— Sono molti, dilettevoli donne, i quali per avere lungo tempo
dato opera al studio delle buone lettere, si pensano molte cose sapere, e poi o
nulla o poco sanno. E mentre questi tali credonsi signare in fronte, a sé
stessi cavano gli occhi: sí come avenne ad uno medico molto scienziato
nell’arte sua; il quale, persuadendosi di altrui uccellare, fu non senza sua
grave danno ignominiosamente uccellato: sí come per la presente favola, che
raccontarvi intendo, poterete pienamente comprendere.
Gallese, re di Portogallo, ebbe un figliuolo, Nerino per nome
chiamato; ed in tal maniera il fece nudrire, che egli, sino a tanto che non
pervenisse al decim’ottavo anno della sua etá, non potesse vedere donna alcuna,
se non la madre e la balia che lo nodricava. Venuto adunque Nerino alla etá
perfetta, determinò il re di mandarlo in studio a Padova, acciò che egli
imparasse le lettere latine, la lingua ed i costumi italiani. E cosí com’egli
determinò, cosí fece. Ora essendo il giovane Nerino in Padova, ed avendo presa
amicizia di molti scolari che quotidianamente il corteggiavano, avenne che tra
questi v’era un medico che maestro Raimondo Brunello fisico si nominava; e
sovente ragionando tra loro diverse cose, si misero, come è usanza de’ giovani,
a ragionare della bellezza delle donne: e chi diceva l’una e chi l’altra cosa.
Ma Nerino, perciò che per lo adietro non aveva veduta donna alcuna eccetto la
madre e la balia sua, animosamente diceva che per suo giudicio non si trovava
al mondo donna che fusse piú bella, piú leggiadra e piú attilata che la madre
sua. Ed essendone state a lui dimostrate molte, tutte come carogne a
comparazione della madre sua reputava. Maestro Raimondo, che aveva una moglie
delle belle donne che mai la natura facesse, postasi la gorgiera delle ciance, disse:
— Signor Nerino, io ho veduta una donna di tal bellezza, che quando voi la
vedeste, forse non la riputereste meno, anzi piú bella della madre vostra. — A
cui rispose Nerino ch’egli credere non lo poteva che ella fosse piú formosa
della madre sua, ma che ben arrebbe piacere di vederla. A cui disse maestro
Raimondo: — Quando vi sia a grado di vederla, mi offerisco di mostrarvela. — Di
questo — rispose Nerino, — ne sarò molto contento, e vi rimarrò obligato. —
Disse allora maestro Raimondo: — Poiché vi piace di vederla, verrete domattina
nella chiesa del domo; che vi prometto che la vederete. — Ed andatosene a casa,
disse alla moglie: — Dimane levati di letto per tempo, ed acconciati il capo, e
fatti bella, e vestiti onoratissimamente, perché io voglio che tu vadi nell’ora
della messa solenne nel domo ad udir l’ufficio. — Genobbia, cosí era il nome
della moglie di maestro Raimondo, non essendo usa di andare or quinci or
quindi, ma la maggior parte si stava in casa a cusere e ricamare, molto di
questo si maravigliò; ma perciò che cosí egli voleva ed era il desiderio suo,
ella cosí fece: e si mise in punto e conciossi sí fattamente, che non donna,
anzi dea pareva.
