Monti e cime di Barbagia ricordati nel volume:
Bruncuspina — cima sovrana del Gennargentu.
Coràsi — Monte Atha — dalle brulle rupi azzurre.
Gonare — devoto, in vista a tutti i mari.
Montespada — con la sua spada di neve.
Monte Bàrdia — antica guardia contro le scorrerie
dei Saraceni.
Montalbo — sasso erto, senza fonti e senza boschi.
Ortobene — monte ad oriente di Nuoro, dalle serene
ombrie.
Preludio
Don Chisciotte
Tanca: campagna incolta, cinta da siepe o
muriccia, dove pasturano i branchi nomadi e gli armenti bradi.
LE BARBARICINE
Nella tanca
Tasca: è lo zaino, per lo più di pelle caprina,
tagliato a sacca, dove i pastori ripongono il loro viatico di nomadi.
Leggende pastorali
I tre re
Frat[r]es: nella parlata di molti
villaggi della Barbagia suona come in latino: fratelli; ed anche, come
nella leggenda dei tre re, amici e compagni. Nobile traslato che
rivela la nobiltà dei ruvidi cuori.
Bardana: corruzione di gualdana, è
triste vocabolo che esprime una selvaggia e quasi abitudinaria attitudine dei
vecchi sardi pelliti. Non è la razzia, ed è più e meno della rapina.
La casa di San Francesco: è una chiesetta
bianca e solitaria, a mezza costa di un’altura di scopa e lentisco, di fronte a
Montalbo.
I colloqui coi morti
Secondo una leggenda sarda, nella seconda notte di
novembre, i morti di Barbagia tornano ai loro focolari, mangiano le torte di
uva passa e le mele e le pere vernine, e parlano dei loro amori e dei loro odî!
Le selvagge
Notte nel salto
Salto: non è il saltus dei latini.
La parola è usata in Sardegna per esprimere la distesa di più tanche ed ovili.
Ditirambo di giovinezza
Hutalabì: urlo di gioia selvaggia, col
quale il cavaliere barbaricino sprona a corsa sfrenata il cavallo, animando se
stesso di questo frenetico ardore.
Alle madr di Barbagia
Letti elcini: letti fatti con frasche di
elce o di quercia (lettu de sida) su cui gli uccisi, come in una
lettiga, vengono trasportati alle loro case.
Antelucane
Leppa e vomere
Leppa: coltello lungo e robusto con fodero,
fatto per lo più da un tronco di spada. Lo portano alla cintola i pastori della
montagna.
In lode di Francesco Ciusa
La madre dell’ucciso: è la statua (una viva
forma di dolore) che schiuse allo scultore Francesco Ciusa le porte
dell’Esposizione internazionale di Venezia.
E l’opera gagliarda e nobilissima, è sì una
statua, ma è anche un frammento del plastico poema “I Cainiti” col quale il
giovine artefice barbaricino si propone di illustrare la vita e mistica e rude
e selvaggia della nostra Terra.
Ode al Gennargentu
Sulla punta più alta del Gennargentu
(Yanua-Argenti) un ignoto scrisse col minio sacre parole: Bontà, Libertà, W il
Socialismo!
ICNUSIE
L’Alternos
G. M. Angioi di Bòno: «uomo tanto più vicino alla
virtù modesta degli antichi, quanto lontano alla virtù vantatrice dei moderni»
come lo chiama Carlo Botta, quando l’uragano della rivoluzione francese scosse
le membra della vecchia Europa feudale, maturò nell’animo fiero il ribelle
proposito di chiamare alle armi le popolazioni sarde per scuotere il giogo
delle prepotenze baronali.
Accolto sulle prime con entusiasmo ed acclamato
salvatore della Patria, fu poi abbandonato nell’ultim’ora e perseguitato anche
dagli antichi suoi amici.
