— Tre cose, leggiadre donne, distruggono il mondo e mandano
ogni cosa sottosopra; la pecunia, il dispetto e il rispetto. Il che agevolmente
potrete intendere, se alla mia favola benigna audienza prestarete.
Lodovico Mota, sí come avete altre volte inteso, fu uomo
aveduto, saggio e de' primai della cittá di Napoli; e non avendo moglie, prese
per donna la figliuola di Alessandro degli Alessandri, cittadino napolitano, e
di lei ebbe un solo figliuolo, a cui impose nome Cesare. Venuto il figliuolo
grandicello, gli diede un precettore che gl'insegnasse le prime lettere. Indi
mandollo a Bologna per studiare in ragion civile e ragion canonica; e ivi
avealo tenuto lungo tempo, ma poco profitto avea però egli fatto. Il padre,
desideroso che il figliuolo diventasse eccellente, gli comprò tutti i libri de
giureconsulti di ragion canonica e de dottori che hanno scritto nell'una e
nell'altra facultá, e pensava ch'egli di gran lunga superasse tutti i causidici
di Napoli, e davasi ad intendere che per tal causa gli avessino a toccare de
buoni clientuli e cause di molta importanza. Ma Cesare, dottissimo giovane,
mancandogli i primi fondamenti legali, era cosí nudo di lettere, ch'egli non
intendeva quello che leggeva, e quello ch'aveva imparato recitava con grande
audacia, anzi senza ordine e preposteramente, ponendo una cosa al contrario
dell'altra e dimostrando l'ignoranza sua, perciò che togliendo il vero per lo
falso e il falso per lo vero, contendeva molte volte con gli altri. E cosí come
un otre pieno di vento ne andava alla scuola, turati gli orecchi e facendo
castelli in aria; e perché a tutti quelli che sono ignoranti, è in bocca quel
detto che dice che gli è cosa disdicevole e brutta il studiare a quelli c'hanno
molte ricchezze, cosí costui ch'era ricco, o poco o niun profitto fece ne'
studi di ragion civile e canonica. Per il che volendo con la sua ignoranza
agguagliarsi a coloro ch'erano dottissimi, né avevano perso l'oglio e il tempo
ne' continoi studi, tentò prosontuosamente d'ascendere al grado del dottorato.
Propose adunque il fatto in senato, e accettati i punti della disputa, in
presenzia del popolo fece publicamente la 'sperienza, dimostrando il nero per
il bianco e il verde per il nero, credendo esso, cieco, che parimenti gli altri
fussero ciechi. Nondimeno per buona sorte, sí per danari, sí per gran favore e
amicizia, fu approvato e fatto dottore. Per il che accompagnato da gran
comitiva di onorate persone, andando per la cittá con suoni di trombe e
piffari, venne a casa con veste di seta e di porpora, sí che parea piú presto
uno ambasciatore che un dottore.
Un giorno questo eccellente magnate, vestito di porpora con la
stola di veluto, fece alcune cartelle, e legatele a guisa delle filze de'
notai, quelle riponeva in un certo vaso. E sopravenendogli per aventura il
padre, gli addimandò quello che far volesse di quelle carte. A cui diede egli
questa risposta: — Trovasi scritto, o padre, ne' libri di ragion civile, che le
sentenzie si deono connumerare tra i casi fortuiti. Io che ho considerata la
mente e non la corteccia della legge, ho fatto queste filze per sorte, nelle
quali ho notate alcune sentenzie, le quali, a Dio piacendo, quando pel vostro
aiuto sarò giudice della gran corte, pronunzierò senza fatica a' litiganti. Non
vi par egli, padre, ch'io abbia sottilmente investigato questa cosa? — Il
padre, inteso questo, rimaso pel dolor mezzo morto, voltò le spalle, lasciando
il disutel figliuolo nell'ignoranza sua. —
|