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Stendhal
La badessa di Castro

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  • Capitolo 3
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Capitolo 3

 

Occorre sapere che gli Orsini, eterni rivali dei Colonna e onnipotenti allora nei villaggi più vicini a Roma, avevan fatto condannare a morte poco prima, dai tribunali del governo, un ricco coltivatore chiamato Baldassarre Bandini, nativo della Petrella. Sarebbe troppo lungo riferire le differenti azioni che venivano attribuite al Bandini: la maggior parte di esse oggi verrebbero qualificate delitti, ma nel 1559 non potevano essere giudicate così severamente. Il Bandini era prigioniero in un castello di proprietà degli Orsini, situato in montagna, dalle parti di Valmontone, a sei leghe da Albano. Il bargello di Roma, con una scorta di centocinquanta sbirri, passò una notte sulla strada maestra per catturare il Bandini e condurlo a Roma nelle carceri di Tordinona. Il Bandini, dopo la sentenza capitale, era ricorso in appello a Roma. Ma poiché, come già abbiamo detto, era nativo della Petrella e questa fortezza appartiene ai Colonna, sua moglie disse in pubblico a Fabrizio Colonna che si trovava alla Petrella:

- Lascerete giustiziare uno dei vostri fedeli servitori? -

Il Colonna rispose:

- A Dio non piaccia che io manchi mai di rispetto alle sentenze emesse dai tribunali del Papa mio signore.

Immediatamente furono dati ordini ai suoi soldati e i suoi partigiani ricevettero avviso di tenersi pronti. L'appuntamento era nei dintorni di Valmontone, cittaduzza costruita sul cocuzzolo di una roccia non molto alta, ma a cui serve di baluardo un precipizio molto esteso, a picco, alto tra i sessanta e gli ottanta piedi. I partigiani degli Orsini e gli sbirri del governo erano riusciti a trasportare il Bandini in questa città dipendente dal Papa. Tra i più zelanti partigiani dell'autorità c'erano il signor di Campireali e suo figlio Fabio, i quali del resto erano imparentati con gli Orsini. Giulio Branciforte e suo padre, invece, erano da lungo tempo fedeli ai Colonna, come già s'è detto.

Date le circostanze, ai Colonna non conveniva agire apertamente e avevano perciò adottato una precauzione molto semplice. La maggior parte dei contadini romani, allora come oggi, facevano parte di qualche confraternita di penitenti, i quali non si mostravano mai in pubblico se non col capo coperto da un cappuccio di tela che non lascia vedere la faccia e ha due buchi davanti agli occhi. Quando i Colonna non volevano capeggiare apertamente un'impresa, invitavano i loro partigiani a raggiungerli in cappa di penitenti.

Dopo lunghi preparativi, fu fissato per una domenica il trasferimento del Bandini, di cui si parlava in paese da quindici giorni. Fin dalle due del mattino il governatore di Valmontone aveva fatto suonare le campane a stormo in tutti i villaggi della foresta della Faiola. (I costumi repubblicani del Medioevo, quando la gente si batteva per ottenere quel che le stava a cuore, avevano temprato l'animo di quei contadini che erano ancora molto valorosi: al giorno d'oggi nessuno muoverebbe un dito).

Quella domenica si poteva osservare qualcosa di molto strano: via via che il gruppetto di contadini uscito con le armi da ogni villaggio entrava nella foresta, ecco che diminuiva della metà: i partigiani dei Colonna si dirigevano verso il luogo dell'appuntamento fissato da Fabrizio. I loro capi sembravano convinti che non ci sarebbe stata battaglia: al mattino essi avevano ricevuto l'ordine di diffondere quella voce. Fabrizio percorreva la foresta coi suoi migliori partigiani, ai quali aveva dato dei giovani cavalli mezzo selvaggi del suo allevamento. Egli passava in rassegna, per così dire, le diverse bande di contadini, ma per non compromettersi non diceva loro una parola.

Fabrizio era un uomo alto e magro, incredibilmente agile e forte: benché avesse soltanto quarantacinque anni, aveva bianchissimi i baffi e la barba, e questo lo infastidiva molto, perché era un contrassegno che non gli permetteva di passare in incognito dove sarebbe stato opportuno. Man mano che i contadini lo vedevano, si mettevano a gridare: "Viva Colonna!", e infilavano i cappucci di tela. Il principe stesso portava appeso al petto il cappuccio in modo da metterselo in capo appena il nemico si fosse mostrato.

