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Giovanni Francesco Straparola Le piacevoli notti IntraText CT - Lettura del testo |
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NOTTE DECIMAGiá in ogni parte gli stanchi animali per le diurne fatiche davano riposo alle travagliate membra chi su le molli piume, chi su li duri ed aspri sassi, chi su le tenere erbette e chi sopra li fronzuti alberi, quando la signora con le sue damigelle uscí di camera e venne in sala, dove giá erano raunati i compagni per udire il favoleggiare. E chiamato un servente, la signora li comandò che portasse l'aureo vaso; e postovi dentro di cinque damigelle il nome, il primo che uscí fu di Lauretta; il secondo, di Arianna; il terzo, di Alteria; il quarto, di Eritrea; il quinto, di Cateruzza. Ma prima che si cominciasse il favoleggiare, volse la signora che, dopo fatte alcune danze, il Bembo cantasse una canzonetta; il quale, non potendosi scusare, cosí soavemente cominciò, tacendo ciascuno:
Mancato è quell'umor e quell'ardore che giá mi diè possanza di ragionar con voi, e in fin speranza di conseguir l'ultimo don d'amore. Giá sento venir men omai la forza, ed appressarmi a chi cercano tutti vanamente fuggire; che questi sono i delicati frutti ch'escon di questa scorza, dopo tante fatiche e gran martire, per ultimo rimedio di cosí lungo assedio, (e in questo par che l'alma si conforte): cangiar l'amara vita in dolce morte. Piacque maravigliosamente a ciascuno il cantare del Bembo. Ma poi che egli si tacque, levossi da sedere la nobil Lauretta e alla sua favola diede principio, cosí dicendo: |
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