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Lorenzo Magalotti Lettere odorose IntraText CT - Lettura del testo |
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Tant’è, bisogna dire che le mie Lettere sopra i Buccheri siano una gran bella cosa, e che, oltre all’esser belle, abbiano virtù di produrne delle bellissime, e siano una spezie di fermento spiritale negl’intelletti di tutti quelli che le leggono, in virtù del quale vengano condizionati a far l’istesso miracolo, che a detta vostra ha fatto l’Autore di esse, creando dal nulla. Questo fin adesso è stato creduto un privilegio particolare di Platone e di Dante; che però sono state considerate le loro Opere per un seme atto a riprodurle nell’istessa specie nelle menti che lo ricevono. A voi pare una gran cosa, che io abbia trovato modo di cavare tante creature dalla inanità e vacuità de’ Buccheri, e non v’avvedete dell’onnipotenza del vostro spirito in aver saputo ricavare tante maraviglie dalla inanità e vacuità di quest’istesse creature. Io che me ne avvedo, e che vi fo giustizia, mi sento in obbligo d’accomunarvi per la vostra lettera degli 8 stante quell’istesso ringraziamento che ho preteso dalla sig. Marchesa, e che non ho avuto la grazia d’ottener da voi. «Cmod iv fatt Mssier Ludvig a truvar’ tant’ minchiunarie?» Vero è, che le mie lo sono tutte, e le vostre no, mentre, a ben considerarle, sono più tosto minchionature. E perché non abbiate difesa, voglio mettervene in considerazione una, che quando non fosse stata tale dalla parte della cagione, lo è stata dalla parte dell’obietto. Sapete voi in che confusione m’avete messo il cervello con quella vostra invenzioncina di far passare per un ricordo trovato in una cartuccia, che serviva di segnacolo alla seconda Lettera, quella gran fantasia di ridurre a terra di Bucchero il loto, del quale fu modellato il primo uomo, dopo rinvenuto con quell’umido misterioso, di cui si trovava irrorato da quel lungo passeggio su l’acque lo Spirito formatore? Io senza considerare l’infinita proporzione, che aveva con la debolezza della mia immaginativa la robustezza d’una simile idea, cominciai a dir tra me stesso, come dice Trappolino, quando gli danno ad intendere ch’ei sa parlar turchesco: «Puttana cagna, hoi mi dett quest?» E sapete? ci volle del bello e del buono prima che io entrassi nel rigiro della vostra figura, il che non seguì fino a tanto che, passando d’una cosa in un’altra, non arrivai a quell’epifonema. «In somma, avverate in voi il detto di quel Savio: essere assai più da grand’uomo il saper cancellare, che scrivere, il tacere, ch’il favellare, mentre più dite a guisa d’Arpocrate col dito alla bocca, e dopo il tanto detto, assai più accennate il poter dire, volendo.» Ora che ve ne pare? Voi ridete della mia semplicità: ma avvertite che ella non è poi grandissima, mentre in sustanza io mi accomodavo a adottare per parto della mia mente un pensiero, che solo vale infinitamente più di tutti i miei. Adesso che lo ho riconosciuto per vostro, è ben dovere ch’io ve lo restituisca di buona fede, e che in vendetta della cilecca, che avete fatto alla mia vanità, vi riconvenga su la poca finezza che avete fatto al genio della sig. Marchesa in fare scrivere in una causa di tanto suo interesse e di tanto suo impegno dal vostro aiutante di studio, quando voi con un solo testo, e così espresso, della suprema Legge, potevate darle la causa vinta, omni appellatione remota, etiam sub praetextu cuiuscunque magni gravaminis. Non posso dir altro, se non che Iddio ve lo perdoni. Quanto all’etimologia del Cobarubias dal greco, vi confesso che la lasciai, se non per bassa, come voi dite, almeno per troppo apertamente smentita da tutti quei Buccheri, che ho veduto a i miei giorni. E sappiate che mi sovvenne di corroborarla con l’uso d’Inghilterra, dove unicamente ho veduto le corna smisurate de’ buoi di quel paese ridotte a bicchieri, in uno de’ quali, in specie, veramente enorme, mi son trovato a bere in Oxford, nel Collegio, se non erro, della Maddalena: ma tutto questo non servì a farmi far capitale d’un’immaginazione, a mio giudizio, affatto aerea, e non consolata (per parlare alla Castelvetra) da alcuna esoticità, né di lingua, né d’immaginazione. Non solamente i luoghi di Marziale sopra i vasi saguntini ma altri ancora, dove ci parla con lode d’altri vasi di crete nobili, come i surrentini, i cumani, ed altri molti, tra i quali ha gran correlazione a i barri rossi quello
