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Giovanni Francesco Straparola
Le piacevoli notti

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  • LIBRO SECONDO
    • NOTTE DECIMATERZA
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NOTTE DECIMATERZA

Giá Febo aveva queste parti nostre abbandonate, e il lucido splendor del giorno erasi giá partito, né piú cosa alcuna manifestamente si conoscea, quando la signora, uscita di camera, con le dieci damigelle andò fino alla scala, ricevendo lietamente la nobil compagnia che giá di barca era smontata. E postisi tutti a sedere secondo i loro gradi, disse la signora: — Mi parrebbe cosa convenevole che, dopo fatti alquanti balli e cantata una canzone, tutti, sí gli uomini come le donne dicessero una favola, perciò che non è onesto, le donne aver solamente questo carico. E però, piacendo tuttavia a questa onorevole compagnia, ognuno racconterá la sua, con condizione però che breve sia, acciò che questa ultima sera di carnessale tutti possiamo favoleggiare. E il signor ambasciatore, come persona principal tra noi, sará il primo; indi di uno in uno seguiranno gli altri, secondo gli ordini loro. — Piacque a tutti il consiglio della signora, e poscia ch'ebbero fatte alcune danze, la signora comandò al Trivigiano e al Molino che accordassero i loro stromenti e una canzonetta cantassero. I quali, figliuoli d'ubidienza, presero i loro liuti e la sequente canzone cantarono:

Donna, quanta bellezza e leggiadria

giamai fu in alma pura,

tutta la pose in voi gentil natura.

S'io miro nel bel viso

la bellissima gola e il bianco petto,

nel qual si regge e si vaneggia amore,

dico nel mio concetto:

Siete creata certo in paradiso

e mandata qua giú a far onore

al secol nostro e trarlo fuor d'errore;

e mostrar quanto sia,

dopo molto girar di caldo e gelo,

la gloria dei beati su nel cielo.

La canzone dal Trivigiano e dal Molino cantata, molto piacque, e a pieno tutti la comendarono. La qual finita, la signora pregò il signor ambasciatore che al favoleggiare desse principio. Ed egli, che non era villano, cosí a dire incominciò:




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