— È cosa laudevole e necessaria molto che la donna, di
qualunque stato e condizione esser si voglia, nelle sue operazioni usi
prudenza: senza la quale niuna cosa ben si governa. E se una matrigna, della
quale ora raccontarvi intendo, con modestia usata l’avesse, forse, altrui
credendosi uccidere, non sarebbe stata per divino giudicio uccisa d’altrui, sí
come ora intenderete.
Regnava, giá gran tempo fa, in Monferrato un marchese potente
di stato e di ricchezze, ma de figliuoli privo: e Lamberico per nome si
chiamava. Essendo egli desideroso molto di avergliene, la grazia da Iddio gli
era denegata. Avenne un giorno che, essendo la marchesana in uno suo giardino
per diporto, vinta dal sonno, a’ piedi d’uno albero s’addormentò; e cosí
soavemente dormendo, venne una biscia piccioletta, ed accostatasi a lei, ed
andatasene sotto i panni suoi, senza che ella sentisse cosa alcuna, nella
natura entrò, e sottilissimamente ascendendo, nel ventre della donna si puose,
ivi chetamente dimorando. Non stette molto tempo che la marchesana, con non
picciolo piacere ed allegrezza di tutta la cittá, s’ingravidò: e giunta al
termine del parto, parturí una fanciulla con una biscia che tre volte l’avinchiava
il collo. Il che vedendo, le comari che l’allevavano si paventarono molto. Ma
la biscia, senza offesa alcuna dal collo della bambina disnodandosi, e
andossene alla balia, la qual ritrovò ch’ancora riposava; e destatala, con esso
lei senza dir cosa alcuna se n’andò in casa.
Venuto il giorno seguente, ed essendo Biancabella con la madre
in camera sola, assai nella vista sua malanconosa le parve. Laonde la madre le
disse: — Che hai tu, Biancabella, che star sí di mala voglia ti veggio? Tu eri
allegra e festevole, ed ora tutta mesta e dolorosa mi pari. — A cui la
figliuola rispose: — Altro non ho io, se non che io vorrei duo vasi, i quali
fussero nel giardino portati: uno de’ quai fusse di latte e l’altro di acqua
rosata pieno. — E per sí picciola cosa tu ti ramarichi, figliuola mia? — disse
la madre. — Non sai tu che ogni cosa è tua? — E fattisi portar duo bellissimi
vasi grandi, uno di latte e l’altro d’acqua rosata, nel giardino li mandò.
Biancabella, venuta l’ora, secondo l’ordine con la biscia dato, senza essere
d’alcuna damigella accompagnata, se n’andò al giardino; ed aperto l’uscio, sola
dentro si chiuse, e dove erano gli vasi, a sedere si puose. Non si fu sí tosto
posta Biancabella a sedere, che la biscia se le avicinò e fecela immantinente spogliare,
e cosí ignuda nel bianchissimo latte entrare; e con quello da capo a’ piedi
bagnandola e con la lingua tingendola, la nettò per tutto dove difetto alcuno
parere le potesse. Dopo, tratta fuori di quel latte, nell’acqua rosata la pose,
dandole un odore che a lei grandissimo refrigerio prestava. Indi la rivestí,
comandandole espressamente che tacesse e che a niuna persona tal cosa
scoprisse, quantunque il padre o la madre fusse; perciò che voleva che niuna
altra donna si trovasse, che a lei in bellezza ed in gentilezza agguagliar si
potesse. E addotatala finalmente d’infinite virtú, da lei si partí.
Uscita Biancabella del giardino, ritornò a casa; e vedutala la
madre sí bella e si leggiadra, ch’ogn’altra di bellezza e leggiadria avanzava,
restò sopra di sé e non sapea che dire. Ma pur la dimandò come aveva fatto a
venire in tanta estremitá di bellezza. Ed ella: non sapere, le rispondeva.
