— Io trovo, amorevoli donne, sí
nelle istorie antiche come nelle moderne, che l’operazioni di un pazzo, mentre
che egli impazzisce, o naturali o accidentali che elle siano, li riusciscono
molte volte in bene. Per tanto mi è venuto nell’animo di raccontarvi una favola
d’un pazzo; il quale, mentre che impazziva, per una sua operazione savio
divenne, e per moglie ebbe una figliuola d’un re: sí come per lo mio ragionare
potrete intendere.
Nell’isola di Capraia, posta nel mare ligustico, la quale
Luciano re signoreggiava, fu giá una povera vedovella, Isotta per nome
chiamata. Costei aveva un figliuolo pescatore; ma per sua disaventura era
matto, e tutti quelli che lo conoscevano, Pietro pazzo lo chiamavano. Costui
ogni dí se n’andava a pescare: ma tanto gli era la fortuna nemichevole, che nulla
prendeva; ed ogni volta che egli ritornava a casa, essendo ancora piú di mezzo
miglio lontano dalla stanza, si metteva sí fortemente a gridare, che tutti
quelli che erano nell’isola agevolmente udire lo potevano: e lo suo gridare era
tale: — Madre, conche conchette, secchie secchiette, mastelle mastellette, che
Pietro è carico di pesce! — La povera madre, dando fede alle parole del
figliuolo e credendo ciò che egli diceva esser il vero, il tutto apparecchiava.
Ma giunto che egli era alla madre, il pazzo la scherniva e beffava, traendo di
bocca la lingua lunga piú di un gran sommesso.
Aveva questa vedovella la casa sua dirimpetto del palazzo di
Luciano re: il quale aveva una figliuola di anni dieci, molto leggiadretta e
bella. Alla quale, per esser unica figliuola, impose il nome suo, e Luciana
s’addimandava. Questa, tantosto che sentiva Pietro pazzo dire: — Madre, conche
conchette, secchie secchiette, mastelle mastellette, che Pietro ha preso molto
pesce! — correva alla finestra, e di ciò pigliava tanto trastullo e solaccio,
che alle volte dalle risa si sentiva morire. Il pazzo, che ridere
dismisuratamente la vedeva, molto si sdegnava e con parole non convenevoli la
villaneggiava. Ma quanto piú il pazzo con villane parole l’oltreggiava, tanto
piú ella, come i morbidi fanciulli fanno, ne rideva e giuoco n’apprendeva.
Continovando adunque Pietro di giorno in giorno la sua pescagione, e
scioccamente ripetendo alla madre le sopradette parole, avenne che ’l poverello
un giorno prese un grande e grosso pesce, da noi tonno per nome chiamato. Di
che egli ne sentí tanta allegrezza, che ’l se n’andava saltolando e gridando
per lo lito: — Cenerò pur con la mia madre, cenerò pur con la mia madre! — ed
andava tai parole piú volte replicando. Vedendosi il tonno preso, e non potendo
in modo alcuno fuggire, disse a Pietro pazzo: — Deh, fratello mio, pregoti per
cortesia che vogli di tal prigionia liberarmi e donarmi la vita. Deh, caro
fratello, e che vuoi tu far di me? Come mangiato tu mi avrai, qual altro
beneficio di me conseguir ne potrai? Ma se tu da morte mi camperai, forse ad
alcun tempo agevolmente io ti potrei giovare. — Ma il buon Pietro, che aveva
piú bisogno di mangiare che di parole, voleva pur al tutto ponerselo in spalla
e portarselo a casa per goderselo allegramente con la madre sua che ancor ella
molto bisogno ne aveva. Il tonno non cessava tuttavia di caldamente pregarlo,
offerendogli di dargli tanto pesce, quanto egli desiderava avere. Ed appresso
questo li promise di concedergli ciò che egli gli addimanderebbe. Pietro, che,
quantunque pazzo fusse, non aveva di diamante il cuore, mosso a pietá, contentò
da morte liberarlo; e tanto e con i piedi e con le braccia lo spinse, che lo
gittò nel mare. Allora il tonno, vedendo aver ricevuto sí gran beneficio, non
