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Giovanni Francesco Straparola Le piacevoli notti IntraText CT - Lettura del testo |
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NOTTE UNDECIMAEra giá venuta la scura notte, madre delle mondane fatiche, e gli animali lassi prendevano riposo, quando l'amorevole e dolce compagnia, lasciato ogni tristo pensiero da canto, si ridusse al solito ridotto; e danzato alquanto con le damigelle, secondo il solito costume fu portato il vaso: di cui per sorte venne primamente di Fiordiana il nome, indi di Lionora, terzo di Diana, quarto d'Isabella, riservando l'ultimo luogo alla signora Vicenza. E fatti portar i lironi e accordare, la signora ordinò che il Molino e il Trivigiano cantassero una canzone. I quali senza dimora cosí dissero: Vostro vago sembiante, nel qual i' veggio la mia morte e vita, seguirvi, donna mia, mi stringe e invita. Qual è che in voi si specchi e fisso miri, che dal capo alle piante d'un desio non s'infiammi e dolce gelo? e ben mille sospiri non mandi fuor, da far ogni animante a pietá muover con ardente zelo, e per favor e per grazia del cielo, anzi di lei sol dono, trovar non pur mercé, ma sol perdono? Fu di grandissimo contento a tutti la vaga e dolce cantilena dal Molino e dal Trivigiano cantata; e fu di tanta virtú, che fece alquanto per dolcezza piangere colei a cui primieramente toccava. Ed acciò che si desse incominciamento al favoleggiare, la signora comandò a Fiordiana che cominciasse; ed ella, fatta prima la riverenza, cosí disse: — |
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