Il sole spuntava appena sull'orizzonte quando un migliaio di uomini più o meno, appartenenti alla fazione degli Orsini e provenienti da Valmontone, entrarono nella foresta e passarono a circa trecento passi dai partigiani di Fabrizio Colonna, ai quali egli aveva ordinato di coricarsi a terra bocconi. Pochi minuti dopo che l'avanguardia degli Orsini fu sfilata, il principe diede ai suoi uomini l'ordine di marciare: aveva deciso di attaccare la scorta del Bandini un quarto d'ora dopo che fosse entrata nel bosco. In quel punto la foresta è tutta sparsa di piccole rocce alte quindici o venti piedi: sono delle colate di lava più o meno antiche su cui i castagni vengono su magnificamente e intercettano quasi del tutto la luce. Poiché quelle colate, più o meno consumate dal tempo, rendono il terreno molto ineguale, la strada maestra è stata scavata in alcuni punti nella lava stessa, per evitare una quantità di inutili discese e salite, e molto spesso il piano stradale è a tre o quattro piedi al di sotto di quello della foresta.

Vicino al luogo che Fabrizio aveva designato per l'attacco c'era una radura erbosa; attraversata in uno dei suoi lati dalla strada maestra, rientrava poi nella foresta che in quel punto era piena di rovi e di cespugli fra i tronchi degli alberi e perciò del tutto impraticabile. Fabrizio aveva fatto schierare i suoi fanti a cento passi dalla foresta, dalle due parti della strada. A un segno dato dal principe ogni contadino infilò il cappuccio e si appostò con l'archibugio dietro un castagno: i soldati del principe si misero dietro agli alberi più vicini alla strada. I contadini avevano l'ordine di tirare solo dopo i soldati e questi non dovevano far fuoco che quando il nemico fosse a venti passi. Fabrizio fece abbattere in fretta una ventina di alberi, che precipitando con i loro rami sulla strada, abbastanza stretta in quel punto e sprofondata tre piedi al di sotto, la ostruirono in pieno. Il capitano Ranuccio seguì l'avanguardia con cinquecento uomini; aveva l'ordine di attaccarla solo quando avesse sentito i primi colpi d'archibugio tirati dagli alberi che erano stati abbattuti per ostruire la strada.

Quando Fabrizio Colonna vide i suoi soldati e i suoi partigiani appostati ciascuno dietro un albero, ben risoluto ad agire, partì al galoppo coi suoi uomini a cavallo tra i quali si notava Giulio Branciforte. Il principe prese a destra della strada maestra un sentiero che lo conduceva al punto della radura più lontano dalla strada.

S'era allontanato soltanto di qualche minuto quando si vide venire da lontano, per la strada di Valmontone, una numerosa schiera di uomini a cavallo; erano gli sbirri e il bargello, che scortavano il prigioniero, e tutti i cavalieri degli Orsini. Baldassarre Bandini era in mezzo a loro, circondato da quattro carnefici vestiti di rosso: essi avevano l'ordine di eseguire la sentenza dei primi giudici e di giustiziare subito il Bandini se per avventura avessero visto i partigiani dei Colonna pronti a liberarlo.

La cavalleria di Fabrizio arrivava appena al lembo della radura o prateria più lontano dalla strada maestra, quando si sentirono i primi colpi d'archibugio dell'imboscata ch'egli aveva preparato dietro la barriera d'alberi abbattuti. Mise subito al galoppo la sua cavalleria e si gettò con quella sui quattro carnefici vestiti di rosso che circondavano il Bandini.

 

Noi non seguiremo tutta la narrazione di quest'avventura che non durò più di tre quarti d'ora. I partigiani degli Orsini, sorpresi, si sbandarono; ma all'avanguardia fu ucciso il valoroso capitano Ranuccio, e l'avvenimento ebbe una funesta influenza sul destino del Branciforte. Questi aveva appena dato qualche sciabolata, avvicinandosi pian piano agli uomini vestiti di rosso, quando si trovò di fronte a Fabio di Campireali.

Alto su un focoso cavallo e coperto d'un giaco dorato Fabio gridava:

- Chi sono quei miserabili mascherati? Togliamo loro la maschera con una sciabolata. Vedete come faccio io!

