— Grande è il peccato della gola, ma maggiore è quello
dell'ipocresia, perciò che il goloso inganna sé stesso, ma l'ipocrita con la
sua simulazione cerca d'ingannare altrui, volendo parere quel che non è e far
quel che non fa; sí come avenne ad uno prete di villa, il quale con la sua
ipocresia offese l'anima ed il corpo suo, come ora brevemente intenderete.
Appresso la cittá di Padova trovasi una villa chiamata
Noventa, nella quale abitava un contadino molto ricco e divoto. Costui per
divozione sua e per scarico dei peccati suoi e della moglie, fabricò una
chiesiola, e dotatala di sofficiente dote, e intitolata di santo Onorato,
presentò un sacerdote in rettore e governatore di quella, il quale era assai
dotto in ragione canonica. Un giorno, che era certa vigilia di un santo, non
però comandata dalla santa madre Chiesa, il detto rettore, chiamato il diacono,
andò a visitare ser Gasparo, cioè il villano che l'aveva posto in governatore
di essa chiesa, o per sue facende o per qual altra ragion si voglia. Il
villano, volendo onorarlo, fece una sontuosa cena con arrosti, torte ed altre
cose, e volle che restasse appresso lui quella notte. Il sacerdote disse che
non mangiava carne quel giorno per esser vigilia, e fingendo i costumi dai
quali era tutto alieno, mostrava di digiunare, negando la cena al famelico
ventre. Il contadino, per non rimuoverlo dalla sua divozione, comandò alla
moglie che conservasse le cose che erano avanzate, in certo armario per lo
giorno seguente. Ispedita la cena ed il ragionamento doppo quella, se n'andarono
a dormire nella medesima casa: il contadino con la moglie, ed il sacerdote col
diacono. Ed era una camera dirimpetto all'altra. Il prete, cerca la mezza
notte, eccitando dal sonno il diacono, gli addimandò bellamente dove la patrona
avesse riposta la torta che era avanzata, dicendogli che, se non cibava il suo
corpo, ei si morrebbe da fame. Il diacono, ubidiente, levossi di letto, e pian
piano n'andò leggermente al luogo dove erano le reliquie della cena, e tolse un
buon pezzo di torta; e credendo venire alla camera del suo maestro, andò per
sorte nella camera del villano. E perché era di state ed il sole era in Leone,
la moglie del contadino pel gran caldo era nuda e dormiva scoperta, e colla
bocca di dietro soffiava a guisa d'un folle. Allora il diacono, pensando di
parlare col prete, disse: — Prendete, maestro, la torta ch'avete dimandata. —
Ed ella pur traendo sospiri con l'altra bocca, disse il diacono ch'era ben
fredda e non era bisogno di raffreddarla. Ed ella pur di continuo soffiando,
sdegnatosi il diacono, quella trasse sopra il volto posterior de la donna,
credendo trarla nella faccia del prete. La quale, sentendosi quella cosa fredda
sul viso di sotto, subito risvegliatasi, cominciò a gridare ad alta voce. Onde
eccitato il marito dal sonno, la moglie gli narrò ciò che l'era intravenuto. Il
diacono, vedendo ch'aveva fallato la stanza, pian piano ritornò alla camera del
prete. Il villano, levatosi di letto ed accesa la lucerna, cercò per tutta la
casa. E quando vidde la torta nel letto, maravigliossi grandemente. E pensando
che fusse stato qualche spirito maligno, chiamò il sacerdote; il quale,
cantando salmi ed inni a ventre digiuno, con acqua benedetta benedí la casa; e
poi tutti ritornarono a riposare. E cosí, come io dissi nel principio del mio
parlare, l'ipocresia offese l'anima ed il corpo del prete, il quale, credendo
mangiare la torta, rimase contra sua voglia digiuno. —
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