volendo dimostrarsi ingrato, disse a Pietro: — Ascendi nella tua navicella, e
col remo e con la persona pieghela tanto da l’un de’ lati, che l’acqua vi possa
entrare. — Montato Pietro in nave, e fattala star curva e pendente da uno lato
sopra il mare, tanta copia de pesci vi entrò, che ella stette in grandissimo
pericolo di sommergersi. Il che vedendo, Pietro che niente stimava il pericolo,
assai se ne allegrò: e presone tanto quanto in collo ne poteva portare, verso
casa tolse il cammino; ed essendo non molto lontano dall’abitazione, cominciò,
secondo la lui usanza, ad alta voce gridare: — Conche conchette, secchie
secchiette, mastelle mastellette, che Pietro, ha pigliato di molto pesce! — La
madre, che pensava come prima esser derisa e beffata, movere non si voleva. Ma
pur il pazzo nel grido piú altamente continovava. Laonde la madre, temendo
ch’egli non facesse qualche maggior pazzia se gli vasi preparati non trovasse,
ogni cosa apparecchiò. Aggiunto Pietro a casa, e veduta dalla madre tanta copia
di bellissimo pesce, ella tutta si rallegrò, laudando Iddio che egli una volta
aveva pur avuta buona ventura.
La figliuola del re, avendo udito Pietro altamente gridare,
era corsa alla finestra; e lo dileggiava e scherniva, ridendosi fortemente
delle parole sue. Il poverello, non sapendo altro che fare, acceso d’ira e di
furore, corse al lito del mare, e ad alta voce chiamò il tonno che aiutare lo
dovesse. Il tonno, udita la voce e conosciutala di cui era, s’appresentò alla
riva del mare: e messo il capo fuori delle salse onde, l’addimandò che cosa
egli comandava. A cui il pazzo disse: — Altro per ora non voglio, se non che
Luciana, figliuola di Luciano re, gravida si trovi. — Il che in meno di un
levar d’occhi fu essequito, tanto quanto egli comandato aveva. Non passorono
molti giorni e mesi, che ’l verginal ventre cominciò crescere alla fanciulla
che ancora il duodecimo anno tocco non aveva: e vedevansi segni evidentissimi
di donna gravida. La madre della fanciulla, questo vedendo, molto addolorata
rimase, non potendosi persuadere che una fanciulla di undeci anni, che ancora i
segni di donna non dimostrava, ingravidar si potesse. E pensando che piú tosto
ella fusse, sí come suol avenire, in qualche infirmitá incurabile caduta, volse
che dalle donne esperte fusse veduta; le quali diligentemente con secreto modo
avendola considerata, giudicorono indubitatamente la fanciulla esser gravida.
La reina, non potendo un tanto ignominioso eccesso sofferire, con Luciano re
suo marito lo volse communicare. Il che inteso dal re, da cordoglio volse
morire. E fatta la debita inquisizione con ogni onesto e secreto modo se ’l si
poteva scoprire chi era stato colui che la fanciulla violata aveva, né potendo
cosa alcuna intendere, per non restar con sí vituperoso scorno, voleva
occultamente ucciderla. Ma la madre, che teneramente amava la figliuola, pregò
il re che la riserbasse fino a tanto che ella parturiva: e poi facesse quello
che piú gli aggradiva. Il re, che pur le era padre, mosso a compassione della
fanciulla che unica figliuola gli era, al voler materno s’achetò.
Venuto il tempo del parto, la fanciulla parturí un bellissimo
bambino; e perciò che era di somma bellezza, non puote il re sofferire che
ucciso fusse, ma comandò alla reina che fino all’anno allattare e ben nodrire
lo facesse. Essendo il bambino pervenuto al termine dell’anno, e crescendo in
tanta bellezza che non vi era un altro che se gli potesse agguagliare, parve al
re di far una isperienza, se colui, di cui era figliuolo, si potesse trovare.
