Il saggio che segue è un
articolo pubblicato nel numero del 21 marzo 1871 de «La Roma del popolo», che fu
praticamente l'ultimo giornale diretto da Mazzini in Italia, prima della morte.
È interessante non solo per la chiarezza con cui vi si collega l'emancipazione
femminile ai principi della democrazia, ma anche per l'ostinazione con cui si
richiede l'introduzione della filosofia nei programmi degli istituti secondari
femminili. La richiesta era inusitata, e polemica, perché, soprattutto in
ambiente mazziniano, era convinzione comune che per le donne - ma anche per gli
operai e i contadini - fossero sufficienti scuole professionali, dato che le
allieve avrebbero dovuto per natura dedicarsi ad attività pratiche. La Mozzoni, che piú tardi
criticherà l'astratto accademismo scientemente avulso dai problemi del
presente, rifiuta qui il rozzo pragmatismo contemporaneo, convinta che la
consapevolezza culturale serva allo sviluppo della coscienza politica. Va
notato come per lei anche i motivi tipici dell'illuminismo - l'istruzione -,
lungi dall'indicare un limite alla lotta politica, divengano invece motivo di
rivendicazione.
È cosa fin troppo nota a tutti
che le condizioni politiche della regione latina, e segnatamente dell'Italia,
hanno lasciato in gran ritardo le popolazioni occidentali del continente
rispetto alla civiltà. Cosí, la Penisola Iberica come la Francia ebbero le loro
particolari ragioni in questo ritardo, ragioni che in Italia vennero sommandosi
ed agirono sulle menti e negli animi degli italiani in dosi caricate e
quadruplicate.
Negli Stati Pontifici e nel regno
delle Due Sicilie v'era organizzazione feudale; nei Ducati un infeudamento
assoluto alla Santa Sede ed all'Austria; nella Lombardia e nella Venezia una
signoria straniera in attiva e militante reazione col sentimento nazionale; nel
Piemonte e nella Liguria un organismo civile semifeudale, auspici i Gesuiti; ed
i nobili pregiudizii naturalmente abbarbicati in un paese stretto fra brevi
confini dove le supreme dignità, essendo a contatto con buona parte della
popolazione, sono quindi sotto l'azione di uno stimolo piú potente a tener
salde le barriere separatrici delle caste. Dappertutto quindi la vita politica
si agitava, all'aperto nel paese subalpino, sotto cenere, ma tanto piú intensa,
ansiosa e concitata in tutto il resto d'Italia.
Le questioni politiche, siccome
quelle che possono sorgere e possono sciogliersi a giorni ed ore fisse,
percorrendo un periodo venturoso, nel quale si condensano fatti d'interesse
vivo e palpitante che mettono capo a radicali rivolgimenti, assorbono
siffattamente gli spiriti e toccano cosí dappresso agli interessi ed ai
sentimenti, da farsi credere talora sostanzialmente piú gravi che le questioni
sociali. Dippiù, presentandosi desse per le loro forme transitorie e
particolari colla prepotenza di un bisogno assoluto ed urgente, possono
scuotere facilmente le opinioni e convertire prontamente gli spiriti. La
questione sociale, invece, siccome quella che abbraccia gl'interessi e i
sentimenti che si agitano in una lunga fase storica, non si presenta col
carattere dell'urgenza e non riscuote quindi che l'attenzione degli spiriti
dalle larghe vedute, che abbracciano con lo sguardo filosofico molto tempo,
molto spazio e molte cose, e cercano in queste l'entità non lasciandosi
illudere da simulatrici parvenze. Non è quindi che con grave stento e pena
infinita che questi spiriti, rendendo prima a sé stessi chiara ragione delle
idee e dei fatti che ravvicinati, comparati e giudicati costituiscono una tesi,
riescono a formularla e quindi a trovarne la dimostrazione. Nulla di piú arduo
che far accettare alla società un problema nuovo e che tocchi alla
organizzazione nella quale se ne sta...