Quasi nello stesso istante Giulio Branciforte ebbe da lui una sciabolata orizzontale sulla fronte. Il colpo gli era stato vibrato con tanta destrezza che la tela da cui il viso era coperto cadde giù nello stesso tempo ch'egli sentiva gli occhi accecati dal sangue grondante dalla ferita, comunque non grave. Giulio trasse indietro il proprio cavallo per avere il tempo di respirare e di asciugarsi il viso. A nessun conto egli voleva battersi col fratello di Elena. Il suo cavallo era già a quattro passi da Fabio, quando ricevette in pieno petto una furiosa sciabolata che non lo ferì grazie al giaco, ma gli tolse per un momento il respiro. Quasi nello stesso tempo si sentì gridare all'orecchio:

- Ti conosco, porco! Canaglia, ti conosco. Così tu guadagni il danaro per sostituire i tuoi cenci.

Giulio, punto dall'ingiuria, dimenticò il suo primo proposito e affrontò di nuovo Fabio:

- Ed in mal punto tu venisti! - gridò.

Le rabbiose sciabolate che si scambiarono facevano cadere a brandelli le sopravvesti che ricoprivano le loro cotte di maglia. Quella di Fabio era dorata e magnifica, quella di Giulio semplicissima.

- In quale fogna hai raccattato il tuo "giaco"? - gli gridò Fabio.

In quel momento Giulio trovò l'occasione che da un mezzo minuto cercava: la splendida cotta di maglia di Fabio non era abbastanza stretta al collo, e Giulio lo colpì di punta. La spada penetrò circa un mezzo piede nella gola di Fabio e fece zampillare un enorme sbocco di sangue.

- Insolente! - esclamò Giulio.

Poi galoppò verso gli uomini vestiti di rosso, due dei quali erano ancora a cavallo, a cento passi da lui. Mentre si avvicinava a loro, il terzo cadde. Nel momento in cui Giulio arrivava vicino al quarto carnefice, questi, vedendosi circondato da più di dieci cavalieri, scaricò a bruciapelo una pistola sul viso della sventurato Baldassarre Bandini, che cadde a terra.

- Cari signori, qui non c'è più nulla da fare! - gridò il Branciforte. - Prendiamo a sciabolate la canaglia di sbirri che scappano da tutte le parti.

Tutti lo seguirono.

Circa mezz'ora più tardi, Giulio ritornò presso Fabrizio Colonna che gli rivolse per la prima volta la parola. Mentre credeva di trovarlo esultante per la vittoria che era totale e dovuta soltanto ai provvedimenti da lui stesso presi, Giulio vide che era furibondo; perché gli Orsini avevano circa tremila uomini e Fabrizio per quell'impresa non aveva potuto metterne insieme più di millecinquecento.

- Abbiamo perduto il vostro valoroso amico Ranuccio! - esclamò il principe rivolgendosi a Giulio.- E' già freddo: io stesso gli ho toccato or ora la fronte. Il povero Baldassarre Bandini è ferito a morte. Perciò, in conclusione, possiamo dire che ci è andata male. Ma l'ombra del valoroso capitano Ranuccio si presenterà a Plutone bene scortata. Ho dato ordine che tutta questa canaglia di prigionieri sia impiccata ai rami degli alberi. Badate bene a non disobbedirmi, signori! - disse alzando la voce.

E ripartì al galoppo per raggiungere il luogo dove si era svolto il combattimento d'avanguardia. Giulio era più o meno il comandante in seconda della compagnia di Ranuccio, e seguì il principe. Questi, arrivato presso il cadavere di quel valoroso soldato, che era steso a terra tra cinquanta cadaveri nemici, scese da cavallo una seconda volta per prendere la mano di Ranuccio. Giulio l'imitò piangendo.

- Tu sei molto giovane, - disse il principe a Giulio. - Ma vedo che sei coperto di sangue, e tuo padre fu un uomo valoroso. Assumi il comando di quel che resta della compagnia di Ranuccio, e fa trasportare il suo cadavere nella chiesa della Petrella. Bada che forse ti assaliranno per strada.

Giulio non fu assalito, ma un colpo di spada uccise uno dei suoi soldati che gli rinfacciava d'esser troppo giovane per comandare. Fu un'imprudenza, ma gli andò bene perché era ancora coperto del sangue di Fabio. Lungo tutta la strada trovava gli alberi carichi d'impiccati. Quest'orrendo spettacolo, e il pensiero della morte di Ranuccio e soprattutto di Fabio, gli toglievano quasi il senno. L'unica sua speranza era che s'ignorasse il nome del vincitore di Fabio.

