— Sí alta, valorose donne, e
resvigliata è la virtú dello intelletto umano, che non è cosa in questo mondo
sí grave e sí malagevole, che, rappresentata dinanzi all’uomo, non li paia
lieve e facile, e con spazio di tempo non la mandi a perfezione. Laonde tra la
gente minuta communamente dir si suole che l’uomo fa ciò che egli vuole. Il
qual proverbio mi dá materia di raccontarvi una favola, la quale, avenga che
ridiculosa non sia, sará però piacevole e di diletto, ammaestrandovi ad
agevolmente conoscere l’astuzia di coloro che continovo involano i beni e le
facultá d’altrui.
In Perugia, antica e nobile cittá della Romagna, celeberrima
di studi ed abondantissima del vivere, dimorava, non giá gran tempo fa, un
giovane giotto e della vita ben disposto quanto alcuno altro fusse giamai, e da
tutti era Cassandrino chiamato. Costui, sí per la sua fama sí per li suoi
ladronezzi, era quasi noto a ciascuno del popolo perugino. Molti cittadini e
plebei eransi andati a richiamare al pretore, facendo contra lui gravi e lunghe
querele per cagione de’ beni che egli involati gli aveva. Ma egli dal pretore
non fu mai castigato, quantunque da lui con minacce fusse agramente ripreso. Ed
avenga che Cassandrino fusse per i ladronezzi e per le altre giottonie infame e
di perduta speranza, niente di meno egli aveva in sé una laudevole virtú, che
essercitava il latrocinio non giá per avarizia, ma per potere a tempo e luoco
usare la liberalitá e magnificenza verso coloro che gli erano benigni e
favorevoli. E perciò che egli era affabile, piacevole e faceto, il pretore sí
cordialmente lo amava, che non poteva star un giorno che seco non lo avesse.
Perseverando adunque Cassandrino in questa parte biasmevole e
parte laudevole vita, e considerando il pretore le giuste querele che di giorno
in giorno contra lui erano porte, e per lo amor grande che li portava non
potendolo punire, un giorno lo chiamò a sé; e ridottolo in uno secreto
camerino, lo cominciò caritativamente ammonire, essortandolo volesse lasciare
cotesta malvagia vita ed accostarsi alla virtú, fuggendo i trabocchevoli
pericoli ne’ quai egli per li suoi pessimi portamenti incorreva. Cassandrino,
che attentamente raccolte aveva le parole del pretore, rispose: — Signor mio,
io ho udite e chiaramente intese le amorevoli ammonizioni che voi per vostra
urbanitá fatte mi avete, e quelle conosco uscire dal vivo e chiaro fonte di
quello amore che voi mi portate. Di che vi ringrazio assai. Ma ben mi doglio
che certi insensati, invidiosi degli altrui beni, di continovo cercano seminar
scandali e togliere con sue velenose parole l’altrui onore e fama. Meglio
farebbono questi tali che ciò vi dicono, tenere la velenifera lingua tra’
denti, che improperare altrui. — Il preside, che di poca levatura aveva
bisogno, diede piena fede alle parole di Cassandrino, nulla o poco delle
querele contra lui date curandosi; perciò che lo amore che ’l pretore li
portava, avevali sí abbarbagliati gli occhi, che piú oltre non vedeva. Avenne
che, trovandosi un giorno Cassandrino col pretore alla mensa e ragionando con
esso lui di varie cose che erano di piacere e diletto, tra l’altre li raccontò
d’un giovane che era di tanta astuzia dalla natura dotato, che non vi era cosa
alcuna sí nascosa e diligentemente custodita, che ei con sue arti furtivamente
non la prendesse. Il che intendendo, il pretore disse: — Questo giovane non può
esser altri che tu, che sei uomo accorto, malizioso ed astuto. Ma quando ti
bastasse l’animo in questa notte furarmi il letto della camera dove io dormo,
ti prometto sopra la mia fé di donarti fiorini cento d’oro. — Udendo
Cassandrino la proposta del pretore, assai si turbò, ed in tal maniera li
rispose: — Signor, a quel che mi posso avedere, voi mi tenete un ladro; ma io
non sono ladro, né anche figliuolo di ladro, perciò che io della propia
industria e de’ propi sudori me ne vivo: e cosí passo la vita mia. Ma pur, se
vi è in piacere di farmi per tal causa morire, io, per lo amore che vi ho
sempre portato ed ora porto, farovvi questo ed ogn’altro piacere, e poi me ne
morrò contento. —
Desideroso adunque Cassandrino di compiacere al pretore, senza
aspettare da lui altra risposta, si partí, e tutto quel giorno freneticando se
n’andò come egli potesse rubbare il letto, che egli non s’avedesse; e stando in
questa frenesia, gli venne un pensiero: il qual fu questo. Era, il giorno che
questa imaginazione li venne, morto in Perugia un mendico, lo quale era stato
sotterrato in un avello, fuori della chiesa de’ frati predicatori. Laonde egli