... Fra le questioni sociali che
la rivoluzione del 1789 ha
posto in istato d'incubazione v'è l'emancipazione della donna, la quale però se
era in istretta parentela con tutte le altre, era per altro lato subordinata a
circostanze speciali ed aggravanti e trovavasi di fronte come conservatori gli
stessi innovatori. Dessa voleva piú profonde le radici della democrazia, piú
screditato il diritto di forza, piú inoltrate le scienze economiche, piú
smagato il feticcio ortodosso, gli animi più inchinevoli a giustizia. Senza
tutto ciò, non che il suo sviluppo, era perfino impossibile la sua
determinazione. Il suo sviluppo non poteva sperarsi che nella ruina del passato
ed in una potente speculazione che combattesse la forza imperativa delle leggi
e delle abitudini, delle opinioni e delle credenze, dei sentimenti e di
postulati scientifici piú ricevuti che non provati, e finalmente la lunga
testimonianza del fatto che non solo ha creato sentimenti ed interessi di
seconda mano, ma ha perfino inchinato a sé la natura colla forza di una
educazione ripetutasi nello stesso elemento per 60 secoli storici.
Finalmente questa questione ha
contro di sé, fra gli altri gravissimi caratteri che la sfavoriscono, quello di
essere per ogni individuo della specie una questione personale, che si traduce
per una parte in rivolta e per l'altra in abdicazione. Niuna meraviglia
pertanto delle gravi difficoltà che tuttora incontra nella sua vita. Esse non
provano che la sua importanza, come le titubanze dei suoi amici ad incanalarla
sotto certi aspetti nel fatto, partono dalle immense conseguenze che ne debbono
scaturire; e lo accanito antagonismo del mondo conservatore la definiscono l'ultima
espressione del programma sociale.
Malgrado però tutto questo, la
forza inducente dei principii logici è tale ch'essa ha dovuto sgusciare da
qualche tempo anche in Italia, malgrado le difficoltà quivi aggiunte dalla
politica, e la lunga incubazione che ha ritardato il suo sviluppo non sembra
aver fatto che rassodare gli elementi ed imprimere alla sua marcia un
concitamento che nessun'altra questione, forse, che si agitò in questo secolo
ha mai dimostrato.
L'Italia che nella fortunosa
storia dei trascorsi secoli aveva visto le donne nel governo e nelle armi,
nelle cattedre e nelle accademie, non avea mai teorizzato perfettamente il
principio di misoginismo, benché le dottrine e le opinioni dei concilii e degli
scrittori ortodossi, incaricandosi di mantenere rispettivamente alla donna i
pregiudizii oltraggiosi di tutta l'antichità, li venissero sempre piú radicando
nella società cristiana. Il Concilio di Trento vi portò il colpo di grazia.
Reazione del principio teocratico ed autocratico contro lo spirito della
democrazia e della riforma, palladio di tutto il convenzionalismo sociale
contro lo spirito d'analisi e di discussione, esso si affrettò di affermare e
confermare tutti i dispotismi e tutte le servitú, tutti i privilegi e tutte le
esclusioni. La donna si eclissò quindi completamente, e la rivoluzione la trovò
inerte, retriva, profondamente inchinata a servitú, paga della
irresponsabilità, perfettamente convinta, per conto suo, della necessità della
tutela e della dignità dell'ozio.
I Codici Civili di tutta Italia,
invasi un momento dai principii venuti novellamente in circolazione, piegavano
prontamente a reazione. Si ricostituivano in Napoli le primogeniture, l'antica
potestà patria ed i monacati violenti, auspice la Santa Alleanza.
I diritti maritali redenti per
sempre dall'odioso diritto della rivendicazione personale trovavano però nel
Codice Penale uno zelante procuratore. Gli Stati della Chiesa camminarono
all'unisono con Napoli. L'Italia Centrale, piegando verso l'Austria civilizzata
dall'illuminato dispotismo di Giuseppe II e di Maria Teresa, adattarono a
maggior mitezza l'organamento domestico; e la Lombardia e la Venezia signoreggiate
dall'Austria fecero a questo le condizioni migliori. Il disciplinato e
burocratico Piemonte versò ad ambe mani sull'elemento maschile il cumulo delle
sue predilezioni, e si aggiunsero in Liguria i costumi nei quali scorgi un
transfugo degli antichi contatti col bendato Oriente.