Tre giorni dopo il combattimento, Giulio poté ritornare per qualche ora ad Albano. Raccontò ai suoi conoscenti ch'era stato colto a Roma da una febbre violenta e che per tutta la settimana era dovuto restare a letto.

Ma dappertutto veniva trattato con visibile rispetto: le persone più ragguardevoli della città lo salutavano per prime, e qualche imprudente arrivò perfino a chiamarlo "signor capitano". Egli era passato più volte davanti al palazzo Campireali, che era interamente chiuso, e poiché il nuovo capitano era molto timido quando si trattava di fare certe domande, soltanto verso la metà della giornata prese il coraggio a due mani per dire a un certo Scotti, un vecchio che l'aveva trattato sempre con bontà:

- Dove sono i Campireali? Vedo che il palazzo è chiuso.

- Caro mio, - gli rispose lo Scotti con un'improvvisa tristezza nella voce, - non pronunciate mai più quel nome. I vostri amici son persuasi che è stato lui ad affrontarvi, e lo diranno dappertutto; ma, insomma, era il principale ostacolo al vostro matrimonio; lascia una sorella immensamente ricca, innamorata di voi. Si può anche aggiungere, e in questo momento l'indiscrezione diventa virtù, che è innamorata al punto da venirvi a far visita di notte nella vostra casetta di Alba. Così si può dire, nel vostro interesse, che voi eravate marito e moglie prima del fatale combattimento dei Ciampi (era il nome che si dava in paese al combattimento che abbiamo descritto).

Il vecchio s'interruppe perché s'accorse che Giulio era scoppiato a piangere.

- Saliamo all'albergo - disse Giulio.

Scotti lo seguì. Diedero loro una camera in cui si chiusero a chiave, e Giulio domandò al vecchio il permesso di raccontargli quanto gli era accaduto in quegli otto giorni.

- Vedo bene dalle vostre lacrime, - disse il vecchio quando fu terminato il racconto, - che nella vostra condotta non c'è stata nessuna premeditazione. Ma la morte di Fabio resta comunque un avvenimento molto crudele per voi. Bisogna assolutamente che Elena dichiari a sua madre che da molto tempo voi siete il suo sposo.

Giulio non rispose, e il vecchio attribuì il silenzio ad un lodevole senso di discrezione. Assorto in una profonda fantasticheria, Giulio si domandava se Elena, irritata per la morte del fratello, avrebbe reso giustizia alla sua delicatezza; e si pentì di quanto un tempo era accaduto. Il vecchio, interrogato, gli raccontò sinceramente tutto quello che era avvenuto in Albano il giorno del combattimento. Fabio era stato ucciso alle sei e mezzo del mattino a più di sei leghe da Albano, e fin dalle nove - cosa incredibile! - si era incominciato a parlare della sua morte. Verso mezzogiorno era stato visto il vecchio Campireali, tutto in lacrime e sorretto dai suoi domestici, salire al convento dei Cappuccini. Poco dopo, tre di quei buoni padri, inforcati i migliori cavalli dei Campireali, s'erano diretti con una numerosa schiera di domestici verso il villaggio dei Ciampi dove s'era svolto il combattimento. Il vecchio Campireali voleva assolutamente seguirli: ma ne era stato dissuaso, con la ragione che Fabrizio Colonna era furioso (non si sapeva troppo bene perché) e avrebbe potuto fargli un brutto tiro se lo avesse fatto prigioniero.

La sera, verso mezzanotte, la foresta della Faiola sembrava in fiamme: erano tutti i frati e tutti i poveri che andavano incontro al corpo del giovane Fabio ciascuno con un grosso cero acceso.

- Voi sapete, - continuò il vecchio abbassando la voce come se temesse d'essere udito, - che la strada di Valmontone e dei Ciampi...

- Ebbene? - lo interruppe Giulio.

- Ebbene, quella strada passa davanti a casa vostra, e si dice che quando il cadavere di Fabio è arrivato il sangue ha zampillato da un'orrenda ferita che egli aveva al collo.

- Che orrore! - esclamò Giulio levandosi in piedi.