Tolse allora la madre il pettine per pettinarla e per conciarle le bionde
trezze: e perle e preziose gioie le cadevano dal capo; e lavategli le mani,
uscivano rose, viole e ridenti fiori di vari colori con tanta soavitá de odori,
che pareva che ivi fusse il paradiso terreste. Il che vedendo, la madre corse a
Lamberico suo marito; e con materna allegrezza li disse: — Signor mio, noi
abbiamo una figliuola la piú gentile, la piú bella e la piú leggiadra che mai
natura facesse. Ed oltre la divina bellezza e leggiadria che in lei chiaramente
si vede, da gli capelli suoi escono perle, gemme ed altre preziosissime gioie:
e dalle candide mani, oh cosa ammirabile! vengono rose, viole e d’ogni sorte
fiori, che rendono a ciascuno che la mira, soavissimo odore. Il che mai creduto
non arrei, se con e propi occhi veduto non l’avessi. — Il marito, che per
natura era incredulo e non dava si agevolmente piena fede alle parole della
moglie, di ciò se ne rise, e la berteggiava; pur fieramente stimolato da lei,
volse vedere che cosa ne riusciva. E fattasi venire la figliuola alla sua
presenza, trovò vie piú di quello che la moglie detto gli aveva. Il perché in
tanta allegrezza divenne, che fermamente giudicò non esser al mondo uomo che
congiungersi con essa lei in matrimonio degno fusse.
Era giá per tutto l’universo divolgata la gloriosa fama della
vaga e immortal bellezza di Biancabella; e molti re, prencipi e marchesi da
ogni parte concorrevano, acciò che il lei amore acquistassino ed in moglie
l’avessino. Ma niuno di loro fu di tanta virtú che aver la potesse, perciò che
ciascuno di loro in alcuna cosa era manchevole. Finalmente sopragiunse Ferrandino,
re di Napoli, la cui prodezza e chiaro nome risplendeva come il sole tra le
minute stelle; ed andatosene al marchese, gli dimandò la figliuola per moglie.
Il marchese, vedendolo bello leggiadro e ben formato, e molto potente e di
stato e di ricchezze, conchiuse le nozze; e chiamata la figliuola, senza altra
dimoranza si toccorno la mano e basciorono. Non fu sí tosto contratto il
sponsalizio, che Biancabella si rammentò delle parole che Samaritana sua
sorella amorevolmente dette le aveva; e discostatasi dal sposo, e fingendo di
voler fare certi suoi servigi, in camera se n’andò; e chiusasi dentro, sola per
un usciolo secretamente entrò nel giardino, e con bassa voce cominciò chiamare
Samaritana. Ma ella non piú come prima se le appresentava. Il che vedendo,
Biancabella molto si maravigliò; e non trovandola né veggendola in luogo alcuno
del giardino, assai dolorosa rimase, conoscendo ciò essere avenuto per non
esser lei stata ubidiente a’ suoi comandamenti. Onde ramaricandosi tra sé
stessa, ritornò in camera; ed aperto l’uscio, si pose a sedere appresso il suo
sposo, che lungamente aspettata l’aveva. Or finite le nozze, Ferrandino la sua
sposa a Napoli trasferí: dove con gran pompa e glorioso trionfo e sonore trombe
fu da tutta la cittá orrevolmente ricevuto.
Aveva Ferrandino matrigna con due figliuole sozze e brutte; e
desiderava una di loro con Ferrandino in matrimonio copulare. Ma essendole
tolta ogni speranza di conseguir tal suo desiderio, se accese contra di
Biancabella di tanta ira e sdegno, che non pur vedere, ma sentire non la
voleva: fingendo però tuttavia d’amarla ed averla cara. Volse la fortuna che il
re di Tunisi fece un grandissimo apparecchiamento per terra e per mare per
mover guerra a Ferrandino: non so se questo fusse per causa della presa moglie,
over per altra cagione; e giá col suo potentissimo essercito era entrato nelle
confine del suo reame. Laonde fu di bisogno che Ferrandino prendesse l’arme per
difensione del regno suo e raffrontasse il nimico. Onde messosi in punto di ciò
che li faceva mistieri, e raccomandata Biancabella, che gravida era, alla
matrigna, col suo essercito si partí.