Andatasene adunque Genobbia nel sacro tempio, sí come il
marito le aveva imposto, venne Nerino, figliuolo del re, in chiesa; e veduta
Genobbia, tra sé stesso bellissima la giudicò. Partita la bella Genobbia,
sopragiunse maestro Raimondo; ed accostatosi a Nerino, disse: — Or che vi pare
di quella donna che ora è partita di chiesa? Parvi che ella patisca opposizione
alcuna? È ella piú bella della madre vostra? — Veramente — disse Nerino, — che
ella è bella: e la natura piú bella far non la potrebbe. Ma ditemi, per
cortesia, di cui è ella moglie, e dove abita. — A cui maestro Raimondo non
rispose a verso, perciò che dirglielo non voleva. Allora disse Nerino: —
Maestro Raimondo mio, se voi non volete dirmi chi ella sia e dove abita, almeno
contentatemi di questo, che io un’altra fiata la vegga. — Bene volontieri, —
rispose maestro Raimondo; — dimane verrete qua in chiesa; ed io farò sí che
come oggi la vedrete. — Ed andatosene a casa, maestro Raimondo disse alla
moglie: — Genobbia, apparecchiati per domattina, che io voglio che tu vadi a
messa nel domo; e se mai tu ti festi bella e pomposamente vestisti, fa che
dimane il facci. — Genobbia di ciò, come prima, stavasi maravigliosa. Ma per
ciò che importava il comandamento del marito, ella fece tanto quanto per lui
imposto le fu. Venuto il giorno, Genobbia, riccamente vestita e vie piú del
solito ornata, in chiesa se n’andò. E non stette molto che Nerino venne; il
quale, veggendola bellissima, tanto del lei amore se infiammò, quanto mai uomo
di donna facesse. Ed essendo giunto maestro Raimondo, Nerino lo pregò che egli
dir li dovesse chi era costei che sí bella a gli occhi suoi pareva. Ma fingendo
maestro Raimondo di aver pressa per rispetto delle pratiche sue, nulla allora
dir gli volse; ma lasciato il giovane cuocersi nel suo unto, lietamente si
partí. Laonde Nerino, alquanto d’ira acceso per lo poco conto che maestro
Raimondo aveva mostrato farsi di lui, tra sé stesso disse: — Tu non vuoi che io
sappi chi ella sia e dove abiti; ed io lo saprò a tuo mal grado. — Ed uscito
dalla chiesa, tanto aspettò, che la bella donna ancor uscí dalla chiesa fuori;
e fattale riverenza, con modesto modo e volto allegro sino a casa l’accompagnò.
Avendo adunque Nerino chiaramente compresa la casa dove ella
abitava, cominciò vagheggiarla; né sarebbe passato un giorno, ch’egli non fusse
dieci volte passato dinanzi la casa sua. E desiderando di parlar con lei,
andava imaginando che via egli potesse tenere per la quale l’onor della donna
rimanesse salvo, ed egli ottenesse l’intento suo. Ed avendo pensato e
ripensato, né trovando alcun remedio che salutifero li fusse, pur tanto fantasticò,
che gli venne fatto di aver l’amicizia d’una vecchiarella, la quale aveva la
sua casa all’incontro di quella di Genobbia. E fattile certi presentuzzi, e
confermata la stretta amicizia, secretamente se ne andava in casa sua. Aveva la
casa di questa vecchiarella una finestra la quale guardava nella sala della
casa di Genobbia: e per quella a suo bell’agio poteva vederla andare su e giú
per casa; ma non voleva scoprirsi per non darle materia di non lasciarsi piú
vedere. Stando adunque Nerino ogni giorno in questo secreto vagheggiamento, né
potendo resistere all’ardente fiamma che gli abbrusciava il cuore, deliberò tra
sé stesso di scriverle una lettera e gittargliela in casa a tempo che gli
paresse che il marito in casa non fusse. E cosí gliela gittò. E questo egli piú
volte fece. Ma Genobbia, senza altrimenti leggerla, né altro pensando, la
gittava nel fuoco, e l’abbrusciava. E quantunque ella avesse tal effetto fatto
piú fiate, pur una volta le parve d’aprirgliene una e vedere quello che dentro
si conteneva. E apertala, e veduto come il scrittore era Nerino, figliuolo del
re di Portogallo, di lei fieramente innamorato, stette alquanto sopra di sé; ma
poi considerando alla mala vita che il marito suo le dava, fece buon animo, e
cominciò far buona ciera a Nerino; e dato un buon ordine, lo introdusse in
casa. Ed il giovane le raccontò il sommo amore che egli le portava, ed i
tormenti che per lei ogn’ora sentiva, e parimenti il modo come si fusse di lei
innamorato. Ed ella, che bella, piacevole e pietosa era, il suo amore non gli
negò.
Essendo adunque ambeduo d’un reciproco amore congiunti, e
stando negli amorosi ragionamenti, ecco maestro Raimondo picchiare all’uscio.
Il che Genobbia sentendo, fece Nerino coricarsi sopra il letto e, stese le
cortine, ivi dimorare sino a tanto che il marito si partisse. Entrato il marito
in casa, e prese alcune sue cosette, senza avedersene di cosa alcuna, si partí.