In tanta scissura di provincie,
in tanta varietà di civili costituzioni, in tanta gelosia di politica si
rendeva impossibile ad un'idea varcare le numerose e vigilate frontiere e
sfuggire allo sguardo di signorie sospettose che vedevano nella piú tenue
innovazione una oscillazione pericolosa al loro equilibrio. Per sovrammercato
si partoriva dal dispotismo ristaurato il Concordato colla Santa Sede, che,
Argo novello, spalancava sulla penisola i suoi cento occhi. Qual meraviglia
pertanto se l'Italia fu ultima ad accogliere quella tesi che accenna ad un
substrato democratico consolidato?
Se però l'Italia fu l'ultima ad
accoglierla, la vide percorrere in un momento tutta la sua superficie, bussare
alle porte delle sue cento città, alzare la voce nel suo parlamento, insinuarsi
nei suoi ufficii, rovistare il suo foro, riguadagnare insomma il tempo perduto,
ed accennare a non deporre le armi che a vittoria compiuta.
I sintomi forieri dello
svilupparsi di questa tesi in Italia furono una viva polemica insorta a
proposito di essa sulle colonne della «Ragione», diretta dal signore Ausonio
Franchi, fra la dotta signora Jenny d'Héricourt e la signora Giulia Molino
Colombini: polemica che durò sei mesi e fu sostenuta con pari maestria da una
parte e dall'altra. Ma l'ingegno della d'Héricourt, la potenza della sua
argomentazione, la bontà della sua causa lasciarono nell'animo dei piú
intelligenti lettori della «Ragione» il sentimento della sua vittoria, mentre la Colombini che avea
sfruttato un tesoro d'ingegno si trovò la penna asciutta e rifinita.
Il partito democratico radicale,
scindendosi dietro i fatti del 1859 dal partito democratico moderato conservò
intatta la bandiera dell'avvenire; ma questi insediato al potere si eresse in
consorteria; la smania dell'oro e degli onori lo invischiò profondamente ed il
presente si fece per esso cosí felice che non poté comprendere l'opportunità di
ulteriori progressi. Epperò si videro uomini che avevano personificato in
Italia gli avvenimenti del 1848, ed avevano associato al loro nome i movimenti
clandestini e le lotte segrete contro le spossessate signorie, mutarsi d'un
tratto in conservatori e chiamare scapigliati ed utopisti coloro che non
vedevano beata l'Italia della loro privata beatitudine.
Ma il partito democratico
radicale portava scritto nelle pieghe della sua bandiera, con tutte le libertà,
quella ancora della donna e non l'ha mai abiurata. Nel 1864 il deputato
Salvatore Morelli pubblicava un suo volume La donna e la scienza. Nella
edizione di quell'anno la questione della emancipazione non vi era direttamente
affrontata, ma trapelava implicita da ogni pagina, da ogni periodo. Le
splendide intuizioni copiosamente sparse in quel libro preparavano alla tesi il
terreno e lo marcavano, ma la tesi non era ancora formulata.
Intanto agitavasi in grembo alla
commissione parlamentare la riforma del Codice Civile. Come riforma ufficiale e
che per sovrappiú era imposta da una ragione di ordine amministrativo e non da
un sentito e confessato bisogno di progredire verso il meglio, doveva riformare
pochissimo, e gli sforzi dello scarso elemento liberale dovettero piegare sotto
al controllo di un corpo eminentemente conservatore quale il Senato e davanti
alla reazione tenace dell'elemento napolitano capitanato dal Pisanelli...
... Due pubblicazioni di
circostanza venivano in luce intanto che si discuteva dalla commissione parlamentare,
e recavano dal di fuori due diverse opinioni che seguivano con ansia i lavori
di essa.