la notte su ’l primo sonno andò lá dove era il mendico sepolto, e leggermente
lo avello aperse; e preso il corpo morto per li piedi, fuor della sepultura lo
trasse: e spogliatolo nudo, lo rivestí de’ propi panni, i quali li stavano sí
bene indosso, che non il mendico, ma Cassandrino chiunque lo avesse veduto,
giudicato lo avrebbe. E levatoselo su le spalle, meglio ch’ei puote, verso il
palagio se n’andò; e giuntovi, col mendico in spalla montò su per una scala che
seco recato aveva, e su ’l tetto del palagio salí, e chetamente cominciò
scoprire il coperto del palagio; e con li suoi stromenti di ferro sí fattamente
perforò le travi e le tavole, che fece un gran pertugio sopra la camera dove il
pretor dormiva. Il preside, che nel letto giaceva e non dormiva, sentiva chiaramente
tutto quello che faceva Cassandrino; e quantunque ne sentisse danno per lo
rompere del coperto, pur ne prendeva piacere e gioco, aspettando di punto in
punto che egli venisse a furarli il letto di sotto. E tra sé stesso diceva: —
Fa pur, Cassandrino, il peggio che tu sai, — che in questa notte il letto mio
non averai. — Stando adunque il pretore con gli occhi aperti e con le orecchie
attente, ed aspettando che ’l letto li fusse involato, ecco che Cassandrino
mandò giú per lo pertugio il mendico morto: il quale nella camera del preside
diede sí fatta botta in terra, che lo fece tutto smarrire. Onde levatosi di
letto e preso il lume, vide il corpo che in terra tutto franto e pisto giaceva.
E credendo veramente che ’l corpo caduto fusse Cassandrino. perciò che era
vestito de’ suoi panni, fra sé stesso assai dolendosi disse: — Ohimè misero!
guata, dolente me, come, per adempire un mio fanciullesco appetito, della
costui morte son stato cagione. Che si dirá di me quando si saperá che egli mi
sia morto in casa? Oh quanto cauti ed aveduti gli uomini esser denno! — Stando
il pretore in questi lamenti, picchiò all’uscio della camera di un suo leale e
fido servente; e destatolo, li raccontò il misero caso intervenuto: pregandolo
facesse una fossa nel giardino e dentro il corpo ponesse, acciò che tal
vituperoso fatto ad alcun tempo non venisse in luce. Mentre il pretore e lo
servente diedero sepultura al corpo morto, Cassandrino, che di sopra cheto si
stava ed ogni cosa vedeva, non udendo né vedendo persona alcuna nella camera,
primamente si calò giú per una fune, e fatto uno viluppo del letto, con molto
suo agio via lo portò. Sepolto il corpo morto, e ritornato il pretore nella
camera per posare, vide che il letto li mancava. Di che tutto suspeso rimase; e
se egli volse dormire, forza li fu prendere altro partito, pensando tuttavia
alla sagacitá ed astuzia del sottilissimo ladro.
Venuto il giorno, Cassandrino, secondo che egli soleva, se
n’andò al palagio, ed appresentossi al pretore; il quale vegendolo disse: — Veramente,
Cassandrino, tu sei un famosissimo ladro. Chi mai si sarebbe imaginato
d’involare il letto con tant’astuzia, se non tu? — Cassandrino nulla
rispondeva; ma, sí come il fatto suo non fusse, ammirativo si stava. — Tu me ne
hai fatta una delle beffe, — diceva il pretore; — ma voglio che tu me ne facci
un’altra, ed allora conoscerò io quanto il tuo ingegno vaglia. Se tu nella
seguente notte mi rubberai il cavallo leardo che tanto mi piace e tengo caro,
io ti prometto, oltre i cento fiorini che io ti promisi, dartene altri cento. —
Cassandrino, udita la dimanda del pretore, fece sembiante di esser molto
turbato, e duolsesi che ei avesse di lui cosí sinistra oppenione, pregandolo
tuttavia che della sua roina non volesse esser cagione. Il pretore, vedendo
Cassandrino rifiutare ciò che gli addimandava, si sdegnò e disseli: — Quando
non farai questo, non aspettare altro da me, se non esser appiccato col
capestro ad una delle morse delle mura di questa cittá. — Cassandrino, che
vedeva la cosa esser molto pericolosa ed importare altro che finocchi, disse al
pretore: — Io farò ogni mio forzo di contentarvi, intra venga ciò che si
voglia, ancor che a tal cosa atto non mi trovi. — E presa licenza, si partí. Il
pretore, che cercava isperimentare l’ingegno sottile di Cassandrino, chiamò a
sé uno suo servente, e dissegli: — Va alla stalla, e metti in punto il mio
cavallo leardo, e montali su, e fa che in questa notte tu non smonti giú; ma
guata bene, ed abbi buona cura che ’l cavallo non ti sia tolto. — E ad un altro
comandò che a guardia del palagio si stesse; e chiuse le porte sí del palagio
come della stalla con fortissime chiavi, si partí.
