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Giovanni Francesco Straparola
Le piacevoli notti

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  • LIBRO PRIMO Orfeo dalla Carta alle piacevoli ed amorose donne, salute.
    • NOTTE QUINTA
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NOTTE QUINTA

Il sole, bellezza del ridente cielo, misura del volubil tempo e vero occhio del mondo, da cui la cornuta luna ed ogni stella riceve il suo splendore, oggimai aveva nascosi i rubicondi ed ardenti raggi nelle marine onde, e la fredda figliuola di Latona, da risplendenti e chiare stelle intorniata, giá illuminava le folte tenebre della buia notte, ed i pastori, lasciate le spaziose ed ampie campagne e le brinose erbette e le fredde e limpidacque, si erano con il lor gregge tornati agli suoi usati casamenti, e lassi e stanchi dalle fatiche del giorno sopra i molli e teneri giunchi profondamente dormivano, quando la bella ed onorevole compagnia, posto giú ogni altro pensiero, con frezzoloso passo al concistorio si ridusse. E fatto motto alla signora che tutti giá erano raunati, e tempo era omai di ridursi a favoleggiare, la signora, dalle altre donne onoratissimamente accompagnata, tutta festevole e ridente, con lento e tardo passo nella camera del ridotto si venne. E con lieto viso l’amichevole compagnia graziosamente salutata, si mise a sedere; indi comandò che l’aureo vaso le fusse recato: e postovi dentro di cinque damigelle il nome, il primo ad Eritrea toccò per sorte; l’altro ad Alteria fu deputato; il terzo a Lauretta; il quarto ad Arianna concesse il fato, ed a Cateruzza l’ultimo luoco diede il cielo per elezione. Dopo, al suono de’ soavi flauti con lento passo si diedero tutti al carolare; e poscia ch’ebbero con festevoli ed amorosi ragionamenti carolato alquanto, tre delle damigelle, presa prima buona licenza dalla signora, la presente canzone soavemente cantorono:

Quando Amor, donna, ad ora ad ora muove

vostro leggiadro e nobile sembiante

e quelle luci sante

ne’ quai mia vita e la mia morte prendo,

Da quelle viste mansuete e nuove

giungemi al cuor un vago pensiero,

ch’or mansueto or fiero

con la speranza e van desir contendo;

e cosí dolcemente allor m’incendo

d’una speme ferma e sicura,

che piú null’altra cura

mi può dall’uso mio far cangiar stato.

Onde ringrazio il , natura e il cielo,

che per mio divin fato

fui preso e impiuto d’un dolce zelo.

Dapoi che le tre donzelle posero fine all’amorosa canzone, che per sospiri da presso l’aere rompea, la signora fece cenno ad Eritrea, a cui per sorte aveva toccato il primo luogo della presente notte, che a favoleggiare desse incominciamento. La quale, vedendo di non potersi iscusare, per non turbare il giá principiato ordine, messa da canto ogni perturbazione d’animo, cosí a dire incominciò:




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