Una di queste era del sig.
avvocato Gabba e portava per titolo Dei diritti giuridici della donna,
l'altra era di Anna Maria Mozzoni e s'intitolava La donna e i suoi rapporti
sociali, in occasione della revisione del Codice Civile Italiano.
Il sig. Gabba pur ammettendo il
diritto virtuale della donna, non dissimile da quello degli altri cittadini,
negava la opportunità e convenienza della sua pratica esplicazione. L'altra,
dimostrando il diritto virtuale, negava alla società ed alla legge il diritto
di contenderne la esplicazione e la mostrava possibile, opportuna, conveniente.
Il Senato fece tesoro del libro del Gabba, e fattosi forte di quello, si pose
alla difesa del diritto maritale. L'elemento liberale fece buon viso all'altro
e le sue argomentazioni non furono inutili alla opposizione.
Escito in luce il progetto del
ministero ed il controprogetto del Senato, la Mozzoni, spediva cento
copie al Senato e duecento alla Camera di un opuscolo intitolato La Donna in faccia al
progetto del Codice Civile Italiano. Se era arrivato troppo tardi per
ottenere qualche immediato e pratico risultato, avendo le due Camere deciso di
accettare in blocco una rifusione dei due progetti presentati, non riesciva
affatto inutile ad illuminare l'opinione parlamentare ed extraparlamentare sui
bisogni delle donne, sulle ingiuste esclusioni da cui sono colpite, ed a fare
avvertire che la donna si svegliava, rifletteva, cercava, protestava, e non
s'accontentava piú di essere un fra parentesi nel Codice Civile mentre nel
Codice Penale era una completa personalità...
... I Codici moderni hanno a
petto degli antichi una grave disgrazia ed è quella di essere accozzati dai
legulei in luogo di essere pensati dai filosofi. Si incontrano perciò,
attraverso ad un diluvio di articoli, principii diversi che nel fatto si
cozzano e contraddicono, fatui empirismi accatastati senza altra ragione che
quella del convenzionalismo forense, ma fomiti naturali di liti frequenti,
interminabili, fra i cittadini, e nelle quali il giudizio delle Corti pende
incerto, non essendovi l'interesse d'alcuno all'infuori degli avvocati
legislatori. Queste magagne che si travvidero nel Codice Civile Italiano fecero
sí che si dichiarasse sottoposto a prova decennale, ma dopo questa, le cause
stesse riprodurranno gli identici effetti.
Intanto però la tesi del
sollevamento della donna posta all'ordine del giorno avanzò incredibilmente. In
pochi anni l'Italia fu inondata da libri, opuscoli, periodici, istituzioni che
in tutto od in parte, da un aspetto o dall'altro, tendono a migliorare le sue
condizioni economiche, a sollevare le sue condizioni morali, a farla
produttrice, onorata, felice. L'istruzione delle fanciulle va mano mano
sottraendosi all'insegnamento maschile, e le scuole elementari miste si
affidano largamente alle donne. Associazioni operaie femminili sorgono in tutte
le città e si amministrano saviamente. Scuole e collegi si aprono su larga
scala gareggiando nell'ampliamento dei programmi e sono ogni dí piú stipate di
fanciulle ansiose di sapere.
Il potere esecutivo, trascinato
dall'opinione che va ogni dí piú pronunciandosi, si vide nella necessità
d'ormeggiarla e si apersero alla chetichella dei posti negli uffici telegrafici
e ferroviarii, e, nelle provincie, anche nel posto e nel lotto; ed il ministro
Coppino incaricava l'onorevole Mauro Macchi di fargli una relazione su tutti
gli uffici pubblici che potessero con frutto aprirsi alle donne. Alcune dame
venete indirizzavano alla Camera una istanza per ottenere il voto
amministrativo, e, dietro le discussioni, la commissione parlamentare si
pronunciava in favore delle petenti.
Se però questo movimento in
favore della tesi femminile è evidente, e segnatamente nelle provincie del
mezzodí trova calda adesione da parte della giovane generazione, essa è in pari
tempo terribilmente avversata da elementi potenti, il clero, le consorterie e
le fatue masse eleganti. I moventi di questi tre avversari però sono molto
diversi.