Non passorono molti giorni, che la malvagia e proterva
matrigna deliberò Biancabella far morire; e chiamati certi suoi fidati servi,
li commise che con esso lei andar dovessino in alcun luoco per diporto, e indi
non si partisseno se prima da loro uccisa non fusse: e per certezza della morte
sua, le recassino qualche segno. Gli servi, pronti al mal fare, furono
ubidienti alla signora; e fingendo di andare ad uno certo luogo per diporto, la
condussero ad uno bosco dove giá di ucciderla si preparavano: ma vedendola sí
bella e sí graziosa, gli venne pietá, ed uccidere non la volsero, ma le
spiccarono ambe le mani dal busto e gli occhi di capo le trassero, portandogli
alla matrigna per manifesta certezza che uccisa l’avevano. Il che vedendo,
l’empia e cruda matrigna paga e molto lieta rimase. E pensando la scelerata
matrigna di mandar ad effetto il suo maligno proponimento, seminò per tutto il
regno che le due figliuole erano morte: una di continova febbre, l’altra per
una postema vicina al cuore ch’affocata l’aveva; e che Biancabella, per lo
dolore della partita del re, disperso aveva un fanciullo, e sopragiunta le era
una terzana febbre che molto la distruggeva, e che vi era piú tosto speranza di
vita che temenza di morte. Ma la malvagia e rea femina in vece di Biancabella
teneva nel letto del re una delle sue figliuole, fingendo lei esser Biancabella
da febbre gravata.
Ferrandino, che l’essercito del nimico aveva giá sconfitto e
disperso, a casa si ritornava con glorioso trionfo; e credendosi ritrovare la
sua diletta Biancabella tutta festevole e gioconda, la trovò che macra
scolorita e disforme nel letto giaceva. Ed accostatosi bene a lei, e guatatala
fiso nel volto e vedutala si distrutta, tutto stupefatto rimase, non potendosi
in modo alcuno imaginare che ella Biancabella fusse; e fattala pettinare,
invece di gemme e preziose gioie che dalle bionde chiome solevano cadere,
uscivano grossissimi pedocchi che ogni ora la divoravano: e dalle mani, che ne
uscivano rose ed odoriferi fiori, usciva una lordura e uno succidume che
stomacava chi le stava appresso. Ma la scelerata donna lo confortava, e gli
diceva questa cosa avenire per la lunghezza della infermitá che tali effetti
produce.
