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Sebastiano Satta Canti IntraText CT - Lettura del testo |
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IL BOVE
— Alcuna invidia mai, gramo bifolco, Io non ebbi di te, sebben sì dura Opra mi sia quel profondarti il solco,
E franger la maggese, e a mietitura Carreggiarti il frumento, e poi le botti Gravi portarti dopo svinatura.
Ché senza affanno a me volgon le notti Nella fumida stalla; e tu ti sdrai Senza letto né pace in tristi grotti.
A me ferrana e lupinella mai Non mancano; tu, dopo la fatica, Spesso, fratello, un solo pan non hai.
Solo pel tuo signor cresce la spica, Verziga l’orto; e sol per lui quel vino Che tu ne spremi dà la vigna aprica.
Chi più gramo di te? Non l’uccellino Che svola e becca, pur tra nevi e geli, Quanti germi ha la zolla e fior lo spino.
Non pur quelle che sotto aperti cieli Van pecorelle per la valle sola Brucando i cespi ed i rïarsi steli.
Nulla tu sei! Tu pieghi alla parola Del tuo signore; a lui, tu, senza saio, Vedi filare quella tua figliola
E lana e lino. Poi, quando è brumaio, Scalzo mi segui e, servi, andiamo insieme Per le colline morse dal rovaio.
Fra le porche gelate stride e geme L’aratro: io vò sereno, ché chi bene Si nutre il gelo e l’opera non teme.
È mezzogiorno: roco il suon ne viene Dal piano; e tu quel pan, che ti dispensa Scarso il padrone per nudrir tue pene,
Biasci pensoso. A me s’apre l’immensa Campagna con sua fresca erba odorosa, Più lieta e liberale d’ogni mensa.
Tali i nostri destini. Né mi è cosa Dolente il giogo, poiché tu sopporti Giogo più grave, e pieghi dolorosa-
mente la fronte invidïando i morti. |
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