Il clero, benché dottrinalmente
ostile ad una tesi che ha contro di sé le tradizioni ortodosse, non sarebbe
alieno da certe transazioni nel campo pratico, perché, influente esso stesso
sulla donna, questa gli serve da tramite ad invadere del suo spirito le famiglie.
Esso perciò si guarda bene dal combattere il movimento in quanto si esplica nel
fatto, ma combatte gagliardamente l'innovazione nel campo teorico.
Le consorterie avversano tutte
le innovazioni per la ragione medesima per cui le perseguivano le autocrazie.
Ogni oscillazione, ogni urto, ogni spostamento minaccia l'equilibrio sul quale
si sostiene, pericolante acrobata, ogni fortuna umana. Se non che, pervenuti
essi stessi al potere, gli uomini delle consorterie legando il loro nome ad
imprese democratiche, non possono combattere di fronte e teoricamente questa
tesi, e l'odiano perciò tanto piú cordialmente quanto quest'odio può meno
confessarsi.
Ogni qual volta in Parlamento
levossi la solitaria voce del deputato Morelli ad invocare per la donna condizioni
migliori, essa non trovò a destra opposizioni di massima. Mai piú. Ma ora con
paralogismi, ora con iscappatoie, ora appuntando sulla forma del discorso, ora
protestando contro l'opportunità, si trovò sempre modo di far cadere nel vuoto
qualsiasi pratica deliberazione.
Caduti poi i resoconti ufficiali
nei giornali infeudati alle consorterie, si praticarono mutilazioni di ogni
sorta, e si presentarono i discorsi del Morelli sotto vesti impossibili. Ora si
toglievano gli anelli fra due idee, ora si sopprimeva una circostanza che aveva
ragionevolmente provocata una sua mozione, ora si annichilava sotto un equivoco
la mozione medesima. Le arti piú sottili furono poste in atto per screditarlo
dentro e fuori del Parlamento, per gettare fango ed umorismo sull'apostolo e
far pesare l'uno e l'altro sull'idea.
Siccome però non devesi mai
dimenticare l'unicuique suum, così vuolsi aggiungere che le proporzioni
troppo complesse, colle quali era dal Morelli presentata la sua legge per la completa
emancipazione delle donne, fu causa che anche a sinistra non trovasse appoggio,
vedendosi pur troppo anche dagli amici della tesi generosa la pratica
impossibilità di operare in un giorno una rivoluzione cosí radicale nelle leggi
e nei costumi.
Ciò però è ben lungi dallo
scusare il governo, o chi per esso, della guerra ad oltranza ed improntata di
mala fede fatta al Morelli e presso il suo collegio elettorale ed in
Parlamento.
Del resto, le persecuzioni
toccate al Morelli non sono sole a provare la cordiale antipatia delle
consorterie contro questa tesi. Tutti gli scrittori dell'un sesso e dell'altro
vi sono piú o meno bersaglio. Il silenzio, l'indifferenza, gli attacchi
indiretti, le insinuazioni odiose, le ripulse ad ogni piú onesta istanza toccano
loro ad ogni occasione, e tutto questo viene accuratamente velato sotto
pretesti piú o meno plausibili...
... I periodici e diarii
radicali aprono tutti le loro colonne alle aspirazioni femminili, ma uno solo
ve n'ha, ch'io mi sappia, che se ne dichiara organo e campione, ed è «la Donna» di Venezia, foglio
ebdomadario di poca mole, scritto esclusivamente da donne. Il vario valore
degli scritti che vi compaiono prova che questa questione che pochi anni sono
era di esclusiva competenza degli ingegni piú elevati e dei caratteri più
intraprendenti, è oggi discesa in una sfera piú larga e popolosa, e che i vieti
pregiudizii vanno rimovendosi anche da intelletti piú modesti.