La misera adunque Biancabella con le mani monche e cieca
d’ambi gli occhi nel luoco solingo e fuor di mano soletta in tanta afflizione
si stava, chiamando sempre e richiamando la sorella Samaritana che aiutare la
dovesse; ma niuno vi era che le rispondesse se non la risonante eco che per
tutta l’aria si udiva. Mentre che la infelice donna dimorava in cotal passione,
vedendosi al tutto priva di umano aiuto, ecco entrare nel bosco un uomo attempato
molto, benigno di aspetto e compassionevole assai. Il quale, udita che ebbe la
mesta e lamentevole voce, a quella con le orecchie accostatosi, e pian piano
con i piedi avicinatosi, trovò la giovane cieca e monca delle mani che della
sua dura sorte neramente si ramaricava. Il buon vecchio, vedutala, non puote
sofferire che tra bronchi, dumi e spini rimanesse; ma vinto da paterna
compassione, a casa la condusse ed alla moglie la raccomandò: imponendole
strettissimamente che di lei cura avesse. E voltatosi a tre figliuole che tre
lucidissime stelle parevano, caldamente le comandò che compagnia tenere le
dovessino, carezzandola a tutt’ore e non lasciandole cosa veruna mancare. La
moglie, che piú cruda era che pietosa, accesa di rabbiosa ira, contra il marito
impetuosamente si volse, e disse: — Deh, marito, che volete voi che noi
facciamo di questa femina cieca e monca, non giá per le sue virtú, ma per
guidardone de’ suoi benemeriti? — A cui il vecchiarello con sdegno rispose: —
Fa ciò che io ti dico; e se altrimenti farai, non mi aspettar a casa. —
Dimorando adunque la dolorosa Biancabella con la moglie e le
tre figliuole, e ragionando con esso loro di varie cose, e pensando tra sé
stessa alla sua sciagura, pregò una delle figliuole che le piacesse pettinarla
un poco. Il che intendendo, la madre molto si sdegnò, perciò che non voleva in
guisa alcuna che la figliuola divenisse come sua servitrice. Ma la figliuola,
piú che la madre pia, avendo a mente ciò che commesso le aveva il padre, e
vedendo non so che uscire dall’aspetto di Biancabella che dimostrava segno di
grandezza in lei, si scinse il grembiale di bucato che dinanzi teneva; e
stesolo in terra, amorevolmente la pettinava. Né appena cominciato aveva
pettinarla, che delle bionde trezze scaturivano perle, rubini, diamanti ed
altre preziose gioie. Il che vedendo, la madre, non senza temenza, tutta
stupefatta rimase: e l’odio grande, che prima le portava, in vero amore
converse. E ritornato il vecchiarello a casa, tutte corsero ad abbracciarlo:
rallegrandosi molto con esso lui della sopragiunta ventura a tanta sua povertá.
Biancabella si fece recare una secchia d’acqua fresca, e fecesi lavare il viso
ed i monchi, dalli quali, tutti vedendo, rose, viole e fiori in abondanza
scaturivano. Il perché non umana persona, anzi divina la reputorono tutti.
Avenne che Biancabella deliberò di ritornare al luogo dove fu
giá dal vecchiarello trovata. Ma il vecchiarello, la moglie e le figliuole,
vedendo l’utile grande che di lei n’apprendevano, l’accarezzavano, ed
instantemente la pregavano che in modo alcuno partire non si dovesse,
allegandole molte ragioni acciò che rimovere la potessino. Ma ella, salda nel
suo volere volse al tutto partirsi, promettendoli tuttavia di ritornare. Il che
sentendo, il vecchio senza indugio alcuno al luoco dove trovata l’avea, la
ritornò. Ed ella al vecchiarello impose che si partisse, e la sera ritornasse a
lei, che ritornerebbe con esso lui a casa. Partitosi adunque il vecchiarello,
la sventurata Biancabella cominciò andare per la selva, Samaritana chiamando; e
le strida ed i lamenti andavano fino al cielo. Ma Samaritana, quantunque
appresso le fusse, né mai abbandonata l’avesse, rispondere non le voleva. La
miserella, vedendosi spargere le parole al vento, disse: — Che debbo io piú
fare al mondo, dopo che io sono priva degli occhi e delle mani, e mi manca
finalmente ogni soccorso umano? — Ed accesa da uno furore che la tolleva fuor
di speranza della sua salute, come disperata, si voleva uccidere. Ma non avendo
altro modo di finir la sua vita, prese il cammino verso l’acqua, che poco era
lontana, per attuffarsi; e giunta in su la riva giá per entro gittarsi, udí una
tonante voce che diceva: — Ahimè, non fare, né voler di te stessa esser
omicida! riserba la tua vita a miglior fine. — Allora Biancabella, per tal voce
smarrita, quasi tutti i capelli addosso si senti arricciare. Ma parendole
conoscere la voce, preso alquanto di ardire, disse: — Chi sei tu che vai
errando per questi luochi, e con voce dolce e pia ver me ti dimostri? — Io sono
— rispose la voce, — Samaritana tua sorella, la quale tanto instantemente
chiami. — Il che udendo, Biancabella con voce da fervidi singolti interrotta le
disse: — Ah! sorella mia, aiutami ti prego; e se io dal tuo consiglio scostata
mi sono, perdono ti chiedo. Perciò che errai, ti confesso il fallo mio, ma
l’error fu per ignoranza, non per malizia; che se per malizia stato il fusse,
la divina provvidenza non l’arrebbe lungo tempo sustenuto. — Samaritana, udito
il compassionevole lamento, e vedutala cosí maltrattata, alquanto la confortò;
e raccolte certe erbucce di maravigliosa virtú, e postele sopra gli occhi, e
giungendo due mani alle braccia, immantinente la risanò. Poscia Samaritana,
deposta giú la squallida scorza di biscia, una bellissima giovanetta rimase.