Laonde il re fece fare un publico bando per tutta la cittá, che chiunque della
sua etá il decimo quarto anno passava, dovesse, sotto pena di esserli il capo
spiccato dal busto, appresentarsi a sua Maestá, portando nelle mani un frutto o
un fiore over altra cosa che potesse dar campo al fanciullo di potersi
commovere. Secondo il comandamento del re tutti vennero al palazzo portando chi
un frutto chi un fiore e chi l’una e chi l’altra cosa in mano: e passavano
dinanzi al re, e dopo secondo i loro ordini sedevano. Avenne che andando un giovene
al palazzo, sí come gli altri facevano, s’abbattè in Pietro pazzo, e dissegli:
— Dove vai, Pietro? Per che non vai al palazzo come gli altri, ed ubidire al
comandamento del re? — A cui Pietro rispose: — E che vuoi tu che io faccia fra
tanta brigata? Non vedi tu che io sono povero, nudo, né ho pur una veste da
coprirmi; e tu vuoi che io mi ponga fra tanti signori e corteggiani? Questo non
farò giá io. — Disse allora il giovene burlando: — Vieni meco, ed io ti darò
una veste; e chi sa che il fanciullo non possi esser tuo? — Andatosene adunque
Pietro a casa del giovene, li fu data una veste; la quale presa e di quella
vestitosi, se n’andò in compagnia del giovene al palazzo: ed asceso su per le
scale, si puose dietro un uscio del palazzo, che appena da alcuno poteva esser
veduto.
Essendosi adunque tutti appresentati al re, e dopo messisi a
sedere, il re comandò che ’l bimbo in sala fusse portato, pensando che, ivi
ritrovandosi il padre, le viscere paterne si commoverebbono. La balia prese il
fanciullo in braccio ed in sala lo portò: dove tutti lo accarezzavano, dandogli
chi un frutto chi un fiore e chi l’una e chi l’altra cosa; ma il bambino tutti
con mano li ricusava. La balia, ch’or quinci or quindi passeggiava per la sala,
una volta verso l’uscio del palazzo trascorse; e subito il fanciullo ridendo
con la testa e con tutta la persona sí fieramente si piegò, che quasi uscí
fuori delle braccia della balia. Ma ella non avedendosi di cosa alcuna,
scorreva per tutto. Ritornata la balia da capo all’uscio, il fanciullo faceva
la maggior festa, in quel luogo, del mondo, sempre ridendo e dimostrando
l’uscio col dito. Il re, che giá si accorgeva degli atti che faceva il
fanciullo, chiamò la balia ed addimandolla, chi era dietro l’uscio. La balia,
che altro non pensava, rispose esservi un mendico. Onde fattolo chiamare e
venire alla sua presenza, conobbe il re che egli era Pietro pazzo. Il
fanciullo, che gli era vicino, aperte le braccia, se gli aventò al collo e
strettamente lo abbracciò. Il che vedendo il re, doglia sopra doglia li crebbe,
e data buona licenza a tutta la brigata, deliberò che Pietro, con la figliuola
e con il bambino, al tutto morisse. Ma la reina, che prudentissima era, molto
saviamente considerò che, se costoro nel cospetto del re fossero decapitati ed
arsi, gli sarebbe non picciolo vituperio e scorno. E però persuase al re che
ordinasse una botte, la maggior che far si potesse, e tutta tre dentro
rinchiusi, la botte nel mare gittasse, lasciandogli, senza che loro tanto
affanno sentissino, andare alla buona ventura. Al re tale arricordo molto
piacque: ed ordinata la botte, e messili tutta tre dentro con una cesta di pane
ed uno fiasco di buona vernazza e con uno barile di fichi per lo fanciullo,
nell’alto mare la fece gettare, pensando che giungendo in qualche scoglio si
dovesse rompere ed annegare.
