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Giovanni Francesco Straparola
Le piacevoli notti

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  • LIBRO SECONDO
    • Comincia il libro secondo delle favole ed enimmi di messer Giovanfrancesco Straparola da Caravaggio, INTITOLATO Le piacevoli notti. NOTTE SESTA
      • FAVOLA III. Polissena vedova ama diversi amanti; Panfilio suo figliuolo la riprende: ella li promette di rimoversi s'egli cessa di grattarsi la rogna; egli le promette, la madre l'inganna: e finalmente ogn'uno ritorna alla opra sua.
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FAVOLA III.

Polissena vedova ama diversi amanti; Panfilio suo figliuolo la riprende:

ella li promette di rimoversi s'egli cessa di grattarsi la rogna; egli

le promette, la madre l'inganna: e finalmente ogn'uno ritorna alla opra sua.

[Cateruzza:]

— La donna, assuefatta ad alcuna cosa, o buona o rea che si sia, non si può da quella agevolmente astenere; perciò che in quell'abito ch'ella è lungamente vivuta, persevera fino al termine della vita sua. Per il che intendo ora raccontarvi un caso ad una vedovella avenuto; la quale, abituata nella puzzolente lussuria, non puote mai per modo alcuno da quella rimoversi, anzi con uno sottil inganno fatto al proprio figliuolo, che amorevolmente la riprendeva, non cessò dal suo malvagio proponimento: sí come nel discorso del mio ragionare a pieno intenderete.

Fu adunque, graziose donne, poco tempo fa, e forse ancora udito l'avete, nella pomposa ed inclita cittá di Vinegia, una vedovella, Polissena per nome chiamata, donna nel vero giovane di anni e di corpo bellissima, ma di bassa condizione. Costei col proprio marito ebbe un figliuolo, Panfilio chiamato, giovane ingenioso, di buona vita e di laudevoli costumi; ed era aurifice. E perché, sí come ho detto di sopra, Polissena era giovane vaga e piacevole, molti uomini, e de' primai della cittá, la vagheggiavano, e fortemente la solecitavano. Ed ella, che giá provati aveva i piaceri del mondo e i dolci abbracciamenti d'amore, agevolmente condescendeva alla volontá di coloro che la solecitavano, e in anima e in corpo a quelli si dava. Ella, essendo tutta fuoco, non si sottometteva a uno o duo amanti, il che sarebbe stato errore degno di perdono per esser giovane e di poco rimasa vedova; ma faceva copia della persona sua a chiunque desiderava gli abbracciamenti suoi, non avendo riguardo né a l'onor suo, né a quello del marito.

Panfilio, che di tal cosa era consapevole, non giá che la favoreggiasse, ma perché di ora in ora s'accorgeva de' pessimi portamenti della madre, si ramaricava molto, e ne sentiva quel grave cordoglio e dura passione di animo, quale ciascaduno prudentissimo uomo sentito arrebbe. Dimorando adunque il meschinello in questo tormento di animo, né potendo piú sofferire tanto ignominioso scorno, piú e piú volte tra sé stesso deliberò uccidere la madre. Ma poscia considerando che da lei avuto aveva l'essere, si rimosse dal suo fiero proponimento, e volse vedere se con parole la poteva placare, e rimoverla da questo errore. Laonde, presa un giorno l'opportunitá del tempo, si pose con la madre a sedere; e tai parole amorevolmente le disse: — Madre mia diletta e onoranda, non senza grandissimo dolore e affanno mi son posto quivi con esso voi a sedere, e rendomi certo che voi non arrete a sdegno intender quello che nel petto fin a ora tenni nascoso. Io vi ho per lo adietro conosciuta savia, prudente e accorta; ma ora imprudentissima vi conosco, e vorrei, sallo Iddio! esser tanto da lungi, quanto io vi sono da presso. Voi, per quanto io posso comprendere, tenete pessima vita, la quale oscura la fama vostra e il buon nome del quondam padre mio e marito vostro. E se non volete aver risguardo all'onor vostro, almeno abbiate rispetto a me, che vi sono unico figliuolo, in cui sperar potete che sará vero e fido sostentacolo della vecchiezza vostra. — La madre, udite le parole del figliuolo, se ne rise, e fece a modo suo. Panfilio, vedendo che la madre faceva poco conto delle amorevoli sue parole, deliberò di non dirle piú cosa alcuna, ma lasciarla far ciò che le aggradiva.