Giá il sole nascondeva gli suoi folgenti rai, e le tenebre
della notte cominciavano apparire, quando il vecchiarello con frettoloso passo
giunse alla selva, e trovò Biancabella che con un’altra ninfa sedeva. E
miratala nel chiaro viso, stupefatto rimase, pensando quasi ch’ella non fusse.
Ma poi che conosciuta l’ebbe, le disse; — Figliuola mia, voi eravate stamane
cieca e monca; come siete voi cosí tosto guarita? — Rispose Biancabella: — Non
giá per me, ma per virtú e cortesia di costei che meco siede, la quale mi è
sorella. — E levatesi ambedue da sedere, con somma allegrezza insieme con il
vecchio se n’andorono a casa: dove dalla moglie e dalle figliuole furono
amorevolmente ricevute.
Erano giá passati molti e molti giorni, quando Samaritana,
Biancabella ed il vecchiarello con la moglie e con le tre figliuole andarono
alla cittá di Napoli per ivi abitare; e veduto un luogo vacuo che era al
dirimpetto del palazzo del re, ivi si posero a sedere. E venuta la buia notte,
Samaritana, presa una vergella di lauro in mano, tre volte percosse la terra
dicendo certe parole; le quali non furono appena fornite di dire, che scaturí
un palazzo il piú bello ed il piú superbo che si vedesse giamai. Fattosi
Ferrandino re la mattina per tempo alla finestra, vide il ricco e maraviglioso
palazzo; e tutto attonito e stupefatto rimase. E chiamata la moglie e la
matrigna, lo vennero a vedere. Ma ad esse molto dispiacque, perciò che
dubitavano che alcuna cosa sinistra non le avenisse. Stando Ferrandino alla
contemplazione del detto palazzo, ed avendolo d’ogni parte ben considerato,
alzò gli occhi e vide per la finestra d’una camera due matrone che di bellezza
facevano invidia al sole. E tantosto che l’ebbe vedute, gli venne una rabbia al
cuore, perciò che li parve una di loro la sembianza di Biancabella tenere. E
addimandolle, chi fussero e donde venisseno. A cui fu risposto che erano due
donne fuoruscite, e che venivano di Persia con il loro avere, per abitare in
questa gloriosa cittá. E addimandate se grato averebbono che da lui e dalle sue
donne visitate fussero, gli risposero che caro le sarebbe molto, ma che era piú
convenevole ed onesto ch’elle, come suddite, andassero a loro, che elle, come
signore e reine, venissero a visitarle. Ferrandino, fatta chiamare la reina e
le altre donne, con esso loro, ancor che ricusassino di andare temendo forte la
loro propinqua roina, se ne girono al palazzo delle due matrone; le quali con
benigne accoglienze e onesti modi onoratissimamente le ricevettero,
mostrandogli le ampie logge e spaziose sale e ben ornate camere, le cui mura
erano d’alabastro e porfido fino, dove si vedevano figure che vive parevano.
