— Bennati anzi divini si suoleno giudicar coloro che con
effetti si guardano dalle cose contrarie e col giudicio naturale si accostano a
quelle che di beneficio e giovamento li sono: ma rari per l'addietro s'hanno
trovati e oggidí pochi si trovano, che una regola nel loro vivere vogliono
osservare. Ma altramente avenne ad uno re, il quale per conservar la sanitá
prese dal medico tre documenti e quelli osservando si resse.
Penso, anzi mi rendo certo, graziose donne, che mai non
abbiate inteso il caso di Guglielmo re di Bertagna, il quale a' tempi suoi né
in prodezza né in cortesia non ebbe il pare, e mentre ch'egli visse, sempre li
fu la fortuna favorevole e propizia. Avenne che il re gravemente s'infermò: ma
essendo assai giovane e di gran coraggio, nulla o poco estimava quel male. Or
continovando l'infermitá e di giorno in giorno facendosi maggiore, divenne a
tale, che quasi non piú vi era speranza di vita. Laonde il re ordinò che tutti
i medici della cittá venissero alla sua presenzia e liberamente dicesseno il
lor parere. Intesa la voluntá del re, tutti i medici, di qualunque grado e
condizione esser si voglia, andorono al palazzo regale e dinanzi al re
s'appresentarono. Tra questi medici vi era uno nominato maestro Gotfreddo, uomo
di buona vita e di sofficiente dottrina, ma povero e mal vestito e peggio
calzato. E perché egli era mal addobbato, non ardiva comparere tra tanti
sapienti ed eccellentissimi uomini: ma per vergogna si puose dietro l'uscio
della camera del re, che appena si puotea vedere, e ivi chetamente stava ad
ascoltar quello che dicevano i prudentissimi medici. Appresentati adunque tutti
i medici dinanzi al re, disse Guglielmo: — Eccellentissimi dottori, la causa
del raunarvi insieme alla presenza mia, altro non è se non ch'io desidero
intender da voi la causa di questa mia grave infermitá, pregandovi che con ogni
diligenzia vogliate curarla e darmi quelli opportuni rimedi che si ricercano,
restituendomi alla pristina sanitá. La qual restituita, mi darete quelli
consegli che piú idonei vi pareranno a conservarla. — Risposero i medici: —
Sacra Maestá, dar la sanitá non è in potestate nostra, ma nella mano di Colui
che sol con un cenno il tutto regge. Ma ben si sforzeremo in quanto per noi si
potrá, di farvi quelle provisioni che possibili seranno a riaver la sanitá e,
riavuta, conservarla. — Indi cominciarono i medici a disputare dell'origine
dell'infermitá del re e de' rimedi che s'hanno a dare; e ciascuno di loro, sí
come è lor usanza, particolarmente referiva l'opinione sua, allegando Galeno,
Ippocrate, Avicenna e gli altri suoi dottori. Il re, poscia che intese chiaramente
la lor opinione, volgendo gli occhi verso l'uscio della sua camera, vidde un
non so che di ombra che appareva, e addimandò se vi era alcuno che restasse a
dir l'opinione sua. Fulli risposto che no. Il re, ch'aveva adocchiato uno,
disse: — Parmi veder, se non son cieco, non so che dietro quella porta; e chi è
egli? — A cui rispose uno di quei sapienti: — Est homo quidam; — quasi
schernendolo e facendosene beffe di lui: e non considerava che spesse volte
aviene che l'arte dall'arte è schernita. Il re fecegli intendere che venisse
innanzi alla presenzia sua; ed egli, cosí mal vestito che un mendico pareva,
fecesi innanzi, e tutto timoroso umilmente s'inchinò, dandogli un bel saluto.