Piú di una donna tenta oggi in
Italia l'oratoria, e l'uditorio ne è sempre più o meno affollato, segnatamente
quando vi si trattano questioni che toccano alla sua emancipazione: ma non v'è
caso che non brillino per la loro invariabile assenza gli uomini della
consorteria, i quali si ostinano nel darsi per non intesi nel terreno che va
ogni giorno acquistando la tesi abborrita.
La fatuità del mondo elegante è
dessa pure un terribile ostacolo a superarsi. Nei circoli di questo mondo si
reputa plateale tutto ciò che è produzione e preoccupazione dello spirito, e,
sognando tuttora del sogno millenare del beato d'Assisi, questa casta la pensa
come i baroni del mille e cento, che il lavoro e l'occupazione sono plebee;
che, se ornate di ciondoli ed insignite di titoli, queste cose possono per
avventura tollerarsi nell'uomo, il lavoro della donna non ancor decorato non
s'è ancora redento dell'antico marchio borghese. Sono serii ostacoli codesti?
Non credo. Quando per la prima volta in giovine età, e per la prima in Italia,
mi trovai su una cattedra conferenziale propugnando gl'interessi del mio sesso mi
vedeva d'innanzi un immenso pubblico composto di stupefatti, di curiosi, di
scandalizzati, di umoristi, di ostili, di elementi tutti piú o meno
sconfortanti. Era il 1865. Oggi uno fra i periodici piú moderati della lombarda
pedagogia, in un articolo critico sui Doveri della donna del sig.
Giuseppe Mastriani, si lagna che l'autore non faccia alla donna una parte piú
larga, che non iscorga le esigenze dei tempi, che non veda come la scienza, la
produzione, il lavoro sociale su larga scala, una seria considerazione, ed una
sfera autonoma ed attiva perfettamente le competa e sia reclamata dall'opinione
piú moderata.
Davanti a tanto cammino percorso
da un'idea in cosí pochi anni, davanti alle simpatie che le prodiga la parte
piú colta ed eletta della giovine generazione si può ben benedire al fecondo
apostolato e riprendere con nuova lena il cammino glorioso.
Tendenza di questa tesi ad
affratellarsi con tutte le questioni sociali sollevate dalla democrazia
È nella natura dell'ente
razionale di rannodare i fatti, di coordinarli ad un concetto e di riportarli
ad un principio. È a questa tendenza che ogni fase storica, ogni tempo, ogni
periodo della vita collettiva umana deve quel carattere e quella intonazione
che gli è propria e dalla quale risulta una armonia complessa che lo distingue
da ogni altro.
Nelle epoche transitorie questa
armonia si scompone; i caratteri del tempo che muore si offuscano e vedono
escirsi dal grembo degli elementi embrionali ed informi che procedono dapprima
vagamente e quasi sussultoriamente, poscia cresciuti di vigoria ed affermati
nella forma iniziano una regolare ginnastica e determinano una lotta, sorda e
localizzata in sulle prime, e che si va facendo man mano piú lata e piú intensa
e preconizza sensibilmente la nuova giornata che spunta sull'orizzonte della
storia umana. Nel suo periodo embrionale la reazione cerca tutte le sventure,
sveglia tutti i malcontenti, fa il viso dell'armi a tutte le convenzioni e
l'una associa all'altra con una logica istintiva. Tutto ciò che è sofistico,
tutto quanto si dibatte in una cerchia forzata, tutto quello che manca di
terreno e di forza a raggiungere la libera espansione del moto e della vita, si
associa a quel fermento, benché la fredda analisi non sia ancora giunta in quel
periodo a discernere quanto vi sia di praticamente possibile od impossibile
nella rivoluzione che quel fermento prepara.
Dal fermento esce
necessariamente una nuova combinazione, ma non ne segue che la nuova
combinazione sia in tutte le sue parti prevedibile, né che perciò possa
realizzare, da ogni lato, le aspirazioni di coloro che produssero o secondarono
il fermento.
