— Io aveva proposto nell'animo mio raccontarvi una favola
d'altra materia, ma la novella recitata da questa mia sorella mi ha fatto mutar
pensiero, e voglio dimostrarvi che l'esser pazzo molte volte giova, e che niuno
debbe con li pazzi comunicar i secreti.
In Pisa, famosissima cittá della Toscana, a' tempi nostri
abitava una bellissima donna, il cui nome per onestá passo con silenzio.
Costei, che era congiunta in matrimonio con uno di molto nobil casa e molto
ricco e potente, amava ardentissimamente un giovane non men bello né men
piacevole di lei; e facevalo venire a sé ogni dí cerca il mezzogiorno, e con
gran riposo di animo spesso venivano alle armi di Cupidine. Di che ambiduo ne
sentivano grandissima dilettazione e piacere. Avenne un giorno che un pazzo,
gridando quanto piú poteva, seguitava un cane che fuggendo gli portava via la
carne che rubbata gli aveva; e seguitavanlo molti, sgridandolo e dandogli il
stridore. Il cane, ricordevole della non pensata sua salute e sollicito della
sua vita, trovando alquanto aperto l'uscio della casa di questa donna, entrato
in casa di lei, si nascose. Il pazzo, che vidde entrare il cane nella porta
della detta casa, cominciò ad alta voce gridare, picchiando alla porta e
dicendo: — Cacciate fuori il ladrone che quivi è nascosto, e non vogliate
nascondere i ribaldi che son degni di morte. State fermi qui! —
La donna, che aveva il drudo in casa, temendo che tanti uomini
non fussero ragunati acciò che si dimostrasse il giovane e che fatto fusse
palese il suo peccato, e dubitando di esser punita per l'adulterio secondo le
leggi, chetamente aperse la porta e fece entrare in casa questo pazzo. E chiuso
l'uscio, ingenocchiossi avanti di lui e a guisa di supplicante pregollo di
grazia che volesse tacere, offerendosi pronta e apparecchiata ad ogni suo
piacere, pur che non manifestasse il giovane adultero. Il pazzo, ma però savio
in questo, mandato il furor suo da banda, cominciò dolcemente abbracciarla e
basciarla, e brevemente combatterono insieme la battaglia di Venere. Né cosí
presto furono dalla valorosa impresa disciolti, che il marito di lei giunse
all'improviso, e picchiò l'uscio, e chiamò che si venga ad aprirlo. Ma quella
eccellente e gloriosa moglie, da cosí inopinato e subito mal percossa, non
sapendo in questa roina che consiglio prendersi, l'adultero da paura sbigottito
e giá mezzo morto, fedelmente nascose sotto il letto, e fece salire il pazzo
nel camino; poi aperse l'uscio al marito, e accarezzandolo bellamente lo invitava
a giacersi con esso lei. E perché era tempo di verno, comandò il marito che si
dovesse accendere il foco, che voleva scaldarsi. Furono portate le legna per
accenderlo: non però legna secche, acciò che troppo presto non s'accendesse, ma
verdissime; per lo fumo delle quali si frizzevano gli occhi del pazzo, e
suffocavasi di modo, che non poteva trarre il fiato, né poteva far che sovente
non stranutasse. Onde il marito, guardando per lo camino, vidde costui che
quivi s'era nascosto. E pensando egli che fusse un ladro, cominciò grandemente
a riprenderlo e minacciarli. A cui il pazzo: — Tu ben vedi me, — disse; — ma
quello che è sotto il letto nascosto, non vedi. Una sol volta son io stato con
la moglie tua, ma egli ben mille volte ha contaminato il tuo letto. — Udendo
queste parole il marito, il furore fu sopra di lui; e guardando sotto il letto,
trovò l'adultero e lo uccise. Il pazzo, disceso giú del camino, prese un grosso
bastone e ad alta voce cominciò gridare, dicendo: — Tu hai ucciso il mio debitore;
per Dio, se non mi paghi il debito, ti accuserò al rettore, e farotti reo di
morte. — Le quai parole considerando l'omicida e vedendo non poter prevalersi
del pazzo, constituito in tanto pericolo, con un sacchetto pieno di buona
moneta gli chiuse la bocca. Per il che la sua pazzia guadagnò quello che perso
arrebbe la sapienza.
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