Non varcarono molti giorni, che Panfilio per sua sciagura prese tanta rogna, che pareva leproso; e perché era il freddo grande, non poteva remediarle. Stavasi il buon Panfilio la sera presso il fuoco, e di continovo grattavasi la rogna; e quanto piú egli participava del calor del fuoco, tanto piú s'accendeva il sangue e cresceva la smania. Stando una tra l'altre sere Panfilio al fuoco, e con somma dolcezza grattandosi la rogna, venne uno amante della madre, ed in presenzia del figliuolo stette gran pezza con esso lei in amorosi ragionamenti. Il meschinello, oltra la noia della infetta scabbia che fieramente lo premeva, di veder la madre con lui molto s'attristava. Partitosi l'amante, Panfilio, grattandosi tuttavia la rogna, alla madre disse: — Madre, altre volte io vi essortai che doveste reffrenare cotesta mala e disonesta vita, la qual parturisce e a voi vergogna ria e a me, che vi sono figliuolo, danno non picciolo; ma voi, come donna impudica, avete chiuse le orecchie, volendo piuttosto contentare gli appetiti vostri, che attender a gli consigli miei. Deh! madre mia! lasciate ormai questa ignominiosa vita, cessate da sí grave scorno, conservate l'onor vostro né vogliate esser causa della morte mia. Non vi avedete che la morte vi è sempre da canto? Non udite quello che di voi si ragiona? — E cosí dicendo di continuo si grattava la rogna. Polissena, udendo Panfilio suo figliuolo sí grandemente dolersi, imaginossi farli una burla, acciò che piú non si ramaricasse di lei; e la burla le successe sí come ella bramava ed era il desiderio suo. E voltatasi con allegro viso verso il figliuolo, disse: — Panfilio, tu ti duoli e contristi di me, che io tengo mala vita; io il confesso, e tu fai quello che dee far un buon figliuolo. Ma se tu sei cosí desideroso dell'onor mio come tu dici, tu mi contentarai d'una sola cosa, ed io all'incontro ti prometto di mettermi nelle tue mani, e lasciare ogni amatore, e tenere buona e santa vita; ma non contentandomi, tieni per certo che tu non arrai il desiderio tuo, ed io mi darò a peggior vita che prima. — Il figliuolo, che desiderava piú che ogni altra cosa l'onor materno, disse: — Comandate, madre, che se ben voleste che io mi gettasse nel fuoco ed ivi m'abbrusciasse, io per amor vostro il farei volentieri, mentre che voi non incorriate piú nel vizio in cui fin'ora siete incorsa. — Guarda — disse la madre, — e considera bene sopra quello che io ti dirò, che se tu intieramente l'osserverai, arrai l'intento tuo; se no, la cosa sará con maggior tuo scorno e danno. — Io — disse Panfilio, — mi obligo di essequire quanto voi mi proponerete. — Disse allora Polissena: — Io da te, figliuolo, altro non voglio, salvo che per tre sere cessi di grattarti la rogna; e io ti prometto di sodisfare al desiderio tuo. — Il giovane, udita la materna proposta, stette alquanto sopra di sé: e quantunque dura gli paresse, nondimeno accontentò; e in fede di questo ambiduo si toccaron la mano. Sopra venne la prima sera, e Panfilio, partitosi da bottega, venne a casa; e posta giú la zamarra, si mise a passeggiare per la camera. Indi, perché il freddo lo molestava, si pose appresso il fuoco in un cantone; e tanto li crebbe la volontá di grattarsi, che quasi non si poteva ritenere. La madre, che era astuta e aveva acceso un buon fuoco acciò che il figliuolo meglio si scaldasse, vedendolo tergersi e distendersi non altrimenti di quello ch'arrebbe fatto una biscia, disse: — Panfilio, che fai tu? Guarda che non mi manchi della promessa fede, perciò che io non son a te per mancare. — Rispose Panfilio:— Non dubitate punto di me, madre mia. State pur voi ferma, ch'io non vi mancarò; — e tuttavia l'uno e l'altra rabbiava: l'uno di grattarsi la rogna, l'altra di ritrovarsi coll'amante suo. Passata con grandissima amaritudine la prima sera, sopragiunse l'altra; e la madre, acceso un buon fuoco e apparecchiata la cena, aspettò il figliuolo che ritornasse a casa. Il quale strinse i denti, e meglio che 'l puote, ancor la seconda sera ottimamente passò.