Il re, fattolo prima onorevolmente sedere, lo interrogò del nome suo. A cui
rispose: — Gotfreddo è il mio nome, Sacra Maestá. — Allora disse il re: —
Maestro Gotfreddo, voi dovete a bastanza aver inteso 'l caso mio per la
disputazione c'hanno fatto fin'ora questi onorandi medici; però non fa bisogno
altrimenti riassumere quello è stato detto. Che dite adunque voi di questa mia
infermitá? — Rispose maestro Gotfreddo: — Sacra Maestá, quantunque tra questi
onorandi padri il piú infimo e il men dotto e il men eloquente meritamente dir
mi possa per esser povero e di poca estimazione, nondimeno per obedire a'
precetti di Vostra Sublimitá mi sforzerò, in quanto per me si potrá, di
dichiarirle l'origine del mal suo; indi darolle una norma e una regola che
nell'avenire sano viver potrá. Sapiate, signor mio, che l'infermitá vostra non
è a morte, perciò che non è causata da fondamento fermo ma da sforzato e non
aveduto accidente, il quale, sí come tostamente venne, cosí ancor prestamente
si risolverá. Io, acciò che riabbiate la pristina sanitá, non voglio altro da
voi eccetto la dieta, prendendo un poco di fior di cassia per rinfrescar il
sangue. Il che fatto, in otto giorni resterete sano. Riavuta la sanitá, se voi
vorrete lungo tempo conservarvi sano, osservarete questi tre precetti. Il
primo, che voi teniate il capo ben asciutto. Il secondo, ch'abbiate i piedi
caldi. Il terzo, che 'l cibo vostro sia da bestia. Le quai cose se voi porrete
in essecuzione, lungo tempo camparete, e sano e gagliardo viverete. — I medici,
inteso il bell'ordine dato da Gotfreddo al re cerca la norma del suo viver, si
misero in tanto riso, che quasi si smascellavano da ridere; e voltatisi verso
il re, dissero: — Questi sono i canoni, queste sono le regole di maestro
Gotfreddo, questi sono gli suoi studi! Oh che bei rimedi, oh che buone
provisioni da esser fatte a un tanto re! — e in tal maniera lo schernivano. Il
re, vedendo le tante risa che i medici facevano, comandò che ognuno tacesse e
dal ridere oramai cessasse, e che maestro Gotfreddo rendesse la ragione di
tutto quello che avea proposto. — Signor mio, — disse Gotfreddo, — questi miei
onorandissimi padri, molto esperti nell'arte della medicina, si maravigliano
non poco dell'ordine da me dato cerca il viver vostro: ma se considerasseno con
saldo giudicio le cause per le quali vengono l'infermitá a gli uomini, forse
non si riderebbeno, ma attenti starebbeno ad ascoltare colui, che forse, con
sua pace il dico, è piú savio e piú perito di loro. Non prendete adunque
maraviglia, Sacra Corona, della proposta mia; ma abbiate per certo tutte
l'infermitá che vengono agli uomini, nascere o da riscaldamenti, o da freddo
preso, o da superfluitá d'umori cattivi. Imperciò che quando l'uomo si trova
per la stanchezza o per lo gran calore sudato, debbe immantinenti asciugarsi,
acciò che quella umiditá che è uscita fuori del corpo, piú dentro non ritorni e
generi l'infermitá. Poi, l'uomo dee tenere i piedi caldi, acciò l'umiditá e
freddura che rende la terra, non ascenda allo stomaco e dallo stomaco al capo,
e generi dolor di capo, mala disposizione di stomaco e altri innumerabili mali.
Il viver da bestia, è che l'uomo diè mangiare cibi appropriati alla
complessione sua, sí come fanno gli animali irrazionali, i quali si nudriscono
di cibi convenevoli alla natura loro. E piglio l'esempio dal bove e dal
cavallo, ai quali se noi appresentiamo un cappone, un fasciano, una pernice o
la carne di un buon vitello o di altro animale, certo non vorranno mangiarne,
perché non è cibo appropriato alla natura loro. Ma se li porrete dinanzi il
fieno e la biada, per cibo convenevole a sé, subito lo gusteranno. Ma date il
cappone, il fasciano e la carne al cane over al gatto, subito li divoreranno,
perché è cibo appropriato a loro; ma per contrario lascieranno il fieno e la
biada, perché non li conviene per esser contrario alla natura loro. Voi adunque,
signor mio, lasciarete i cibi che alla natura vostra non si convengono, e
abbracciarete quelli che alla complessione vostra sono convenevoli; e cosí
facendo, viverete sano e lungamente. — Piacque molto al re il consiglio datoli
da Gotfreddo, e prestandoli fede, a quello s'attenne; e data licenzia agli
altri medici, lo ritenne appo di sé, avendolo in molta riverenza per le sue
degne virtú, e di povero lo fece ricco, sí come egli meritava: e solo rimasto
alla cura del signore, felicemente visse. —
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