Un gallo canta e gli risponde un gallo.
Rintrona il corno pastoral: riapre
La servetta le stalle, escon le capre
Bianche pavide: il greppo è di corallo.
Ma perché oggi ronzano l’albata
L’api dell’orto e mormoran tra loro?
Stasera vien la sposa inanellata,
In nivea benda, col bel cinto d’oro.
Pendon uccise pecore e montoni
Dai cavicchi di corno: nei canestri
Olezzan fichi e pesche, e di campestri
Gigli è sparsa la corte. Oh quanti suoni
E balli avremo qui, ché dai paesi
Corsi dai soffi ardenti della Libia
Son venuti stanotte i Marrubbiesi
Esperti della falce e della tibia.
Or riposan nel portico, su letti
Di pervinca; nell’ora vespertina
Intoneranno la pelicordina,
La danza dei mandriani giovinetti.
E tu, labbro di miele, tu rapsodo,
Che le generazioni e le scritture
Sacre conosci, e sai, divino, il modo
Di allietare tutte le creature,
Che sei signor dei sogni e re degli inni,
E col tuo verbo leghi gli usignoli,
Su levati, già s’aprono i boccioli
Del beldigiorno e squillano i cachinni
Delle operose serve, e un canto intessi
Memore e bello che allegrezza dia
Ai mesti: al falciatore tra le messi,
E al nomade pastor nella sua via.
E tu, nutrice antica, apri il portone:
Spalancalo, ché or vengon dagli ovili
I guardiani dei branchi, coi fucili
A pietra, e portan tutti il forchettone
Fausto, ravvolto in salvia ed in mortelle,
E portan pur cignali e mufle d’oro,
Piegate, sanguinanti dalle selle
E le trote e le anguille del Taloro.
Ecco gli ospiti amici arsi dal sole,
Arrivati da Òrfili e dai salti
Marini, belli con legati agli alti
Arcioni, il serramanico e le pistole,
Con l’esili archibugi e le cinture
Di cordovano azzurro, e la bisaccia
Fiorita. In dono recan confetture
Di cedro e il moscatello e la vernaccia.
Non vino: ché stan chiuse nel celliere
Molte botti, e tutte d’olianese
Ambrosia, che prigioniera intese
Il palpito di venti primavere.
Sangue del sole espresso dalle rupi
Calcaree, amaro come il fior del vepro,
Ardente e aulente come su le rupi
Di Puntanidos fiamma di ginepro.
Rompete i cocci e i piatti! Ed entra, o sposa,
Nella tua nuova casa. E voi, leggiadre
Vergini, sospingetela alla madre
Nuova: ella l’abbracci con lacrimosa
Gioja! E voi tutti, reverenti, doni
Datele e il bacio, e le fanciulle intanto
Appresentino i vini ed i torroni.
E tu, rapsodo, tu libera il canto:
Amore suona forte la sua tromba,
E intìma guerra in un giardin fiorito.
Volata è qua, col suo cuore ferito,
Una gentile e candida colomba.
Datele un amuleto di verbasco
E vino dolce e pane di frumento,
Fatele un letto d’oro e di damasco
E una culla con tavole d’argento.
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