Polissena, vedendo la gran costanza di Panfilio, e considerando ch'erano passate due sere che grattato non si aveva, dubitò fortemente di non esser perdente; e tra sé stessa si ramaricava assai. E perché l'amoroso furore la tormentava molto, deliberò di far tal cosa, ch'egli avesse causa di grattarsi, ed ella trovarsi colli suoi amanti. Onde fatta una delicata cena con preciosi vini e potenti, aspettò il figliuolo che a casa tornasse. Venuto il figliuolo e veduto l'insolito apparato, maravigliossi molto; e voltatosi verso la madre, disse: — Madre, e dove procede la causa di cosí nobil cena? Arreste mai voi mutato pensiero? — A cui rispose la madre: — Certo no, figliuol mio; anzi son io piú costante che prima. Ma considerando che tutto 'l giorno fino alla buia notte te ne stai a bottega a lavorare, e vedendo questa maledizion di rogna averti sí attenuato che appena la ti lascia vivo, molto m'attristava. Onde mossa a compassione di te, volsi prepararti alcuna dilicata vivanda, acciò che tu potesti sovenire alla natura e piú gagliardamente resistere al tormento della rogna che tu sopporti. — Panfilio, che era giovanetto e semplice, non s'avedeva dell'astuzia materna, e che 'l serpe era tra bei fiori nascoso; ma postosi a mensa appresso il fuoco con la madre, cominciò saporitamente mangiare e allegramente bere. Ma l'astuta e maledetta madre ora moveva le legna e soffiava nel fuoco acciò che maggiormente ardesse, ora gli apporgeva il dilicato sapore di spezie condito, acciò che, dal cibo e dal calor del fuoco acceso, maggiormente si grattasse la rogna. Stando adunque Panfilio appresso il fuoco e avendo a saturitá empiuto il ventre, vennegli una sí fatta rabbia di pizza, che si sentiva morire; ma pur volgendosi e rivolgendosi or qua or lá, quanto piú mai poteva, sofferiva il tormento. Il cibo salato e con spezie condito, il vino greco e il calor del fuoco gli avevano giá sí fieramente accese le carni, che 'l miserello non puote piú durare; ma squarciatisi i panni dinanzi il petto, e slacciatesi le calze, e levatesi le maniche della camiscia sopra le braccia, si puose sí fortemente a grattarsi, che d'ogni parte a guisa di sudore il sangue pioveva: e voltatosi verso la madre, che tra sé stessa rideva, ad alta voce disse: — Ogn'un torni al suo mistiero! ogn'un torni al suo mistiero! — La madre, vedendo giá aver vinta la lite, finse di dolersi; e disse al figliuolo: — Panfilio, che sciocchezza è la tua? che pensi tu di fare? è questa la promessa che fatta mi hai? Tu non potrai piú dolerti di me, ch'io non ti abbia servata la fede. — Panfilio, tuttavia forte grattandosi, con animo alquanto turbato rispose: — Madre, ogn'un torni al suo mistiero; voi farete fatti vostri, ed io farò i miei. — E d'allora in qua il figliuolo non ebbe piú ardire di riprender la madre, ed ella ritornò alla usata sua mercatanzia, aumentando le facende sue. —




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