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Sebastiano Satta Canti IntraText CT - Lettura del testo |
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Ode al GennargentuODE AL GENNARGENTU
Anima, ascolti? Un grido di vittoria È in cielo. Passan le aquile. Al supremo Vertice sali, e là, sogna l’estremo Sogno di gloria.
Ascendi. Non qui il tinnulo lamento Degli armenti, o di nostra vita i segni. È qui la pace: e sono questi i regni Ermi del vento.
E già sul vento levansi, da monte Spada, spettri di nubi. Sopra il cuore È un’ombra: son passati. Nel chiarore Sùbito, un fonte
Luccica e scroscia. Odorano le valli Di serpillo e di quercia; erti fra l’erbe Aspre, poggian nitrendo a queste acerbe Aure i cavalli.
Ecco, è la cima. Come aërea regna Il cielo, qual la vidi nel desìo! Oh, che tutta ti abbracci oggi col mio Cuore, Sardegna,
Tutta! Dai picchi dove la mattina Stanno i vecchi pastori a rimirare, Alti fra i greggi bianchi, il tremolare Della marina;
Ai piani dove van silenzïose Ombre di mandre e nubi; ai bei meandri Delle gole, ove intesson gli oleandri Serti di rose;
Ai ruderi del grande Enosigeo Memori, proni tra i lentischi e i mirti, E a quelle che te vider, sarde sirti, Divo Aristeo.
Deh! da quanto mistero arso di lande Tendon gli animi a te, siderea vetta. E tu ti stai, vigilia eterna, eretta Al nembo e al grande
Ciel, che s’inarca sul perpetuo pianto Del mare. E sai di nostra stirpe i fati, E udisti — o gloria! — dopo i disperati Impeti, il canto
Della vittoria, quando dai confini Dei monti balenarono, su gli adri Valichi, i vostri flammei avvisi, o padri Barbaricini.
Or nella notte irrompe pe’ deserti Valloni la bardana: alti, nei neri Manti, passano torvi cavalieri Tastando i certi
Schioppi, se senton ridere nel cuore L’odio. Pur qui, mondo di crucci e d’ire, Salì un giorno, guardando all’avvenire, Un vïatore.
E sull’ultimo sasso, su cui vola L’aquila e il vento, e ha serto di vïole Selvaggie, scrisse — e riguardava il sole — Una parola.
E qui fiammeggia… O nubi, e tu, randagia Aura, ditela voi nel volo vostro L’alta parola. E tu, terra del nostro Sogno, Barbagia,
Accoglila nel cuor, come del lento Verno il germe nel buon solco si accoglie; E tu vedrai dal tuo Monte, che ha soglie Sacre, di argento,
Scender la Gioia. Tu vedrai sui monti Fiammeggiare quel giorno le bandiere Del sole; tutte tutte le bandiere Dei tuoi tramonti.
Darà serti di pace l’olivastro Della tua tanca: i tuoi figli, i pastori, Sentiranno levarsi dai lor cuori Selvaggi un astro.
Oh benedetta per la tua ventura, Come lo fosti per il tuo dolore! Sii benedetta per il nostro amore, Barbagia, pura,
Pia madre che ci nutri di tua forza. Sii benedetta per i limitari Schiusi all’ospite; per i focolari Dove non smorza
Mai la fiamma l’anziano; per il pane E per il latte dato al vïandante Ed al ramingo; per la greggia errante Che alle fontane
Scende col sole, mite e bianca, a bere; — E intorno stanno le cavalle e i cani E i servi: e quei che se ne van pe’ piani E le brughiere,
Cercando i redi, richiamando a nome Le agnelle, sperse giù, nel temporale: E han sandali di pelle di cignale, E intonse chiome:
E sanno nelle costellazïoni Legger l’ora del tempo, e senza freni San domare i polledri, e son sereni, Gagliardi e buoni —
Sii benedetta per le tue capanne Dove tra i salmi passano leggende: Dove, nei vespri, ronzan le tremende Tue ninnenanne;
Per le selve che al cuore che dolora Danno sensi di forza e melodia, Quando vi scorre trepida, su via Di fior, l’Aurora;
Per le tue donne che tra vagli e spole Dicon lor tristi canti; per i vecchi In molte opere esperti; pe’ pennecchi Tremuli al sole
Come fronda di pioppo; per l’eletta Tua nuova sorte; per il tuo dolore; Per l’odio nostro; per il nostro amore: Sii benedetta! |
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