Hoc tibi donatur panda ruber urceus ansa: Stoicus hoc gelidam Fronto bibebat aquam;
tutti li ho lasciati, come parimente ho lasciato molti altri vasi degli antichi, non solamente di creta, ma di cristallo, di murra, e di gioie, che averebbono potuto farmi giuoco in un modo o in un altro a i Buccheri, se il motivo di lasciarli, oltre quello che dichiaro nel principio della seconda Lettera, è stato il non voler cavare il mio scrivere dal carattere di scrivere da uomo di Corte e non di lettere, e di scrivere a una dama. Mi direte che di questo secondo carattere pur troppo ne sono uscito nella prima Lettera con quella infilzata di etimologie dedotte da lingue orientali. Verissimo: ma vedete bene quante scuse ne ho fatte, e quanto mi son giustificato, col motivo di avere in quella vestito la giornea d’autore, se non affatto di pedante, e tutto sul motivo della forza del supposto comandamento, e della indispensabilità d’obbedire, al che aggiungo il dichiararmi di tener per indubitato che la sig. Marchesa sia per saltare tutte quelle seccaggini; e nel principio della seconda Lettera mostro di maravigliarmi, in aver potuto raccogliere dalla sua replica, che ell’avesse voluto leggerle tutte. Anzi, vedete in fin dove è arrivata la mia soprastizione! che dove racconto la famosa avventura del cantero di barro d’Estremoz trovato nella seggetta di Yelves, non mi sono voluto emancipare a far menzione di colui citato da Elio Lampridio in Eliogabalo, che mi par che fosse Eliogabalo medesimo, di cui racconta che in myrrhinis et onychinis minxit. In Plinio ancora mi hanno fatto gola molti bellissimi passi, come per esempio quello del capitolo XII del libro 35: Eo pervenit luxuria, ut etiam fictilia pluris constent, quam myrrhina. Ma sopra tutto m’è scottato il sacrifizio fatto alla dignità di dama, in non potere stravolgere un altro luogo di Plinio, al capo III del libro 13, alla sensualità del Cardinale di Moncada, che si faceva fare cristieri d’acque di fiori senza sale, per ritenerli tutto il giorno in corpo. Vedete se il luogo può esser più ghiotto. At Hercule iam etiam in potu addunt, tantique amaritudo est, ut odore prodige fruantur ex utraque parte corporis. A conto della grazia, che acquista l’acqua bevuta a i Buccheri, calzava benissimo il distico:
Si calidum potas, ardenti Myrra Falerno Convenit, et melior fit sapor inde mero.
Ma lasciamo tutte queste ciarle, e venghiamo a quello che importa. Io sono contentissimo in veder contento voi, che m’avete comandato, e contenti la sig. Marchesa e il sig. Marchese che si son degnati di gradire un atto d’obbedienza prestato al cognato e al fratello: tutta questa mercede io ritorno adesso debitore a tutti, per l’estensione che vi piace farle con la promessa di mantenere il segreto, del quale v’ha supplicato il mio aiutante di studio. Se veramente il mantenermela vi riesce così disastroso come vorreste darmi ad intendere, consolatevi col reflesso della decrepita età dell’autore, dopo la morte del quale potrete soddisfarvi; e se vi paresse che la cosa andasse troppo in lungo (soggiugne il Priore) un’archibusatina nelle reni al medesimo, vi cava di guai. Intanto non vi paia fatica l’aggiugnere in margine di questo indice delle Poesie i nomi, che vi mancano, dei loro Autori, giacché io parte li trovo scambiati e parte non li ritrovo. Item mandatemi la data di tutte e otto le Lettere de’ Buccheri per poterle mettere sul mio scartafaccio originale. Item scrivetemi il numero dei Buccheri viventi della sig. Marchesa. Item (e questo v’affliggerà un poco nella borsa, ma non mai tanto, quanto si risente, e si trova ancora labefattata la mia da quella sontuosa coperta del Libro delle Poesie mandatovi l’anno passato) fatemi fare un po’ di schizzo toccato d’acquerelli di una veduta del sacrario de’ Buccheri della sig. Marchesa, per poterne render conto a persona che merita bene questo sacrifizio dalla vostra galanteria, e dalla moderazione della sig. Marchesa, e vi riverisco devotissimamente.
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