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Giovanni Francesco Straparola
Le piacevoli notti

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  • LIBRO SECONDO
    • NOTTE NONA
      • FAVOLA V. I fiorentini ed i bergamaschi conducono i lor dottori ad una disputa, e i bergamaschi con una sua astuzia confondeno i fiorentini.
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FAVOLA V.

I fiorentini ed i bergamaschi conducono i lor dottori ad una disputa,

e i bergamaschi con una sua astuzia confondeno i fiorentini.

[Ferier Beltramo:]

— Quantunque, graziose donne, grandissima sia la disaguaglianza tra gli uomini saputi e literati e quelli che sono materiali e grossi, nondimeno alle volte s'hanno veduti gli sapienti essere stati superati dagli uomini illiterati. E questo chiaramente si vede nelle scritture sante, dove gli apostoli semplici e abbietti confondevano la sapienzia di quelli che erano prudenti e savi. Il che ora con una mia favoluzza apertamente intenderete.

Ne' tempi passati, si come piú volte intesi dagli avoli miei, e forse ancor voi inteso l'avete, erano in compagnia alcuni mercatanti fiorentini e bergamaschi, i quali, andando insieme, ragionavano, come si suol fare, varie e diverse cose. Ed entrando di una cosa nell'altra, disse un fiorentino: — Veramente voi bergamaschi, per quanto noi possiamo comprendere, siete uomini tondi e grossi; e se non fosse quella poca mercatanzia, voi non sareste buoni di cosa alcuna per la vostra tanta grossezza. Ed avenga che la fortuna vi sia favorevole nella mercatanzia, non giá per sottigliezza d'ingegno né per scienza che voi abbiate, ma piú tosto per l'ingordigia e per l'avarizia che dentro di voi si riserba di guadagnare, nondimeno io non conosco uomini piú goffi né piú ignoranti di voi. — Allora fecesi avanti un bergamasco, e disse: — Ed io vi dico che noi bergamaschi siamo in ogni conto piú valenti di voi. E quantunque voi fiorentini abbiate il parlar dolce che porge all'orecchie de gli auditori maggior dilettazione del nostro, nondimeno in ogni altra operazione voi siete inferiori a noi di gran lunga. E se ben consideriamo, non c'è alcuno tra la gente nostra, o grande o piccolo che si sia, che non abbia qualche lettera; appresso questo, noi siamo atti ad ogni magnanima impresa. Il che veramente non si trova in voi; e se pur si trova, sono pochi. — Essendo adunque grandissima contenzione tra l'una parte e l'altra, né volendo i bergamaschi cedere a' fiorentini né i fiorentini a' bergamaschi, ma difendendo ciascuno la parte sua, levossi un bergamasco e disse: — Che tante parole? Facciamo la prova e ordiniamo una solenne disputa, dove concorri il fior de' dottori; e allora apertamente si vedrá quali di noi siano piú eccellenti. — Alla qual cosa i fiorentini acconsentirono; ma tra loro rimase differenza se i fiorentini dovevano andar a Bergamo, o i bergamaschi a Firenze; e dopo molte parole convennero insieme che si gettasse la sorte. E fatti duo bollettini e posti in un vasetto, toccò ai fiorentini andare a Bergamo. Il giorno della disputa fu determinato alle calende di maggio.

I mercatanti andarono alle loro cittá e riferirono il tutto alli lor sapienti; i quai, intesa la cosa, furono molto contenti e apparecchioronsi di far una bella e lunga disputa. I bergamaschi, come persone sagge e astute, s'imaginorono di far sí che i fiorentini restassino confusi e scornati. Onde convocati tutti i savi della cittá, sí grammatichi come oratori, sí leggisti come canonisti, sí filosofi come teologi e di qualunque altra sorte dottori, fecero la scelta degli migliori, e quelli ritenettero nella cittá, a ciò che fussero la rocca e la fortezza nella disputazione contra i fiorentini. Gli altri veramente fecero vestire di panni vili e li mandarono fuor della cittá in quella parte dove passar doveano i fiorentini, e gl'imposeno che sempre con loro latinamente ragionassero. Vestiti adunque i dottori bergamaschi di grossi panni, e mescolatisi colli contadini, si misero a far molti essercizi: alcuni cavavano fossi, altri zappavano la terra, e chi faceva una cosa e chi faceva l'altra.

