Il sole, bellezza del ridente
cielo, misura del volubil tempo e vero occhio del mondo, da cui la cornuta luna
ed ogni stella riceve il suo splendore, oggimai aveva nascosi i rubicondi ed
ardenti raggi nelle marine onde, e la fredda figliuola di Latona, da risplendenti
e chiare stelle intorniata, giá illuminava le folte tenebre della buia notte,
ed i pastori, lasciate le spaziose ed ampie campagne e le brinose erbette e le
fredde e limpid’acque, si erano con il lor gregge tornati agli suoi usati
casamenti, e lassi e stanchi dalle fatiche del giorno sopra i molli e teneri
giunchi profondamente dormivano, quando la bella ed onorevole compagnia, posto
giú ogni altro pensiero, con frezzoloso passo al concistorio si ridusse. E
fatto motto alla signora che tutti giá erano raunati, e tempo era omai di
ridursi a favoleggiare, la signora, dalle altre donne onoratissimamente
accompagnata, tutta festevole e ridente, con lento e tardo passo nella camera
del ridotto si venne. E con lieto viso l’amichevole compagnia graziosamente
salutata, si mise a sedere; indi comandò che l’aureo vaso le fusse recato: e
postovi dentro di cinque damigelle il nome, il primo ad Eritrea toccò per
sorte; l’altro ad Alteria fu deputato; il terzo a Lauretta; il quarto ad
Arianna concesse il fato, ed a Cateruzza l’ultimo luoco diede il cielo per
elezione. Dopo, al suono de’ soavi flauti con lento passo si diedero tutti al
carolare; e poscia ch’ebbero con festevoli ed amorosi ragionamenti carolato
alquanto, tre delle damigelle, presa prima buona licenza dalla signora, la
presente canzone soavemente cantorono:
Quando Amor, donna, ad ora ad ora muove
vostro leggiadro e nobile sembiante
e quelle luci sante
ne’ quai mia vita e la mia morte prendo,
Da quelle viste mansuete e nuove
giungemi al cuor un sí vago pensiero,
ch’or mansueto or fiero
con la speranza e van desir contendo;
e cosí dolcemente allor m’incendo
d’una speme sí ferma e sí sicura,
che piú null’altra cura
mi può dall’uso mio far cangiar stato.
Onde ringrazio il dí, natura e il cielo,
che per mio divin fato
fui preso e impiuto d’un sí dolce zelo.
Dapoi che le tre donzelle posero
fine all’amorosa canzone, che per sospiri da presso l’aere rompea, la signora
fece cenno ad Eritrea, a cui per sorte aveva toccato il primo luogo della
presente notte, che a favoleggiare desse incominciamento. La quale, vedendo di
non potersi iscusare, per non turbare il giá principiato ordine, messa da canto
ogni perturbazione d’animo, cosí a dire incominciò:
|