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Lorenzo Magalotti Lettere odorose IntraText CT - Lettura del testo |
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REGALO D’UN FINIMENTO DI BUCCHERO NERO
Questa goletta, questi polsi, e queste Ampie roste da orecchi, e quest’anello: Questo strano gioiello, Questi bei cappi, e questo bel monile Non aver Nise a vile. Tutto è fango, ma fango prezioso, Caro fango odoroso: Fango gentil, fango salubre, e tanto, Che sopra ogn’erba ed ogni pietra ha vanto
Mira come lucente Dell’indiche vernici i più vivaci Reflessi sfida ardito! Mira come tornito In bei grani, in perette, In fosche lacrimette Delle conchiglie i vani parti imita! Le nari appressa, e di’ qual meglio odora: Il pianto della Notte o dell’Aurora?
In questi giorni ardenti, Che a forza ornai di respiranti vampe, Tutto sfumato il radicale umore Ne’ riarsi polmoni il sangue incaglia, Né forza v’è che vaglia A spigner per gli angusti obliqui seni Quella pigra marea che allaga e stagna, Se viver brami, o Nise, Queste fragili gemme infondi e bagna Entro una vasta giara In gelid’acqua e chiara. Lascia posarle un tratto, e in tanto mira Alto mistero: dalla bruna terra Sorger vedrai su pel tranquillo seno Dell’acqua in un baleno, Bizzarre e scherzosette, Ricche girandolette, Vaghissime a vederle, Di finissime perle. Perle d’aria beata, Soave, profumata, Cui mentre assedia e cigne L’acqua, e a lasciar costrigne I mal difesi pori ove s’annida, Nella sua marchia la sorprende, e infida Tutte quante le toglie Le sue odorate spoglie, E tutte in sé le serba Fatta ricca e superba.
Or falle tu quel ch’essa ad altri feo. Fa’ della sete tua degno trofeo L’iniqua usurpatrice D’una Arabia novella e pur felice.
Nell’appressarti a i labbri La mistica ricchissima bevanda Oh che fragranza, Nise! Fragranza alta, ineffabile, ammiranda, Né sol fragranza all’odorato, all’alma. È odore, è cibo, è vita, è gloria, è vena, Vena perenne, sempre mai durabile, Fresca, soave, limpida, serena Di una beata eternità potabile.
Bevi, e non sei più quella. Altre viste, altre cure, altri desìri Nascer ti senti, e ammiri In te di te vita e virtù novella.
Non sì tosto hai rovesciato Giù nel petto a piena mano Quel perlato, Quel gemmato Bel giulebbo americano;
Non sì tosto in sen ti guazza Quella manna occidentale, Che ti netta, che ti spazza Di ogni cura aspra e mortale. E mentre vanne in volta, E per le vene e per l’arterie svicola, Confusa e mista alla vermiglia salsa, Ch’or sua mercè corre allungata e sciolta, Chi ti rammenta più Sole o Canicola?
Tu ti senti per le vene Correr proprio un ventilabro, Qual se zeffiro dal labro Vi soffiasse a gote piene: Ed in soffiare v’alitasse tutte Le droghe di Ponente da mattina: Balsami, bezoari, e fuse, e strutte Lacrime di ricchissima cuincuina: Socunusco onde ricco è Guatimala. Né sol del suo Ponente, Ma quel se avesse attratto Col respirar possente Tutti quanti ad un tratto Dell’Aurora i profumi, Delle meschite e de’ serragli i fiumi. E ragunato nel polmon gentile, Come in un bel tamburlanetto d’oro, Lambiccato v’avesse in nuovo stile Delle due plaghe il gemino tesoro; E trattone uno spirto a cui simile Giugner non può basso mortal lavoro, Con mantice indefesso a tutte l’ore Quel ti spirasse in mezzo mezzo al core, Io non so dirti, Nise, Con qual senso, in che guise Il cor, dell’indistinto Incognito profumo Ad un ad un discerna Ogn’alito, ogni fumo.
Certo è sol ch’ei raffigura, Qual s’ei fusse il naso istesso Del mirabile complesso Ogn’essenza pura pura.
Il bitume prezioso Onde ’l gran padre Oceano S’incatrama di sua mano La gran barba e ’l crine algoso, Se talor si mette in gala Su’ lidi di Melinda o di Sffala.
E ’l vergin musco in grani, e ’pria sì aspretto, Poi dolce odorosetto Indico magistero, onde ’l palato State e verno è beato.
E la secca verdetta intorta fronde Che sciolta a caldo bagno in sua tintura Col giallo aurino suo smacca e confonde Nel suo color la mammoletta oscura; Né il brio sol del colore, Ma il vezzo ha del sapore.
E la vital misteriosa Nisi Pur f ìa che vi ravvisi, Che a forza d’oro ipocondrìa chinese Al venditor sulle bilance adegua.
E quel, cui sempre invan fia ch’altri segua, Lungo la traccia di schiantati rami, Abitator creduto, Ma non già ancor veduto Delle foreste estreme Del tartaro Oriente; Divino calambucco, E l’odorata speme Del sempre ignudo agricoltor Molucco.
Nise, veduto avrai Nella dolce stagion che nasce il vino, Dal raggirarsi intorno al Dio bambino, Senza né pur baciarlo, Senza né pur toccarlo, Delle lacrime sue dal puro fumo Cader sul mezzo giorno Ebra la gente alla sua cuna intorno.
Più strano è il caso mio, perché più forte Si fa sentir di quello L’immaginato odor di cui favello. Nise, non più: la testa Più non mi regge, e questa Mano, che già vacilla Risoluta di gioia, appena stilla Dalla penna quest’ultimo decreto. Leggi, Nise gentile, e dagli fe’: «Il Barro negro d’ogni Barro è il re». |
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