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Sebastiano Satta
Canti

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  • CANTI BARBARICINI
    • Alle madri di Barbagia
      • ALLE MADRI DI BARBAGIA
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Alle madri di Barbagia

ALLE MADRI DI BARBAGIA

 

Io dico questo canto a voi, Madri dolorose

Di Sardegna: oggi che rudi

Mani avvolgon all’elce verde le purpuree rose,

E riposan magli e incudini.

Fugge la notte, o Madri. Sul risveglio della landa,

Nel gran cielo antelucano,

Solitaria ne brilla qualche stella: una ghirlanda

Di astri uscitale di mano.

 

E dall’ombra or il canto, o madri, va a chi spera

Va a chi sogna, a nunzïare

La luce, come uccello, figlio della Primavera,

Che improvviso vien dal mare.

Madri che dolorando il dolor di tutti i cuori

Guardavate i muti cieli;

Voi, che perdute nell’ombra degli antichi errori

Prone tra le fami e i geli,

 

Mormoraste: O Dio, sia fatta la tua volontà!

Che sentiste arder nel pio

Seno l’alta promessa che vi sorridea: Verrà

In terra il regno di Dio.

O Madri, o Madri! I cieli vi mentirono, e mentito

Vi ha Gesù mille e mille anni,

E vi ruinò dai ferrei taciti evi un infinito

Gorgo di odio e d’onte e affanni.

 

E vedeste per terre fosche di albatri e di assenzio,

Dove dormon le remote

Stirpi, pur essi i figli spasimare nel silenzio

Delle assidue opere ignote.

Curvi sui torti aratri, iteravano il cammino

Delle glebe, oggi, domani,

Finché non traboccavano di quei solchi sul confino,

Con la stiva nelle mani.

 

E guidavan nel debbio l’util fuoco come un cane,

Nell’aer vivo di ogni ardore,

Vigili a contenere quelle lor fiamme lontane

Dalla siepe del Signore.

E nelle notti, quando scende fra li orzi alle fonti

Cauto a bevere il cignale;

Quando il cielo si annera vasto, e brontola dai monti

Balenando il temporale,

 

Essi urgevan la greggia nomade e gli armenti bradi

Ai pianori dalle valli,

Avvolti in nere pelli, avventando ai torbi guadi

Con felino urlo i cavalli…

 

Oh! ma sempre nel cuore li seguiste voi, dolenti.

E se il fuoco d’olivastro

Garriva alla bufera; e se ardea nei cieli intenti

Presso il novilunio un astro,

Fu più vivo l’affanno. E a precorrere l’aurora

Spiavate dalle soglie

Fumide il cielo, e al vostro gemito tacea, nell’ora

Grande, il vento tra le foglie.

 

Poi all’alba per loro voi tesseste il rude albagio

E torceste l’aspro lino.

E nulla fu per voi: non la lana del randagio

Gregge, non il miele o il vino.

E tutto fu per loro: e quel molto, e più quel poco

Che fu vostro. E in ogni giorno

Serbaste a loro un dono: quel giaciglio accanto al fuoco

Per le sere del ritorno,

 

E il pane delle nozze, e la dolce uva vernina,

E le poma del cotogno,

E sovra tutto il vostro cuore, colmo di divina

Bontà, vivo di un sol sogno!

Ma pur i figli, reduci dagli ovili, nelle mani

Vi poneano umili un loro

Dono: un’util conocchia, istoriata sui lontani

Monti, in un ramo di alloro.

 

E brillò la conocchia per voi nel crepuscol tetro

E nella serenità

Dell’alba, o Madri antiche: e fu il segno e fu lo scetro

Della vostra deità.

 

Ma non sempre il lor ferro seguì docile, nel riso

Dell’ingenuo cor, la pace

Dell’opra onde scolpite si mesceano al fior d’aliso

L’uva e l’edera seguace.

E non sempre le mani si snodarono innocenti

Al musar trepido e lieve

Dei redi, o nel soffolcere le ulivete mal gementi

Sotto il peso della neve;

 

Ma irroraron di sangue, di fraterno sangue, i dumi

Delle tanche: arsi, feriti,

Tra le voci del vento, discendeano ai verdi fiumi

A lavarsi, i cainiti!

Cupa l’eco dei monti iterò le fratricide

Voci ai glauchi anfiteatri:

E solcaron la terra torvi, con l’armi omicide

Annodate ai santi aratri!

E voi tutto sapeste, tutto voi sentiste, o Madri!

Ed appresero le balze

Anch’esse il vostro strazio quando, abbandonati i quadri

Focolari, usciste scalze

A cercarlo il cuor vostro, Madri! Prefiche ed Erinni

Che di canti e vaticinî

Ghirlandate le culle, di che tetri e vindici inni

Coronaste i letti elcini!

 

I letti che la scure strappò all’elce: dove i morti

Furono stesi ad ascoltare

Gli ultimi canti: i letti dove giacquer biechi e torti,

Volti i piedi al limitare.

Madri, d’allor sull’anima vostra fu tutto il silenzio

Sconsolato che è nel piano

Flagellato dal sole, quando fiammeggia l’assenzio,

E il ciel sembra più lontano.

 

Le mani che infioravan come un canestro votivo

I presenti nuzïali;

Le mani che tremando stendean l’olio d’ulivo

Su le ferite mortali;

Le mani che poneano nei caprini sacchi il pane

Al pastore e all’aratore;

Le mani che versavano sulle nostre lotte insane

Tutti i balsami del core;

 

Quelle supplici mani si serraron stanche e scarne

Ahi! per sempre nella muta

Preghiera, e mai non ebbe altre pene più la carne,

Da quel pianto combattuta.

O Madri, o Madri! i cieli vi mentirono, e mentito

Vi ha nei secoli Gesù:

E il suo regno non venne, e quel suo sogno è svanito

E non tornerà mai più.

 

E non da lui la gioia verrà a voi; ma vi verrà

Dalla montagna e dal mare,

Vasta e tacita come la luce; e non avverrà

Da quel vostro umil pregare;

Non dall’uomo o da Dio; ma sarà l’ardente figlia

Del cuor vostro e dell’umano

Volere, e saprà molcere quanti seni e quante ciglia

Han pregato ai cieli invano!

 

Madri! col puro latte, odorato del rupestre

Timo, a quella gioia io libo.

Se vitale mi fu, come il primo soffio alpestre

Che mi avvolse, e come il cibo

Primo, il dolore, o Madri! se mi fu sacro ogni vostro

Dolor, Madri, nel dolore

Di mia Madre (e salimmo, o fratello, il viver nostro

Con quell’ombra dentro il cuore!)

 

Madri, io libo. Io non veda voi più curve, come l’elce

Tòrta dal vento, su gli anni

Morti, dir alla fiamma che vi nasce dalla selce

E dal ferro, i vostri affanni:

Non vi veda con gli occhi fisi al muto limitare

Aspettare chi non torna,

E gemere e penare e plorare ed implorare

Quando annotta e quando aggiorna:

 

Non vi veda schiomate uggiolare sullo spento

Focolare nei villaggi

Taciturni. — Oh solinghe voci profughe sul vento

Nel delirio di selvaggi

Riti. Oh voci di Madri! monodie di prefiche ebbre

Di vendetta e mala sorte,

Sulle terre precinte dal silenzio della febbre,

Dal silenzio della morte —

 

Madri, io libo! La terra come voi ci sia materna,

E dia pane e dia letizia

Ai figli, ai vostri figli: e vi regni augusta eterna

La Giustizia.




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