Per il Congresso universitario sardo tenutosi
in Nuoro
Odi? essi giungono, o Madre, o Patria!
Essi che cantano l’inno dell’avvenire.
Or tu lascia la crocea benda, che male avvolseti
Al fiero capo il torbido giorno delle ire;
Cingi la benda candida e affacciati
Alta, dei monti sul limitare
Tremolo d’elci nere, e ben volino
In alto gli animi e gli inni e i falchi ad
augurare!
Vedi? a Te giungono dal golfo ondisono
Curvo sul lucido mar come arco di luna;
Dai bei lidi che videro la vela infaticabile
Di Ulisse, volta alle isole della Fortuna.
A te ne vengono dalla magnanima
Città che levasi bianca tra brune
Selve pacifiche, dove ancor vibrano,
Da mura dirùte, i fieri sensi del suo Comune.
E Tu con ospite core, Tu accoglili,
O Madre, o Patria! Non più essi agli impronti
Sogni concedon l’anima, ma vindici ad un vindice
Lor richiamo, ecco levano le balde fronti.
Per poco il nitido pennecchio or dunque
Posin le mani, o Madre, e il tetro
Stame dei negri velli, e la nobile
Ròcca, di gracili intagli insigne, come uno
scettro.
Posino l’opere. Ed il più fervido
Tuo vino mescasi, e si spezzi il tuo pane
Più puro; per lor, vittima fausta, s’impiaghi il
fulgido
Cignale entro le fumide forre montane.
Sentano l’anima Tua dentro l’anima
Buona, nell’anima loro che anela
Alle fontane schiuse tra i vergini
Fiori, ai tuoi vertici arsi ove l’aquila e il cor
s’inciela.
Lascia la crocea benda, che avvolseti
Al capo il torbido giorno di rabide ire.
Ascolti? a Te ne vengono, primavera dell’anima
Nostra, e a Te l’inno cantano dell’avvenire.
Per sempre snebbiano via con le nuvole
I truci sogni dinanzi a loro:
Eccoti il vino, il vin purpureo
Dei colli, mescilo nell’ospitale tua coppa d’oro!
Non io. Nel calice mio più non fumiga
Il vino ambrosio della mia giovinezza,
Pure, se ancor sull’invido cuor passi il vostro cantico,
Sfolgorante di indomita fede e fortezza,
Sentirò, o liberi Goliardi, l’èmpito
Del dolce sogno, sogno che fu,
E che ancor memore sorge dall’anima
Cercando il cantico, cercando il sole di gioventù.
|