Ed altresí fece Nerino. Venuto il giorno sequente, ed essendo Nerino in piazza
a passeggiare, per aventura passò maestro Raimondo: a cui Nerino fece di cenno
che gli voleva parlare; ed accostatosi a lui, li disse: — Messere, non vi ho io
da dire una buona novella? — E che? — disse maestro Raimondo. — Non so io, —
disse Nerino, — la casa di quella bellissima madonna? E non sono io stato in
piacevoli ragionamenti con esso lei? e perciò che il suo marito venne a casa,
ella mi nascose nel letto, e tirò le cortine, acciò che egli vedermi non
potesse, e subito si partí. — Disse maestro Raimondo: — È possibil questo? —
Rispose Nerino: — Possibil è, ed è il vero; né mai vidi la piú festevole, né la
piú graziata donna di lei: se per caso, messere mio, voi andaste a lei, fate
che mi raccomandate, pregandola che la mi conservi nella sua buona grazia. — A
cui maestro Raimondo promesse di farlo; e di mala voglia da lui si partí. Ma
prima disse a Nerino: — Gli tornarete piú? — A cui rispose Nerino: — Pensatel
voi. — Ed andatosene maestro Raimondo a casa, non volse dir cosa alcuna della
moglie, ma aspettare il tempo di ritrovarli insieme.
Venuto il giorno sequente, Nerino a Genobbia ritornò; e mentre
stavano in amorosi piaceri e dilettevoli ragionamenti, venne a casa il marito.
Ma ella subito nascose Nerino in una cassa, a rimpetto della quale pose molte
robbe che ella sborrava acciò che non si tarmassino. Il marito, fingendo di
cercare certe sue cose, gittò sottosopra tutta la casa, e guatò sino nel letto;
e nulla trovando, con piú riposato animo si partí, ed alle sue pratiche se
n’andò. E Nerino parimenti si partí. E ritrovato maestro Raimondo, gli disse: —
Signor dottore, non sono io ritornato da quella gentildonna? e la invidiosa
fortuna mi ha disconzo ogni piacere; perciò che il lei marito sopragiunse e
disturbò il tutto. — E come facesti? — disse maestro Raimondo. — Ella, —
rispose Nerino, — aperse una cassa e mi puose dentro; e rimpetto della cassa
puose molte vestimenta che ella governava che non si tarmassino. Ed egli il
letto sottosopra volgendo e rivolgendo, e nulla trovando, si partí. — Quanto
questa cosa tormentosa fusse a maestro Raimondo, pensare il può chiunque ha
provato amore.
Aveva Nerino a Genobbia donato un bello e prezioso diamante,
il quale dentro la ligatura nell’oro aveva scolpito il capo e nome suo; e
venuto il giorno, ed essendo maestro Raimondo andato alle sue pratiche, Nerino
fu dalla donna in casa introdotto: e stando con esso lei in piaceri e grati
ragionamenti, ecco il marito che ritorna a casa. Ma Genobbia, cattivella,
aveggendosi della venuta sua, immantinente aperse un scrigno grande che era
nella sua camera, e dentro lo nascose. E maestro Raimondo, entrato in casa,
fingendo di cercare certe sue cose, rivolse la camera sottosopra; e nulla
trovando, né in letto, né nelle casse, come sbalordito, prese il fuoco; ed a
tutti i quattro cantoni della camera lo pose con determinato animo di
abbrusciare la camera e tutto ciò che in quella si conteneva. Giá i parieti e
le travamenta cominciavano ardere, quando Genobbia, voltatasi contra il marito,
disse: — Che vuol dir questo, marito mio? Siete forse voi diventato pazzo? Se
pur voi volete abbrusciare la casa, brusciatela a vostro piacere: ma in fede
mia non abbrusciarete quel scrigno dove sono le scritture che appartengono alla
dote mia; — e fatti chiamare quattro valenti bastagi, gli fece traere di casa
lo scrigno e ponerlo in casa della vicina vecchiarella; e celatamente lo aprí,
che niuno se n’avide, e ritornossene a casa. L’insensato maestro Raimondo stava
pur a vedere se usciva fuori alcuno che non gli piacesse: ma nulla vedeva, se
non l’insopportabile fumo ed ardente fuoco che la casa abbrusciava. Erano giá
concorsi i vicini per estinguere il fuoco; e tanto si operorono, che finalmente
lo spensero.