Dimorando i dottori bergamaschi in tai servizi che contadini pareano, ecco venire i fiorentini cavalcando con grandissima pompa; i quali, veduti ch'ebbero quelli uomini che lavoravano la terra, dissero: — Dio vi salvi, fratelli! — A cui risposero i contadini: Bene veniant tanti viri! — I fiorentini, pensando che burlasseno, dissero: — Quante miglia ci restano sino alla cittá di Bergamo? — A cui risposero i bergamaschi: — Decem, vel circa. — Udendo tal risposta, i fiorentini dissero: — O fratelli, noi vi parliamo volgarmente, e onde procede che voi rispondete latinamente? — Risposero i bergamaschi: — Ne miremini, excellentissimi domini. Unusquisque enim nostrum sic ut auditis loquitur, quoniam maiores et sapientiores nostri sic nos docuerunt. — Continovando i fiorentini il lor viaggio, viddero alcuni altri contadini che sopra la commune strada cavavano fossi. E fermatisi dissero: — O compagni! o lá! Iddio vi aiuti. — A' quai risposero i bergamaschi: — Et Deus vobiscum semper sit. — Che ci resta fino a Bergamo? — dissero i fiorentini.— Exigua vobis restat via. — Ed entrando d'una parola in un'altra, cominciorno battagliare insieme di filosofia; e sí fortemente argoivano i contadini bergamaschi, che i dottori fiorentini non sapevano quasi rispondere. Onde, tutti ammirativi, tra loro dicevano: — Com'è possibile che questi uomini rozzi e dediti all'agricoltura e ad altri rusticani essercizi sieno ben instrutti delle scienzie umane? — Partitisi, cavalcarono verso un'ostaria non molto distante dalla cittá, la quale era accommodata assai. Ma prima che aggiungessero all'albergo, s'appresentò un fante di stalla; e invitandogli al suo ospizio, disse: — Domini, libetne vobis hospitari? hic enim vobis erit bonum hospitium. — E perché i fiorentini eran giá lassi per lo lungo cammino, scesero giú di suoi cavalli e mentre volevano salire su per le scale per riposarsi, il patrone dell'albergo si fece incontro, e disse: — Excellentissimi domini, placetne vobis ut praeparetur coena? Hic enim sunt bona vina, ova recentia, carnes, volatilia et alia huiusmodi. — Stavano i fiorentini tutti sospesi, né sapevano che dire; per ciò che tutti quelli con quai ragionavano, latinamente parlavano, non altrimenti che se tutto il tempo della vita loro fussero stati in studio. Non stette molto tempo, che venne una fanticella: la qual in veritá era monaca, donna molto saputa e dottrinata, e a tal effetto astutamente condotta; e disse: — Indi gentile dominationes vestrae re aliqua? Placet ut sternantur lectuli, ut requiem capiatis? — Queste parole della fante resero maggior stupore a' fiorentini; e si misero a ragionar con esso lei. La quale, poscia che ebbe parlato di molte cose, tuttavia latinamente, entrò nella teologia; e tanto catolicamente parlò, che non vi fu veruno che non la commendasse molto. Mentre la fanticella ragionava, venne un vestito da fornaio, tutto di carboni tinto; e intesa la disputazione che facevano con la fantesca, s'interpose, e con tanta scienza e con tanta dottrina interpretò la scrittura sacra, che tutti i dottori fiorentini tra sé affermavano non avere per lo adietro mai udito meglio.

Finita la disputazione, se ne andorono i fiorentini a riposare; e venuto il giorno, fecero tra loro consiglio se partirsi o andar dinanzi doveano. E dopo molto contrasto determinorono partire esser migliore, perciò che: se ne gli agricoltori, se ne gli osti, se ne' fanti e nelle femine è tanta dottrina, che saria nella cittá, dove sono uomini consumatissimi e che ad altro non attendeno che alli continovi lor studi? Fatta adunque la deliberazione, senza indugio alcuno, né pur vedute le mura della cittá di Bergamo, montarono a cavallo e verso Firenze presero il cammino. E in tal maniera i bergamaschi con la loro astuzia furono contra i fiorentini vittoriosi. E da quell'ora in qua i bergamaschi ebbero un privilegio dall'imperatore, di poter sicuramente andar per tutte le parti del mondo senza impedimento alcuno. —

IL FINE DELLA NOTTE NONA.


 

 

 




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