Per il primo Congresso dei Maestri sardi
tenutosi in Nuoro
Fabbro, che sull’incudine sai battere il fecondo
Vomere, e, se lo voglia il Dritto, anche la spada;
Tu che inondi di sònito e luce la contrada,
Già prima che la stella lasci il ridesto mondo;
Seminator, che il solco segni tra i pigri veli
Del novembre, e la stiva reggi devotamente,
Come una croce, e versi dal pugno la semente,
E dal cuor la speranza, grande, guardando i cieli;
Uomo dei campi, che col tuo nobile ferro
Strazî, per fecondarlo, il faticoso cuore
Della terra, onde poi il calice ha il licore,
La lampana la fiamma, e l’ombra arguta il cerro;
Pastore, irto di pelli, che, quando dalla reggia
Del monte rompe il nembo, col vento e la bufera,
Vai fosco e taciturno, pensando nella sera
Con egual core ai figli e ai redi della greggia;
E donne, o voi bendate ai dì mesti di croco,
Che coronate di ninnananne divine
E le culle e le bare; voi madri, voi regine,
Caste custoditrici del lievito e del fuoco:
Udite, udite! Vengono, ecco, al rupestre nido
Nostro i piccoli padri! A lor, sì come dopo
La pia fatica, dite il canto, e di piropo
Ogni anima fiammeggi nell’affettuoso grido!
Vengono i dolci padri di tutti i figli: i buoni
Pastor che danno il timo all’orfano agnelletto:
I fabbri di virtù: i saggi che al negletto
Fior dan la luce; gli uomini delle seminagioni.
Dite il canto. Ma quale canto, o figli, dirà
L’anima vostra, in cui, come in non tocca selce,
Non desta è ancor la fiamma? Ah! voi spargete
l’elce
Ed intrecciate solo pensieri di bontà!
O figli, o figli! quanto arse in fondo all’oscura
Anima nostra di odio, in voi arda d’amore.
O Bontà, rideranno precinti dal candore
Tuo tutti i sensi e i sogni della Città futura.
Oh siate buoni! nulla vi sarà di più grande
E di più augusto che la Bontà, sotto il sole.
I canti degli eroi non valgon le parole
Del giusto, e il rosso alloro non val le pie
ghirlande.
L’anima vi trabocchi di amor, come una coppa
Di latte; nel perdono vostro amate pur quelli
Che si nutrono d’odio: anch’essi son fratelli
Nostri, ed intorno a loro fu vasto il pianto e
troppa
L’ombra; versate il vostro balsamo anche sul male
Che è nel cuore dell’uomo; amate anche il felice
Inesperto del pianto; anche la meretrice
Amate, e il folle e il truce ed il micidïale.
Nulla sarà più grande di questo amore e un vano
Sogno fu ogni altra cosa! All’uomo che il coltello
Brandì torvo nell’ira, mormorate: Fratello!
E il ferro gli cadrà dalla snodata mano.
Alla donna che strugge nell’opera servile
Il dì di giovinezza: alla negletta ancella
Che anela scalza ed arsa, mormorate: Sorella!
E il cuor le tremerà come fiore in aprile.
Amate ogni vivente creatura: ogni cosa
Viva: il fior della Vita! La cicuta e la spica,
La vipera e l’implume, l’aquila e la formica,
La fronda del cipresso e il fiore della rosa.
E nulla, o figli, ai piccoli vostri padri sarà
Più dolce che la vostra ben divinata messe.
O nati a suggellare le fulgide promesse,
Spargete l’elce e i sogni di pace e di bontà.
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