Venuta la buia notte. Cassandrino prese li suoi stromenti; e
andatosene all’uscio del palagio, trovò che ’l guardiano dolcemente dormiva. E
perciò che egli ottimamente sapeva tutti i luoghi secreti del palagio,
lasciollo dormire, e presa un’altra strada, entrò nella corte; e andatosene
alla stalla e trovatala chiusa, tanto con i suoi ferri chetamente operò, che
l’uscio aperse; e veduto il servente sopra il cavallo con la briglia in mano,
alquanto si smarrí, ed appressatosi pianamente a lui, vide ch’ancor ei
fieramente dormiva. Lo astuto e trincato ladro, vedendo il servo a guisa d’una
marmotta profondamente dormire, trovò la piú bella malizia che uomo vivente si
potesse mai imaginare; imperciò che egli tolse la misura dell’altezza del
cavallo, dandole però quello avantaggio che all’opera sua conveneva, e
partitosi e gitosene nel giardino, prese quattro gran pali che sostenevano le viti
d’un pergolato, e fattali l’acuta punta, alla stalla ritornò; e veduto il servo
ancora dirottamente dormire, astutamente tagliò le redine della briglia che il
servente teneva in mano; dopo tagliò il pettorale, la cingia, la groppiera ed
ogn’altra cosa che pareva li fusse ad impedirlo. E fitto in terra uno palo
sotto l’uno de’ cantoni della sella, quella alquanto chetamente sollevò dal
cavallo e posela su ’l palo. Indi postone un altro sotto l’altro cantone, fece
il somigliante; e fatto il simile negli altri duo cantoni, levò la sella tutta
di netto dalla schiena del cavallo; e, tuttavia il servo sopra la sella
dormendo, sopra i quattro pali in terra fitti la puose: e preso il capestro e
messolo al capo del cavallo, quello via condusse. Il pretore, levatosi di letto
la mattina per tempo, ed andatosene alla stalla, e credendo trovare il cavallo,
trovò il servente che profondamente dormiva sopra la sella dai quattro pali
sostentata. E destatolo, li disse la maggior villania che si dicesse mai ad un
uomo del mondo, e, tutto sopra sé manendo, di stalla si partí.
Venuto il giorno, Cassandrino, secondo l’uso suo, se n’andò al
palagio ed appresentossi al preside, con lieto viso salutandolo. A cui disse il
preside: — Veramente, Cassandrino, tu porti il vanto di tutti i ladri: anzi io
ti posso chiamare re e prencipe de’ ladri. Ma ora ben conoscerò io se tu sei
saccente ed ingenioso. Tu conosci, se non m’enganno, pre’ Severino, rettore
della chiesa di san Gallo non molto lontana dalla cittá; se tu me lo porterai
qua in un sacco legato, promettoti sopra la mia fé, oltre li ducento fiorini
d’oro che io ti promisi, dartene altrettanti; e non facendolo, pensa di morire.
— Era questo pre’ Severino uomo di buona fama e di onestissima vita, ma non
molto aveduto; ed attendeva solamente alla sua chiesa, e d’altro nulla o poco
si curava. Vedendo Cassandrino l’animo del pretore contro lui sí mal disposto,
disse tra sé medesimo; — Certo costui cerca farmi morire; ma forse il pensier
suo gli anderá fallito, per ciò che io mi delibero a piú potere di sodisfarlo
al tutto. — Volendo adunque Cassandrino far sí che il pretore rimanesse
contento, s’imaginò di far al prete una beffa: la quale, secondo che egli
desiderava, gli andò ad effetto. La beffa adunque fu questa: che egli prese da un
suo amico in prestanza uno camice sacerdotale lungo sino a’ piedi ed una stola
bianca tutta ricamata d’oro, e portossela a casa. Dopo, presi certi cartoni
grandi e sodi, fece due ali di vari colori dipinte ed un diadema che alluminava
l’aria d’intorno. E sopraggiunta la sera, con le sopradette cose uscí fuori
della cittá ed andossene a quella villa dove abitava pre’ Severino; ed ivi si
nascose dietro una macchia di pungenti spine, e tanto vi stette che venne
l’aurora. Laonde Cassandrino, cacciatosi in dosso il camice sacerdotale e
messasi la stola al collo e lo diadema in capo e le ali alle spalle, si
appiattò, e cheto stette sino a tanto che venne il prete a sonar l’Ave Maria.