- Calmatevi figlio mio, - disse il vecchio: - bisogna bene che sappiate tutto. E ora posso dirvi che la vostra presenza qui, oggi, è sembrata un po' prematura. Se mi fate l'onore di consultarmi, capitano, aggiungerei che non è conveniente che prima di un mese vi lasciate vedere in Albano. E non ho bisogno di avvertirvi che neppure a Roma sarebbe prudente mostrarvi. Non si sa ancora in qual modo il Santo Padre si comporterà coi Colonna. Si crede che egli presterà fede alla dichiarazione di Fabrizio, il quale pretende di aver saputo del combattimento dei Ciampi soltanto dalla voce pubblica. Ma il governatore di Roma, che è tutto degli Orsini, è furibondo e sarebbe felice se potesse far impiccare qualcuno dei bravi soldati di Fabrizio, cosa contro cui questi non potrebbe ragionevolmente protestare dal momento che giura di non aver assistito alla battaglia. Dirò di più, e anzi mi permetterò di darvi un consiglio militare, benché voi non me lo chiediate: in Albano vi vogliono bene, altrimenti non ci vivreste così sicuro. Pensate che da parecchie ore andate in giro per la città, che qualcuno della famiglia Orsini può credersi sfidato da codesto modo di fare o almeno vagheggiare una bella ricompensa da ottenere a buon mercato. Il vecchio Campireali ha ripetuto mille volte d'esser pronto a dare la più bella terra a chi vi uccida. Avreste fatto bene a far venir in Albano qualcuno di quei soldati che tenete in casa...

- Non ho nessun soldato in casa.

- Se è così, capitano, voi siete pazzo. Questo albergo ha un giardino, noi usciremo per di e sgaiattoleremo attraverso le vigne. Io vi accompagnerò: son vecchio e non ho armi; ma, se incontreremo qualche male intenzionato, io gli parlerò e voi almeno potrete guadagnare tempo.

Giulio si sentiva straziare il cuore. Oseremo dire a qual grado di follia egli era arrivato? Non appena aveva saputo che il palazzo Campireali era chiuso e che tutti gli abitanti erano partiti per Roma, aveva avuto l'idea di andare a rivedere quel giardino dove così spesso era stato a colloquio con Elena. Sperava perfino di rivedere la camera di lei, dove così spesso era stato ricevuto durante l'assenza della madre. Sentiva il bisogno di premunirsi contro la propria collera rivedendo quei luoghi che gli ricordavano il tenero amore della fanciulla.

Al Branciforte e al generoso vecchio non capitò alcun brutto incontro nel seguire i viottoli che attraversano le vigne e salgono verso il lago.

Giulio si fece raccontare di nuovo i particolari delle esequie di Fabio. La salma di quel valoroso giovane, scortata da molti preti, era stata trasportata a Roma e sepolta nella cappella gentilizia, che è nella chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo. Era stato osservato che alla vigilia della cerimonia il padre aveva ricondotto Elena al convento della Visitazione di Castro, e questo aveva confermato la diceria pubblica secondo cui ella aveva sposato segretamente il soldato di ventura che aveva avuto la disgrazia di ucciderle il fratello.

Quando fu arrivato a casa sua, Giulio trovò il caporale della propria compagnia insieme con quattro soldati, i quali gli dissero che il loro antico capitano non sarebbe mai uscito dalla foresta senza avere con sé alcuni dei suoi uomini. Il principe aveva detto che chi volesse farsi uccidere per imprudenza poteva farlo benissimo, ma prima doveva presentare le proprie dimissioni per non lasciargli sulle spalle un morto da vendicare. Giulio Branciforte riconobbe giuste queste idee, che prima gli erano del tutto estranee. Come i popoli ancora primitivi, egli aveva creduto che la guerra consista nel battersi con coraggio. Obbedì subito ai suggerimenti del principe ed ebbe appena il tempo di abbracciare quel vecchio avveduto e generoso che l'aveva accompagnato fino a casa.

Pochi giorni dopo, preso da un accesso di malinconia, Giulio volle rivedere ancora il palazzo Campireali. Con tre dei suoi soldati, travestiti come lui da mercanti napoletani, penetrò in Albano al cadere della notte. Presentatosi da solo in casa di quel tale Scotti, seppe che Elena era sempre relegata nel convento di Castro e che il padre, credendola maritata con colui che chiamava l'assassino di suo figlio, aveva giurato di non rivederla più. Non le aveva rivolto lo sguardo neppure nel ricondurla in convento. La tenerezza della madre pareva invece raddoppiata, e spesso ella lasciava Roma per andare a passare uno o due giorni con la figliola.

 

 

 




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