Sul colle a sera sette mietitori,
Adusti come figli
Del deserto, guardavan sui pianori
Vasti pendere i cieli alti e vermigli.
Come in sogno legavano con mani
Stanche, mannelle d’oro
E pensavano: — Noi per pochi pani
D’orzo falciam le messi del pianoro
E del colle; le messi che per poco
Pane i curvi bifolchi
Han seminato, con lo sparso fuoco
E col vomere aprendo questi solchi.
Pur noi né loro non abbiam frumento
Né spighe né farina:
Son le opre nostre come pula al vento,
La nostra vita è un’ombra che declina…
Canta il grillo, e dagli arsi Campidani,
— Oh lungo andare stanco! —
Moviamo a questi luoghi alti, per piani
Di brace, scalzi, con la falce al fianco.
La falce passa, morde i culmi e cade
Ecco la messe, intorno
Ecco altre messi; e innanzi, ecco, altre biade
Non nostre. Nostro è il sol del mezzogiorno,
E l’affanno! Per noi non han li arbusti
Ombra e la fonte langue.
Eppure, o Dio, noi camminiam per giusti
Sentieri, né grondarono di sangue
Mai queste mani! — Tacquero. Su loro
Risero i cieli, il cisto
Odorò dall’altura, e nel pianoro
Ecco, apparve ai dolenti Gesù Cristo
Come una fiamma. A lor venìa dai monti
Lontani, per sentieri
Di ciclame e pervinca, dalle fonti
Specchianti nubi e voli di sparvieri.
Passò la voce sua per gli orizzonti,
Sereni, in visïone:
— Figli, guardate all’alto, erte le fronti,
Ché già vicina è la Redenzione. —
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