Appena che Cassandrino si era vestito e appiattato, che pre’ Severino col cherichetto
giunse all’uscio della chiesa; ed entratovi dentro, lo lasciò aperto e
andossene a far li suoi servigi. Cassandrino, che stava attento e vedeva
l’uscio della chiesa aperto, mentre che il prete sonava l’Ave Maria, uscí della
macchia e chetatamente entrò in chiesa; e accostatosi al cantore d’un altare e
stando dritto in piedi con un saccone che con ambe le mani teneva, cominciò con
umile e bassa voce cosí dire: — Chi vuol andare in gloria, entri nel sacco! chi
vuol andare in gloria, entri nel sacco! — Continovando Cassandrino in tal
maniera le sue parole, ecco che il cherichetto usci fuori di sacrestia; e
veduto lo camice bianco come neve e lo diadema che risplendeva come il sole e
le ali che parevano penne di pavone, ed udita la voce, molto si smarrí; ma
rinvenuto alquanto, ritornò al prete e disseli: — Messere, non ho io veduto
l’angiolo del cielo con un sacco in mano, il qual dice: Chi vuol andar in
gloria, entri nel sacco? Io vi voglio andare, messere. — Il prete, che aveva
poco sale in zucca, prestò fede alle parole del cherichetto; e uscito fuori di
sacrestia, vide l’angiolo parato ed udí le parole. Onde desideroso il prete di
andare in gloria, e dubitando che il cherichetto non gli togliesse la volta
entrando prima che lui nel sacco, finse di aversi domenticato il breviario a
casa, e disse al cherichetto: — Va a casa, e guata nella camera mia, e recami
il mio breviario che mi ho domenticato sul scanno. — Mentre che ’l cherichetto
andò a casa, pre’ Severino riverentemente accostossi all’angelo e con grandissima
umiltá nel sacco si misse. Cassandrino, trincato, malizioso e astuto, vedendo
il suo disegno riuscir bene, subito chiuse il sacco e strettamente legollo; e
trattosi di dosso il camice sacerdotale e posto giú lo diadema e le ali, fece
un viluppo, e messolo col sacco sopra le spalle, verso Perugia se ne andò. E
fatto il chiaro giorno, entrò nella cittá; ed a convenevole ora appresentò il
sacco al pretore, e scioltolo trasse fuori pre’ Severino. Il quale, piú morto
che vivo, trovandosi in presenza del pretore ed accorgendosi esser deriso, fece
gran querela contro lui: altamente gridando come egli era stato assassinato ed
astutamente posto nel sacco non senza suo disonor e danno, pregando Sua Altezza
che dovesse far giustizia e non lasciare cotale eccesso senza grandissimo
castigamento, a ciò che la sua pena sia chiaro e manifesto essempio a tutti gli
altri mal fattori. Il pretore, che giá aveva inteso il caso dal principio al
fine, quasi dalle risa non si poteva astenere; e voltatosi verso pre’ Severino,
cosí li disse: — Padrezzolo mio, state cheto e non vi sgomentate; perciò che
noi non vi mancheremo di favore e di giustizia, ancor che questa cosa, sí come
noi potiamo comprendere, sia stata una berta. — E tanto seppe fare e dire il
pretore, che lo attasentò; e preso un sacchetto con alquanti fiorini d’oro,
glielo puose in mano, e ordinò che fusse fin fuori della terra accompagnato. E
voltatosi verso Cassandrino, disse: — Cassandrino, Cassandrino, maggiori sono
gli effetti delli tuoi ladronezzi, che non è la fama per la terra sparsa. Però
prendi i quattrocento fiorini d’oro da me a te promessi, perciò che
onoratissimamente guadagnati li hai. Ma fa che nell’avenire attendi a viver piú
modestamente di ciò che per lo adietro hai fatto; perciò che se di te piú mi
verrá alle orecchie querela alcuna, io ti prometto senza remissione di farti
impiccare per le canne della gola. — Cassandrino, presi li quattrocento fiorini
d’oro e rese le debite grazie al pretore, si partí; e messosi al mercatantare,
divenne uomo saggio e di gran maneggio. —
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