Ma la cosa altrimenti successe di ciò che ’l re e la reina
pensato avevano. La vecchiarella madre di Pietro, intendendo il caso strano del
figliuolo, tutta addolorata e dalla vecchiezza gravata, in pochi giorni se ne
morí. Essendo adunque la misera Luciana nella botte da procellose onde molto
combattuta, né vedendo sole né luna, dirottamente piangeva la sua sciagura: e
non avendo latte da attasentare il fanciullo che sovente piangeva, alle volte
gli dava de’ fichi, ed in tal modo lo addormentava. Ma Pietro, nulla curandosi,
ad altro non attendeva se non al pane ed alla vernazza. Il che veggendo,
Luciana disse: — Pietro, ohimè! tu vedi come io per te la pena innocentemente
patisco, e tu insensato ridi, mangi e bevi, né punto consideri al commune
pericolo. — A cui egli rispose: — Questo ci è avenuto non giá per colpa mia, ma
per cagione tua, che continuamente mi deridevi e berteggiavi. Ma sta di buon
animo, — disse, — che tosto usciremo d’affanni. — Io — disse Luciana, — mi
penso che tu dica il vero che tosto usciremo d’affanni; perciò che la botte si
rumperá sopra qualche sasso, e noi si annegheremo. — Allora Pietro disse: —
Taci, che io ho un secreto, il quale se tu sapessi, molto ti maraviglieresti, e
forse ti rallegreresti. — E che secreto hai tu, — disse Luciana, — che sollevar
ci potesse e di tanto travaglio ni traesse? — Io ho un pesce, — disse Pietro, —
il quale fa ciò ch’io gli comando, e non preterirebbe cosa alcuna se egli
credesse perder la vita: e fu quello che t’ingravidò. — Questa è una buona
cosa, — disse Luciana, — quando cosí fusse. Ma come si addimanda il pesce? —
disse Luciana. A cui rispose Pietro: — Egli s’addimanda tonno. — Ma fa ch’egli
mi dia la tua autoritá, — disse Luciana, — imponendogli che tanto essequisca,
quanto io gli dirò. — Sia fatto — disse Pietro, — il tuo volere. — Ed
incontanente chiamò il tonno, e commessegli che quanto ella gli imponeva, tanto
egli facesse. La giovane, avuta la potestá di comandare al tonno, subito li
comandò che egli gittasse la botte sopra uno de’ piú belli e piú securi scogli
che sotto l’imperio del padre suo si trovasse; dopo, che operasse sí che
Pietro, di sozzo e pazzo, divenisse il piú bello ed il piú saggio uomo che
allora nel mondo si trovasse. E non contenta di ciò, ancora volse che sopra il
scoglio fabricasse un ricchissimo palazzo con logge e con sale e con camere
bellissime; e che di dietro avesse uno giardino lieto e riguardevole, copioso
de alberi che producano gemme e preziose perle: in mezzo del quale sia una
fontana di acqua freddissima ed una volta de preziosi vini. Il che senza
indugio fu largamente essequito.
Il re e la reina, arricordandosi esser sí miseramente della
figliuola e del bambino privi, e pensando come le loro carni fusseno giá divorate
da’ pesci, forte si ramaricavano, né mai si trovavano allegri né contenti. E
stando amendue in questo affanno e cordoglio, determinorono, per refrigerare
alquanto i passionati lor cuori, di andarsene in Gerusalemme ed ivi visitare la Terra santa; e preparata una
nave e guarnita di ciò che le conveneva, montorono in nave e si partirono, e
con prospero e favorevole vento navigorono. Non s’erano appena cento miglia
scostati dall’isola Capraia, che videro dalla lunga un ricco e superbo palazzo
alquanto rilevato dal piano, sopra un’isoletta posto. E perché era molto vago e
al dominio loro soggetto, lo volsero vedere. Ed accostatisi all’isoletta,
fecero scala, e giú di nave smontorono. Non erano ancora aggiunti al palazzo,
che Pietro pazzo e Luciana, figliuola del re, li conobbero; e scesi giú delle
scale, gli andorono incontra, e con strette accoglienze benignamente i
ricevettero. Ma il re e la reina, perciò che erano tutti trasformati, non i
conobbero. Entrati adunque nel vago palazzo, minutamente lo videro, e molto lo
comendorono; e scesi giú per una scaletta secreta, andorono nel giardino: il
quale al re ed alla reina tanto piacque, che giurorono a’ giorni suoi non
averne veduto un altro che piú li piacesse.
