— La prodigalitá è un vizio che conduce l'uomo a peggior fine che
l'avarizia, perciò che 'l prodigo consuma il suo e quello d'altrui, e fatto
povero, non è ben veduto da alcuno, anzi tutti lo fuggono come persona
insensata, e lo dileggiano prendendo giuoco di lui: sí come intravenne ad un
Pietro Rizzato, il quale per la sua prodigalitá venne in grandissima miseria,
indi, trovato un tesoro, diventò ricco e avaro.
Dico adunque che giá nella cittá di Padova, famosissima per lo
studio, abitava ne' passati tempi un Pietro Rizzato, uomo affabile, di bellezza
prestante e di ricchezze sopra ogni altro abondevole: ma era prodigo, perciò
che donava agli amici or questa or quell'altra cosa, secondo li parea convenire
al grado loro; e per la sua troppo grande liberalitá aveva molti che lo
seguitavano, né mai li mancavano ospiti alla sua mensa, la qual era sempre
abondantissima di dilicate e preziose vivande. Costui tra l'altre sue pazzie ne
fece due, delle quali l'una fu, che, andando un giorno con altri gentil'uomini
da Padova a Vinegia per Brenta, e veggendo che ciascaduno di loro s'essercitava
chi in sonare, chi in cantare e chi altre cose facendo, egli, per non parer tra
loro ocioso, si mise con i danari a far, come si dice, passarini, e gettavali
ad uno ad uno nel fiume. L'altra, ch'è di maggior importanza, fu ch'essendo
egli in villa, e venendo a lui molti giovani per corteggiarlo, e veggendogli da
lontano, per far loro onore, fece metter fuoco in tutte le case de' suoi
lavoratori. Volendo adunque Pietro contentar il suo sfrenato appetito in tutte
le cose a lui possibili, vivendo dissolutamente e senza alcun freno, presto gli
vennero le sue gran ricchezze a meno, e insieme gli mancarono tutti gli amici
che 'l corteggiavano. Egli per lo passato tempo, quando era nella sua felicitá,
aveva nodrito molti famelici; ora ch'egli è affamato e sitibondo, non trova
alcuno che gli voglia dar da mangiare o da bere. Egli vestiva i nudi, ora niuno
gli copre la sua nuditá; egli aveva cura degl'infermi, ora niuno ha cura della
sua infermitá. Egli accarezzava tutti onorandogli sommamente; ora è malveduto e
lo fuggono come contagiosa peste. Laonde essendo giunto il miserello all'amaro
e crudel passo di povertá, ed essendo nudo e infermo e vessato dal flusso in
tal maniera che n'andava il sangue, menava pazientemente la misera e infelice
sua vita, ringraziando sempre Dio che dato gli avea conoscimento.
Avenne che andando un giorno il meschinello pieno di rogna,
tutto sozzo, ad un certo luogo roinato, non giá per solazzare ma per diporvi
giú il natural peso del ventre, e guardando finalmente in un pariete per
antichitá guasto, vidde per una gran fissura risplendere oro. E rotto quel
pariete, trovò un gran vaso di terra pieno di ducati d'oro; e portatolo a casa
nascosamente, cominciò a rispendere, non profusamente come prima, ma secondo il
suo bisogno e moderatamente. Gli amici e cari compagni, che continovamente il
corteggiavano nel tempo che 'l viveva felicissimamente, avedutisi che si era
fatto ricco, pensarono di ritrovarlo prodigo come prima; e andatisene a lui, il
cominciorono carezzare e corteggiare, pensando tuttavia di viver alle altrui
spese. Ma la cosa non gli venne fatta come essi voleano ed era il desiderio
loro. Perciò che non solamente non lo trovarono pazzo e largo nel spendere,
scioccamente donando il suo e facendo banchetti: ma conobbero apertamente lui
esser divenuto savio e avaro. E addimandato dagli amici e compagni come era
diventato si ricco, li rispondeva che se volevano ancor essi diventar ricchi,
bisognava prima che vuotassino il sangue dal ventre suo, come aveva fatto egli,
dinotandogli che prima aveva sparso 'l sangue che trovato avesse li danari.
Allora gli sopradetti compagni e amici, vedendo che non vi era allegrezza di
cavar altro construtto da lui, si partirono. —
Perché la rosseggiante aurora incominciava apparere, e giá era
terminato il carnessale, e sopragiunto il primo dí di quadragesima, la signora,
voltatasi all'onorevol compagnia, con piacevol viso cosí disse: — Sapiate,
magnifici signori e amorevoli donne, che noi siamo al primo dí di quaresima, ed
oramai da per tutto si odeno le campane che n'invitano alle sante prediche e a
fare la penitenza de' nostri commessi errori. Laonde mi par cosa onesta e
giusta che in questi santi giorni poniamo da canto i dilettevoli ragionamenti e
gli amorosi balli e soavi suoni, gli angelici canti e le ridicolose favole, ed
attendiamo alla salute delle anime nostre. — Gli uomini parimenti e le donne,
ch'altro non desideravano, il voler della signora sommamente comendarono. E
senza far accendere i torchi, perciò che omai era il giorno chiaro, comandò la
signora che ciascuno se n'andasse a riposare, né piú alcuno si riducesse per
conto di compagnia all'usato concistoro, se prima non gli era imposto da lei.
Gli uomini, tolta buona licenza dalla signora e dalle damigelle, e lasciatele
in santa pace, ritornarono agli alloggiamenti loro.
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