Il poeta canta lo schianto del ribelle esule che,
all’ombra del suo sogno infranto, nell’alba del 16 giugno 1796, abbandona la
terra che non seppe intenderne il palpito sovrumano, e va a riversare la piena
della sua amarezza sotto i cieli di Parigi.
In memoria
Giorgio Asproni: fu pastore, ex canonico, deputato
e fu affermatore di ogni idea di libertà.
Nacque in Bitti nel 1809, morì in Roma nel 1879,
dove il Comune gli eresse un ricordo marmoreo in Campo Verano.
CANTI DELL’OMBRA
Sepulta domus
Fulanu: è parola di origine spagnola: Don
Fulanos, e significa Tizio, Caio, ecc. ecc.
MUTTOS
Quasi "motti o motteti". Li ho derivati
dalla poesia popolare sarda. In essi mi è piaciuto conservare talora le
stranezze e di concetto e di verso e di rima, quali graziosamente fioriscono
sulle labbra dei sardi poeti, quasi sempre improvvisatori.
Sùrbili: spiriti erranti sulle montagne di
Barbagia nelle notti ventose, vampiri alle culle.
Le prefiche
È il sogno d’una notte d’inverno ed è un canto
funebre. Le prefiche della razza piangono sui venti tutto ciò che in terra di
Barbagia muore dilegua emigra.
Eremitano, Cani da piatto: li ho derivati
dal dialetto, perché mi pare che non vi sia un vocabolo italiano che li traduca
perfettamente. Eremitanu è voce dialettale che serve a denotare l’uomo
miserabile e infingardo, di vil cuore. Cane de isterju (cane da piatto)
è quel cane che negli ovili non sa guardare le capanne e i branchi, e non fa
che leccare i mastelli dei latticini: ed è attributo che si dà comunemente ad
un uomo vile e dappoco.
Aquila grigia: era un forte e vecchio
bandito che sapeva tutte le vie del piano e del monte. Morì mentre un
aquilotto, un fanciullo, gli squittiva dappresso: il quale, gridandogli
coraggio, cadde con lui negli amari passi della fuga. Era una vecchiezza
gioviale: cantava canzoni di guerra, ed era anche buon compagno di cacciatori e
canattieri nelle serene caccie sui monti nuoresi.
Cervo solone: non è l’alces maschilis,
ma pure è un gran cervo di cui si va sperdendo la razza sui monti dell’isola.
Chi canterà l’elegia alle ultime aquile alle ultime fiere agli ultimi boschi
agonizzanti sui gioghi della patria?
Cani da battaglia
In Ogliastra, presso il piccolo villaggio di
Àrzana, era nato il tenente medico Demurtas, ucciso a Sciara-Sciat, mentre
medicava i feriti.
Capo Carbonara: ricorda ai sardi il
tentativo di sbarco dei francesi, nel marzo 1793, respinto principalmente ad
opera dei fieri mastini dei pastori. Così almeno la leggenda.
Murrazzànu, Sorgolino, Leone, Traitore
(traditore), Caino: comuni appellativi di cani sardi.
La scuola di Chilivàni
Chilivani è nodo centrale, in aperta campagna, di tutte
le ferrovie dell’isola. Un munifico donatore istituì, presso alla stazione, una
scuola elementare per i bambini dei ferrovieri e dei casellanti sparsi sulle
varie linee. I treni del mattino raccolgono i piccoli alunni che poi, a sera,
riportano alle loro case.
Murrazzànu
Cane famoso, caro a tutti i cacciatori del
Nuorese. L’episodio della caccia è vero.
Ai rapsodi sardi
"Cando si — Tenet bentu est prezisu
bentulare": "Quando si leva vento occorre trebbiare". È il
ritornello del logudorese inno angioino, al cui canto la Sardegna insorse contro
gli ordinamenti feudali. Gli accenni che seguono nei versi riguardano episodi
della rivoluzione.
Àrdia: gara di corse a cavallo.
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