In mezzo del bel giardino eraci un albero che sopra un ramo
aveva tre pomi d’oro; ed il guardiano, per espresso comandamento di Luciana, i
custodiva che involati non fussero. Ma, non so come, il piú bello, non
avedendosi il re, occultamente nel seno gli fu posto. E volendosi partire il
re, disse il guardiano a Luciana: — Signora, uno de’ tre pomi, ed il piú bello,
ci manca: né posso sapere chi involato l’abbia. — Allora Luciana al guardiano
commesse che ad uno ad uno tutti diligentemente cercasse, perché non era cosa
da farsene poco conto. Il guardiano, poi che ebbe ben cercato e ricercato
ognuno, a lei ritornò, e dissele che non si trovava. Il che intendendo, Luciana
finse di molto turbarsi; e voltatasi al re, disse: — Sacra Maestá, mi
perdonarete se ancor voi sarete cercato; perciò che il pomo d’oro che ci manca,
è di sommo valore, e molto piú l’apprezzo che ogni altra cosa. — Il re, che non
sapeva la trama, pensando che in lui tal error non fusse, arditamente la veste
si scinse; e subito il pomo in terra cadde. Il che vedendo, il re tutto suspeso
e stupefatto rimase, non sapendo come in seno venuto gli fusse. Luciana,
vedendo allora tal cosa, disse: — Signor mio, noi vi abbiamo carezzato e
onorato molto, facendovi quelle accoglienze ed onori che degnamente meritate; e
voi, in guidardone delle accoglienze, senza saputa nostra ne involate del
giardino i frutti. Molto mi pare che verso di noi grande ingratitudine
mostrate. — Il re, che di ciò era innocente, molto si affaticava in farle
credere che egli il pomo involato non avesse. Luciana, veggendo che omai era
convenevole tempo di scoprirsi e dare a conoscere al padre l’innocenza sua, con
viso lagrimoso disse: — Signor mio, sapiate ch’io sono quella Luciana, la quale
infelicemente generaste e con Pietro pazzo e col fanciullo a morte crudelmente
dannaste. Io sono quella Luciana, vostra unica figliuola, la quale senza aver
conosciuto uomo alcuno pregna trovaste. Quest’è il fanciullo innocentissimo
senza peccato da me conceputo — (e appresentogli il fanciullo). — Quest’altro è
Pietro pazzo: il quale, per virtú d’un pesce chiamato tonno, sapientissimo
divenuto, fabricò l’alto e superbo palazzo. Costui fu quello che, senza che voi
ve n’avedeste, vi puose il pomo d’oro in seno. Costui fu quello di cui non con
stretti congiungimenti, ma con incantesimi gravida divenni. E sí come voi
dell’involato pomo d’oro siete innocente, cosí parimente della gravidanza io ne
fui innocentissima. — Allora tutti d’allegrezza piangendo si abbracciorono
insieme, e gran festa si fecero. E passati alcuni dí, montorono in nave, ed a Capraia
ritornorono: dove fu fatta grandissima festa e trionfo. Ed il re fece a Pietro
Luciana sposare; e come suo genero il pose in tal stato, ch’egli onoratamente
ed in consolazione lungo tempo visse. Ed il re, venendo al fine della sua vita,
del regno suo erede il constituí. —
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