Tornavo alle mie rupi, alla mia lustra,
A una tomba romita
Tornavo: — oh tomba innocente, che lustra
Dalla montagna la nascente luna! —
Pioveva: nel livido orizzonte
Era un sorriso solo
Di crisantemi rossi.
Per la stazione desolata e vasta
Non ombre o voci. I treni eran partiti
Per terre di dolore
Portando altri dolori.
Nel piovoso orizzonte
L’aiuoletta ridea
Davanti a un dolce nido:
La scuola… Salve, pia scuola, nel verno
Delle tanche ventose incoronata
Di fiori: arnia ronzante
Di cento voci d’oro.
Alla fredda mattina,
Quando gli armenti bradi
E l’errante pastore
Escono dalla notte
Torvi, con l’occhio insonne,
E canuti di brina,
Voi dalle cantoniere
Dal Logudoro antico,
Del pampineo Meilogu,
Armonioso, amico
Dei vati, e delle nere
Di solchi piane d’Àrdara,
Dai bianchi bugni
Solitari e tediosi,
Voi sciamate, piccini,
A quest’arnia festosa,
Sul tonante convoglio
Che vi attende e vi porta.
E la scuola vi accoglie
E vi abbraccia, o miei figli;
Vi accoglie col sorriso
De’ suoi fiori vermigli
Coi tepori d’un nido,
Con la parola augusta
Delle vostre regine,
Le madri che, in divine
Ansie mortali, il cuore
Hanno sempre sospeso
Pei loro figli e per i figli altrui;
Con la dolce parola
Di quelle vostre madri giovinette,
Delle vergini madri,
Le vigili sorelle
Vostre maggiori, liete
Nell’opera gentile,
Pari a lodolette quando s’alzano
Dai solchi dell’aprile
E in vista al nido cantano.
E le vigili schierano
A voi la strada oscura
Con la facella d’oro.
E vi ammoniscon: — Gloria
A chi sparge il buon seme
Per la trebbia futura:
E gloria a tutti i cuori
Palpitanti d’amore,
In terra e sotterra:
Gloria alle braccia umane
Faticanti nel mondo
Pei piani per i monti per gli ocèani. —
Ma alle vostre vetrate
Grida il vento sinistro,
Urla il sinistro fischio
Del dèmone che va
Con la sua turba nera,
Col rapido traino
Di gioje e di tormenti.
Che se l’uggia vi avvolga e quel lavoro
Vostro, la nobilissima fatica,
Vi sembri dura ed inamabil cosa,
Ripensate alle pene vagabonde
Travedute nel vostro breve volo,
Nel vostro breve viaggio cinguettante;
Ripensate la pena
Nel piccolo pastore,
Che invidia velli ed erbe alla sua greggia,
E se ne va ramingo sotto il cielo
Vasto, che lo minaccia e lo percote
Cieco, con le sue raffiche di gelo;
Ripensate la pena
Del misero aratore
Che ara senza canti, tra la sizza
Del gelido mattino,
La terra che un altro uomo mieterà;
E riandate la pena
Di quel seminatore
Che avete visto torvo contro il nembo,
Seminare il suo solco, e avea nell’atto,
Spoglio di santità,
Una crudel tristezza, una minaccia
Folle: parea che il misero gittasse
Semente d’odio sulla terra antica.
Or ecco è l’ora del ritorno, e tu
Sbuchi, ronzante sciame luminoso,
E s’allegra il deserto.
Ed è l’ora che i treni
Sono giunti dal mare,
Spinti dalle tempeste,
E giù dai monti neri,
Aneli a rincontrarsi
In questo muto cuore
Dell’Isola. La turba
Nera che viene e va
Sui fumosi convogli,
La varia turba oscura
Che parla tace e canta:
L’operajo, il signore,
La placida signora,
La madre del bandito
Che trema come fronda,
Il ladro catenato,
Il soldato che fischia
E canticchia, l’astuto
Cellonajo, l’anziano
Coi calzoni di saia,
Ed il rapsodo, arguto
Re dei canti, in bisaccia,
E il nomade col sago,
Barbuto e taciturno,
Tutti con un palpito
Di gioja guardan voi,
Piccoli alunni, figli
Di tutti i cuori, fiori
Fioriti in rudi solchi,
Albe aspettate in tormentose notti.
E sospirano: Gloria
A te, buono, per questo
Albergo ai voli onesti,
Per quest’arnia sicura
Agli innocenti sciami,
Per questa fonte pura
Scavata nel deserto.
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