Veduto che ebbero il pomposo palazzo, la bella giovane,
accostatasi al re, dolcemente lo pregò che si degnasse con la sua donna di
voler un giorno con esso loro desinare. Il re, che non aveva il cuor di pietra
ed era di natura magnanimo e liberale, graziosamente tenne lo invito. E rese le
grazie dell’onorato accetto che le donne fatto gli avevano, con la reina si
partí ed al suo palazzo ritornò. Venuto il giorno del deputato invito, il re,
la reina e la matrigna, regalmente vestite ed accompagnate da diverse matrone,
andorono ad onorare il magnifico prandio giá lautamente apparecchiato. E data
l’acqua alle mani, il siniscalco mise il re e la reina ad una tavola alquanto
piú eminente ma propinqua alle altre; dopo fece tutti gli altri secondo il loro
ordine sedere: ed a gran agio e lietamente tutti desinarono. Finito il pomposo
prandio e levate le mense, levossi Samaritana in piedi; e voltatasi verso il re
e la reina, disse: — Signor, acciò che noi non stiamo nell’ozio avvolti,
qualcuno propona alcuna cosa che sia di piacere e contento. — Il che tutti
confirmarono esser ben fatto. Ma non vi fu però veruno che proponere ardisse.
Onde vedendo Samaritana tutti tacere, disse: — Dopo che niuno si move a dire
cosa alcuna, con licenza di vostra Maestá farò venire una delle nostre donzelle
che ci dará non picciolo diletto. — E fatta chiamare una damigella che Silveria
per nome si chiamava, le comandò che prendesse la cetra in mano ed alcuna cosa
degna di laude ed in onore del re cantasse. La quale, ubidientissima alla sua
signora, prese la cetra; e fattasi al dirimpetto del re, con soave e dilettevol
voce, toccando col plettro le sonore corde, ordinatamente li raccontò l’istoria
di Biancabella, non però mentovandola per nome. E giunta al fine dell’istoria,
levossi Samaritana, e addimandò al re qual convenevole pena, qual degno
supplicio meritarebbe colui che sí grave eccesso avesse commesso. La matrigna,
che pensava con la pronta e presta risposta il difetto suo coprire, non aspettò
che ’l re rispondesse, ma audacemente disse: — Una fornace fortemente accesa
sarebbe a costui poca pena a quella che egli meritarebbe. — Allora Samaritana,
come bragia di fuoco nel viso avampata, disse: — E tu sei quella rea e crudel
femina per la cui cagione fu tanto errore commesso. E tu, malvagia e maladetta,
con la propia bocca te stessa ora dannasti. — E voltatasi Samaritana al re, con
allegra faccia gli disse: — Questa è la vostra Biancabella! Questa è la vostra
moglie da voi cotanto amata! Questa è colei senza la quale voi non potevate
vivere! — Ed in segno della veritá comandò alle tre donzelle, figliuole del
vecchiarello, che in presenza del re le pettinassino i biondi e crespi capelli:
dai quali, come è detto di sopra, ne uscivano le care e dilettevoli gioie, e
dalle mani scaturivano matuttine rose ed odorosi fiori. E per maggior certezza
dimostrò al re il candidissimo collo di Biancabella intorniato da una catenella
di finissimo oro, che tra carne e pelle naturalmente come cristallo traspareva.
Il re, conosciuto che ebbe per veri indizi e chiari segni lei esser la sua
Biancabella, teneramente cominciò a piangere ed abbracciarla. Ed indi non si
partí, che fece accendere una fornace, e la matrigna e le figliuole messevi
dentro. Le quali, tardi pentute del peccato suo, la loro vita miseramente
finirono. Appresso questo, le tre figliuole del vecchiarello orrevolmente
furono maritate; e Ferrandino re con la sua Biancabella e Samaritana lungamente
visse, lasciando dopo sé eredi legittimi nel regno. —
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