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Sebastiano Satta
Canti

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  • MUTTOS
      • LE PREFICHE
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LE PREFICHE

Dedicata all’amico G. Boldetti

 

Notte di vento, notte di lamenti!

Tre prefiche stan ritte sopra i monti:

Vigili e tristi stanno a lamentare.

Non femmine ma Dee: sul focolare

Degli antri fan lamento con le fonti,

E il cuor divino gittano sui venti.

 

Barbaricine Dee che sui dirupi

Celan in arche dalle cento chiavi,

I sensi e i segni delle nostre vite:

Implacabili Mire redimite

D’alma quercia: Eumenidi soavi

E invincibili: e piangon sulle rupi.

 

Piangon col vento, gemon cantilene,

Nenie di madri su infiorate cune:

Ruggon bestemmie mormoran preghiere,

Latrano come cagne sperse in nere

Montagne, sotto cieli di sfortuna,

Ridon dementi, sognano serene.

 

Urlan d’amore sotto il ciel crudele:

Singhiozzan come voi, spose, sui fidi

Cuori defunti: spasiman feroci,

Avventan sorde disperate voci

Di vedovate madri lungo lidi

Deserti, dietro le fuggenti vele.

 

— O Deu, o Deu, o Deu! — grida, raccolti

Nel busto d’oro i seni, la marina

Prefica del Bàrdia. Al mesto grido

Rompon in pianto sul deserto lido

Le sirene: ma i cuori e la supina

Terra, paion in gran sonno sepolti.

 

— O Deu, o Deu! Barbagia, è la tua notte

Profonda e perigliosa: né ginepri

Hai tu per le tue fiaccole, né miele

Per le ferite tue. O di assenzio e fiele

Abbeverata madre! Aspri di vepri

Sono i tuoi colli, e son deserte e rotte

 

Le argentee porte dei tuoi gioghi. Il sole

Brucia il tuo pane, e son fatti scorzini

I tuoi pastori e serve le pastore.

Oh antichi maggi, odorate aurore

Di serpillo! Salìa dai cilestrini

Borghi, un ronzìo di pecchie e argute spole.

 

Ora la febbre stilla dalla esausta

Idria, l’acqua agli scalzi falciatori

Di giunchi e biodo, nei maligni greti;

I poggi senza canti ed i forteti

Senza fontane, assonnan tra i vapori

Gravi estuosi sotto l’aria infausta.

 

Perfida e grigia sta sopra Coràsi

L’altra prefica; siede al focolare

Spento, ché bene la riscalda il vampo

Del cuor crudele. — Ohi! Immé! Immé! Il lampo

Insanguina la tanca il salto il mare,

Urlan le Furie sui vertici rasi

 

Dai dèmoni del vento. — Immé! la pietra

Del focolare è fredda e tutta nera

Di sangue! O miei selvaggi figli morti!

Per gli ovili deserti urlano i torti

Nembi: son spenti i fuochi e nella fiera

Solitudine, il mio cuore s’impietra.

 

Sciagura al dì che al disperato cuore

Scese il congedo vostro, o mandrïani.

Esuli dalla tanca, in mozze chiome,

Leccaste il rancio della ciurma, come

Cani da piatto, e i turbini lontani

Invocai avversi alle migranti prore.

 

Ora badate i porci nella pampa,

E siete servi e siete manovali

Smarriti e inermi: ed ogni eremitano

Vi sputa addosso, e avete dell’estrano

Paese, modi e fogge, e siete quali

La gente di bisaccia, senza vampa

 

Di vergogna sul viso. O miei banditi,

Meglio meglio gli sdegni ed i corrucci

Vostri ed il vostro sangue, che non questo

Vil seme di bastardi! O asilo agresto

Dei monti, ultimo asilo, di che crucci

Fremé il mio seno, quando, tra i graniti,

 

Belli e violenti i vendicatori

Giacquero uccisi! E tu, aquila grigia,

Re di strada, canuta gioventù

Fulminata sul greppo! Ora non più

La brava tua canzon, mentre meriggia

La montagna, richiama i cacciatori.

