Firenze,
14 aprile 1699.
A quell’antifona «l’ambasciatore non porta pena» che è il
principio della vostra de’ 31 marzo, io mi aspettavo di leggere un cartello di
disfida, cosa che m’impicciava assaissimo, e come malissimo sana di tutti i
tempi, e come pochissimo opportuna in giorno di Martedì Santo. Vatti poi
leggendo, trovo che mi dice che i Buccheri e gli Agnus Dei sono per me: quegli
destinatimi dalla generosità della signora Marchesa mia signora, questi dalla
vostra pietà. Iddio lo rimeriti a lei, e a voi, e voi contentatevi, dopo
essermi stato canale delle sue grazie, d’esserlo ancora degli attestati della
mia ossequiosa riconoscenza. E per autenticare la verità di quel famoso
assioma, che i benefizi eccessivi si tirano dietro l’ingratitudine, datele il
doloroso avviso della comparsa di due urne di Buccheri, volli dire di barro
nero, venuti al Serenissimo Principe di Toscana, di circa tre palmi d’altezza,
compagni d’un disegno buono assai, ma dico assai, velati d’argento con fiori al
naturale, dipinti troppo più che all’indiana, co’ loro coperchi, e, quel che
importa, d’una fragranza che non ho sentito l’uguale. Senza la necessità di
portare alla sua notizia questa tentazione d’invidia, mi sarei dato l’onore di
ringraziarla addirittura, ma non ho creduto di doverla avventurare a un
deliquio, non potendo aver una lettera quell’attenzione che può avere
l’affettuosa prudenza della viva voce d’un cognato. I vostri Agnus Dei sono
tante gioie, e v’assicuro che non ne sarò così facile dispensatore, come vi
supponete. Quello legato l’attaccherò al mio letto prima di andare a dormire, e
intanto prego Dio benedetto, che retribuisca al vostro zelo quella mercede, che
non posso darvi io d’un amuleto così prezioso, se pure è lecito il santificare
un nome profano.
Come scrivo al nostro Paolo [Falconieri], che mi parla in
queste lettere della venuta del sig. Abate Buonarroti; se io avessi abilità di
servirlo, quanto ho discernimento per istimarlo, buon per lui; ma per sua, o
più tosto per mia disgrazia, questi attributi in me non vanno del pari. Mi
consolo che non mancherà chi abbia ambizione di procurargli, e chi di fargli
giustizia. M’ingegnerò di renderlo persuaso della sincerità di questi
sentimenti, insinuatimi ugualmente dal di lui merito e dalla vostra autorità.
Spero di mandarvi presto la mostra d’una nuova murrina, che
n’incachi la porcellana. Addio.
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