Il giorno sequente Nerino, andando verso il Prato dalla valle,
in maestro Raimondo si abbattè; e salutatolo, disse: — Maestro mio, non vi ho
io da raccontare una cosa che molto vi piacerá? — E che? — rispose maestro
Raimondo. — Io disse Nerino, — ho fuggito il piú spaventevole pericolo che mai
fuggisse uomo che porti vita. Andai a casa da quella gentil madonna; e
dimorando con esso lei in piacevoli ragionamenti, sopragiunse il suo marito: il
quale, dopo ch’ebbe rivoltata la casa sottosopra, accese il fuoco, e poselo in
tutti i quattro cantoni della camera, ed abbrusciò ciò che era in camera. — E
voi — disse maestro Raimondo, — dove eravate? — Io — rispose Nerino, — era
nascoso nel scrigno che ella fuori di casa mandò. — Il che maestro Raimondo
intendendo, e conoscendo ciò che egli raccontava essere il vero, da dolore e
passione si sentiva morire; ma pur non osava scoprirsi, perciò che desiderava
di vederlo nel fatto. E dissegli: — Signor Nerino, vi ritornarete voi mai piú?
— A cui rispose Nerino: — Avendo io scampato il fuoco, di che piú temenza debbo
io avere? — Or messi da canto questi ragionamenti, maestro Raimondo pregò Nerino
che si dignasse d’andare il giorno seguente a desinar seco; ed il giovane
accettò volontieri l’invito.
Venuto il giorno seguente, maestro Raimondo invitò tutti i
suoi parenti ed i parenti della moglie, ed apparecchiò un pomposo e superbo
prandio: non giá nella casa che era mezza abbrusciata, ma altrove; e comandò
alla moglie che ancor ella venesse: ma che non dovesse sedere a mensa, ma che
stesse nascosta e preparasse quello che faceva mestieri. Raunati adunque tutti
i parenti ed il giovane Nerino, furono posti a mensa; e maestro Raimondo con la
sua maccaronesca scienza cercò di inebriare Nerino per poter poi fare il parer
suo. Laonde avendoli piú volte pôrto maestro Raimondo il bicchiere pieno di
malvatico vino, ed avendolo Nerino ogni volta bevuto, disse maestro Raimondo: —
Deh, signor Nerino, raccontate un poco a questi parenti nostri una qualche
novelluzza da ridere. — Il povero giovane Nerino, non sapendo che Genobbia
fusse moglie di maestro Raimondo, cominciò raccontargli l’istoria: riservando
però il nome di ciascuno. Avenne che uno servente andò in camera dove Genobbia
dimorava, e dissele: — Madonna, se voi foste in un cantone nascosta, voi
sentireste raccontare la piú bella novella che mai udiste alla vita vostra;
venete, vi prego. — Ed andatasene in un cantone, conobbe che la voce era di
Nerino suo amante, e che l’istoria ch’egli raccontava, a lei perteneva. E la
donna prudente e saggia tolse il diamante che Nerino donato li aveva, e poselo
in una tazza d’argento piena d’una delicata bevanda, e disse al servente: —
Prendi questa tazza, e recala a Nerino, e digli che egli la beva, che poi
meglio ragionerá. — Il servente, presa la tazza, portolla alla mensa; e volendo
Nerino bere, disse il servente: — Pigliate questa tazza, signore, che poi
meglio ragionarete. — Ed egli, presa la tazza, beve tutto il vino; e veduto e
conosciuto il diamante che vi era dentro, lo lasciò andare in bocca; e fingendo
di nettarsi la bocca, lo trasse fuori e se lo mise in dito. Ed accortosi Nerino
che la bella donna di cui ragionava era moglie di maestro Raimondo, piú oltre
passare non volse; e stimolato da maestro Raimondo e dai parenti che l’istoria
cominciata seguisse, egli rispose: — Eh sí, eh sí! cantò il gallo, e subito fu
dí; e dal sonno risvegliato, altro piú non udí. — Questo udendo i parenti di
maestro Raimondo, e prima credendo che tutto quello che Nerino gli aveva detto
della moglie esser vero, trattorono l’uno e l’altro da grandissimi embriachi.
Dopo alquanti giorni Nerino trovò maestro Raimondo; e fingendo
di non sapere che egli fusse marito di Genobbia, dissegli che fra due giorni
era per partirsi, perciò che il padre scritto gli aveva che al tutto tornasse
nel suo reame. Maestro Raimondo li rispose che fusse il ben andato. Nerino,
messo secreto ordine con Genobbia, con lei se ne fuggí; ed in Portogallo la
trasferí, dove con somma allegrezza longamente vissero. E maestro Raimondo,
andatosene a casa e non trovata la moglie, fra pochi giorni disperato se ne
morí. —
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