 

Tornate, esuli imbelli, alle divine

Montagne. Già da tempo hanno le volpi

Guastato la vendemmia, e han fatto tane

Negli ovili i cignali. Alle lontane

Mandre tornate, alle baldanze, ai colpi

Di fucile, tornate alle rapine. —

 

Estrema voce al disperato coro

Vien giù da Bruncuspina. La nivale

Prefica piange: piange fuor dei boschi

Fragorosi, più su dei cieli foschi,

Nell’aere immacolato, in un nimbale

Diadema di nevi e d’astri d’oro:

 

— Donne, filate nella triste veglia

Le lane nere, i peciati velli

Degli arieti cresciuti nelle spiagge;

Filate, mentre anch’esse le selvagge

Fiere dormono e gli alberi e gli uccelli,

E solo la dolente anima veglia.

 

Donne, tessete con lo stame nero

Il fosco orbace, e lo tagliate tutto

Tutto tutto ad un nero vestimento.

Ahi! non bastano cento e cento e cento

Canne d’ordito, per vestir di lutto

Tutti i vostri pensieri e il mio pensiero!

 

E, donne, sospendete all’architrave

Di ginepro, le lampade di ferro:

E sia spento e spazzato il focolare,

E in devoto cerchio a lamentare

Siedete su sgabelli alti di cerro,

E bruciate l’olibano soave.

 

Ché vostra madre — verde alpestre ramo

Di leccio, amor dell’aquile, cuor mite

Ed atroce — già compie il suo destino.

Fatele onore, ché altra, nel divino

Cuore di madre, non portò ferite

Più di questa Selvaggia che piangiamo.

 

E neppur dieci coppie di quei buoi

Fortissimi, nutriti nel pianoro

Con la quercia, potrebbero in sette anni

Trainare la soma degli affanni

Tuoi, o madre veneranda, e del martoro

Tuo, e dell’odio di tutti i figli tuoi!

 

Fatele onore, ché fu madre antica

Di pastori patriarchi, che al verno

Popolavan di greggi i Campidani

E i paesi del mare, e avevan cani

E cavalli bellissimi, e governo

Avean sulla genìa scalza ed aprica.

 

E fu nutrice di servi fedeli

Che, delle spose immemori, nell’uzza

Del mattino, sui monti vigilavano

I verri, ed imperterriti cacciavano

L’irto cignale, con la selce aguzza,

E con la fionda l’aquila dei cieli.

 

E fu madre di vecchi e di garzoni

Arguti ai canti come la cicala

Del poggio, esperti al coro ed alla gara:

E d’agricoli fu madre preclara,

Abili nel guidare sopra un’ala

Di monte, i plaustri gravi di covoni.

 

Fatele onore! E voi, strani romiti

Pastori di Lodé, che vi cibate

Di carne e miele, voi di bassa fronte:

E voi pastori miei del Supramonte

Di Orgòsolo, aspre stirpi coronate

Di nera chioma, indomiti Pelliti,

 

Ecco, voi tutti, presso le fontane

Dei vostri ermi valloni, tra la selva

Cedua, stanate coi magri mastini

Il gran cervo solone; dai quercini

Boschi caduti, moribonda belva,

Salì le solitudini montane.

 

Qui l’uccidete ed arrostite i lombi

Sull’ampio focolare, e focolare

Sia un cerchio di nuraghe, e dal caprino

Otre fremente voi spillate il vino,

E pranzate nel bosco secolare

Ultimo, tutto vivo di colombi.

 

Fate il banchetto funebre, ed il canto

Triste e fatale ogni lamentatrice

Intoni cinta delle bende gialle:

La domatrice rude di cavalle,

La fiericida, la vendicatrice,

Stesa è sui monti col grande arco infranto!




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