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Sebastiano Satta
Canti

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  • MUTTOS
    • L’automobile passa
      • LA SCUOLA DI CHILIVÀNI
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LA SCUOLA DI CHILIVÀNI

 

Tornavo alle mie rupi, alla mia lustra,

A una tomba romita

Tornavo: — oh tomba innocente, che lustra

Dalla montagna la nascente luna! —

Pioveva: nel livido orizzonte

Era un sorriso solo

Di crisantemi rossi.

 

Per la stazione desolata e vasta

Non ombre o voci. I treni eran partiti

Per terre di dolore

Portando altri dolori.

Nel piovoso orizzonte

L’aiuoletta ridea

Davanti a un dolce nido:

La scuola… Salve, pia scuola, nel verno

Delle tanche ventose incoronata

Di fiori: arnia ronzante

Di cento voci d’oro.

 

Alla fredda mattina,

Quando gli armenti bradi

E l’errante pastore

Escono dalla notte

Torvi, con l’occhio insonne,

E canuti di brina,

Voi dalle cantoniere

Dal Logudoro antico,

Del pampineo Meilogu,

Armonioso, amico

Dei vati, e delle nere

Di solchi piane d’Àrdara,

Dai bianchi bugni

Solitari e tediosi,

Voi sciamate, piccini,

A quest’arnia festosa,

Sul tonante convoglio

Che vi attende e vi porta.

 

E la scuola vi accoglie

E vi abbraccia, o miei figli;

Vi accoglie col sorriso

De’ suoi fiori vermigli

Coi tepori d’un nido,

Con la parola augusta

Delle vostre regine,

Le madri che, in divine

Ansie mortali, il cuore

Hanno sempre sospeso

Pei loro figli e per i figli altrui;

Con la dolce parola

Di quelle vostre madri giovinette,

Delle vergini madri,

Le vigili sorelle

Vostre maggiori, liete

Nell’opera gentile,

Pari a lodolette quando s’alzano

Dai solchi dell’aprile

E in vista al nido cantano.

E le vigili schierano

A voi la strada oscura

Con la facella d’oro.

E vi ammoniscon: — Gloria

A chi sparge il buon seme

Per la trebbia futura:

E gloria a tutti i cuori

Palpitanti d’amore,

In terra e sotterra:

Gloria alle braccia umane

Faticanti nel mondo

Pei piani per i monti per gli ocèani. —

Ma alle vostre vetrate

Grida il vento sinistro,

Urla il sinistro fischio

Del dèmone che va

Con la sua turba nera,

Col rapido traino

Di gioje e di tormenti.

 

Che se l’uggia vi avvolga e quel lavoro

Vostro, la nobilissima fatica,

Vi sembri dura ed inamabil cosa,

Ripensate alle pene vagabonde

Travedute nel vostro breve volo,

Nel vostro breve viaggio cinguettante;

Ripensate la pena

Nel piccolo pastore,

Che invidia velli ed erbe alla sua greggia,

E se ne va ramingo sotto il cielo

Vasto, che lo minaccia e lo percote

Cieco, con le sue raffiche di gelo;

Ripensate la pena

Del misero aratore

Che ara senza canti, tra la sizza

Del gelido mattino,

La terra che un altro uomo mieterà;

 

E riandate la pena

Di quel seminatore

Che avete visto torvo contro il nembo,

Seminare il suo solco, e avea nell’atto,

Spoglio di santità,

Una crudel tristezza, una minaccia

Folle: parea che il misero gittasse

Semente d’odio sulla terra antica.

 

Or ecco è l’ora del ritorno, e tu

Sbuchi, ronzante sciame luminoso,

E s’allegra il deserto.

Ed è l’ora che i treni

Sono giunti dal mare,

Spinti dalle tempeste,

E giù dai monti neri,

Aneli a rincontrarsi

In questo muto cuore

Dell’Isola. La turba

Nera che viene e va

Sui fumosi convogli,

La varia turba oscura

Che parla tace e canta:

 

L’operajo, il signore,

La placida signora,

La madre del bandito

Che trema come fronda,

Il ladro catenato,

Il soldato che fischia

E canticchia, l’astuto

Cellonajo, l’anziano

Coi calzoni di saia,

Ed il rapsodo, arguto

Re dei canti, in bisaccia,

E il nomade col sago,

Barbuto e taciturno,

Tutti con un palpito

Di gioja guardan voi,

Piccoli alunni, figli

Di tutti i cuori, fiori

Fioriti in rudi solchi,

Albe aspettate in tormentose notti.

E sospirano: Gloria

A te, buono, per questo

Albergo ai voli onesti,

Per quest’arnia sicura

Agli innocenti sciami,

Per questa fonte pura

Scavata nel deserto.




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