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Sebastiano Satta
Canti

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  • CANTI BARBARICINI
    • ICNUSIE
      • IL CANE
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IL CANE

 

Tu non sai come fu. Fanno sette anni

Ora, a dicembre: un ben crudo mattino!

Io sentivo un ronzìo come di vanni

 

Rigidi, entro la gola del camino

Rispento. Babbo?… Oh, babbo era lontano!

Mamma morta. Lassù nell’abbaino

 

C’ero io solo. E aspettavo — o uomo! — invano

Ch’egli venisse e che portasse un pane

Al suo cuore. Sentivo il tramontano

 

Sulla gronda, e una romba di campane

Lontane che chiamavan sconsolata-

mente, chi sa quali genti lontane.

 

Oh, ma lui non tornò! Dall’impannata

Si versò l’ombra, ed in quell’ombra un gelo

Di morte… Mi sembrò che una folata

 

Mi rapisse su in alto: il pianto, un velo,

Mi nascose quell’ombra e quel dolore,

Mi spirò intorno un alito di cielo

 

Primaverile… Era la morte. Oh, cuore

Mio, quella morte!

E poi? Rinacqui cane,

Poi, come vedi: e m’ebbe un cacciatore

 

Per figlio, e con lui corsi per le piane

Selvagge nel bel sole e, mentre il corno

Rintronava, balzavo entro le tane.

 

Né come or fai tu, bimbo, e come un giorno

Feci io pure, la notte, quando sfalda

Larga la neve, vagolai più intorno

 

Accattando; ché mi accogliea la falda

Del camino e ci avevo, sai, mattina

E sera, zuppa calda e cuccia calda.

 

Morì quel padre, ed ecco (oh la divina

Provvidenza!) mi accolse questa buona

Dama, un po’ arcigna, ed anche un po’ beghina,

 

Ma buona. E, tu non sai, la mia patrona

È lei la mente della Società

Protettrice dei cani: una persona

 

A modo insomma. È vero, essa non ha

Un chicco pei reietti e pei fanciulli,

Ma pei cani!… Ti dico in verità

 

È una grazia: ci hai sonno? e tu ti culli

In poltrona; ci hai fame? e lei ti ingozza

Di pasticci: noi siamo i suoi trastulli,

 

Il suo amore. E con lei spesso in carrozza

Noi pur si va, pieni di sacra fede,

Alla pia società. La bruma mozza

 

Per le strade il respiro; e vi si vede

Di dentro, o bimbi, all’uscio del fornaio

Triti, come ombre, in mezzo al marciapiede.

 

O fratello, io lo so! Ride il rovaio

Tra gli sbrendoli… e voi dalle vetrate

Guardate il pane, mentre ferve il gaio

 

Sfaccendìo dello sforno e ne fiutate

L’alore e, in sogno, dite: — Ah! quello è mio… —

E tendete la mano… e ne mangiate

 

In sogno, sai, come facevo anch’io,

Quando non ero cane.




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