendorono. Ma poscia che la signora vidde che ognun taceva, impose a Lionora, a cui la prima favola della duodecima notte per sorte toccava, che al favoleggiare desse incominciamento. Ed ella senza indugio in tal guisa incominciò:




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