Checché ne sia, scosso una volta
uno dei dogmi su cui basa l'organamento sociale proprio di un tempo, vuole
legge d'analogia che tutte le convenzioni, alle quali quel dogma presta
prossimo o remoto l'appoggio, crollino con esso, né bastano a salvarle le
complesse relazioni che quelle convenzioni possono aver create coi vari
interessi sociali. Questa legge d'analogia che governa i rivolgimenti dei corpi
sociali vuol essere profondamente considerata, essendo che per essa ci sia dato
di comprendere il passato, regolarci nel presente e congetturare il futuro,
rimovendo dagli atti degli individui e delle civili e politiche aggregazioni
quell'ebete empirismo, al quale le razze selvaggie debbono le stasi secolari
delle loro intelligenze e dei loro costumi. Questa legge è quella che si erge
vittoriosa di fronte al dogma autoritario che considera i primi organamenti
sociali come soli ortodossi, ed i successivi e bilaterali come deplorabili
sviamenti della ragione e ribellioni passionate e subbiettive che non hanno né
possono avere radice in nessun principio, in nessuna legge.
Tutto ciò che è prodotto della
ragione umana è naturale; epperò è logico; potrà zoppicare davanti ad un dato
principio, e non collegarsi perfettamente con un dato sistema, ma è sempre
logico nei suoi rapporti cogli accidenti che lo hanno promosso, determinato e
compiuto. Ogni civiltà ed ogni forma di civiltà, per quanto disparata dalle
altre, si ripete da cause, è accompagnata da circostanze, è seguita da effetti
tutti logici e naturali, tutti proporzionali e determinati. Quindi
l'inanellarsi delle idee a sistema ed il coordinarsi dei fatti sotto la
disciplina delle idee sintetizzate fino alla formola, donde il carattere vario
dei tempi e la complessa armonia d'ogni periodo storico.
Cercandosi l'azione di questa
legge nello stesso sviluppo storico della questione dell'emancipazione, ci sarà
agevole rilevare come questa tesi, imparentata piú che ogni altra con
molteplici e varii interessi, epperò piú che ogni altra tardigrada, venisse
all'ordine del giorno per la legge d'analogia. Combattuta piú che ogni altra,
per le molte radicate convenzioni alle quali minaccia rovina; creduta piú
d'ogni altra utopistica, perché naturale indolenza degli spiriti vede
impossibilità là dove è molta difficoltà; soggiacente piú d'ogni altra
all'umorismo, perché la sua soluzione suppone un complesso di elementi
tutt'affatto diversi da quelli che abbiamo visto funzionare fino ad oggi, ed un
centro di gravità nell'edificio sociale altro da quello che vediamo oggi ancora
a base d'ogni convenzione; non ha potuto tuttavia resistere alla legge
imperativa dell'ordine razionale, ed è venuta a porsi sul tappeto verde
naturalmente, necessariamente. Essa è venuta perché dovea venire, e sta perché
la logica lo vuole.
Ecco perché la coalizione degli
elementi aristocratici ed autoritarii cogli elementi pseudodemocratici che la
combatterono con tutte le armi, generose ed ingenerose, dal suo primo apparire
sotto la forma dottrinaria del neoplatonismo, non hanno potuto impedire che,
attraverso a tutte le vaghe e barocche parvenze che andò mano mano assumendo
nelle sue diverse fasi, e per la imperfetta determinazione e per le subbiettive
deficienze dei suoi apostoli, non giungesse ad invadere l'ordine pratico, e
definirsi nelle sue varie determinazioni come questione civile, sociale,
politica, economica, umanitaria, ed in ciascuno di questi aspetti inanellarsi
saldamente a tutte le questioni che preoccupano la età moderna...
... Avvertita la legittimità di
un principio, la coscienza che ha per naturale obbiettivo il vero ed il giusto,
vi si conforma con irresistibile necessità e sotto l'impulso prepotente della
legge d'analogia lo applica a tutti i casi identici. L'ora della redenzione
della donna era quindi suonata. I precedenti conati che surti in forma
subbiettiva erano sembrati rivolte appassionate contro il principio
legislatore, davano luogo ad una azione che si subordinava consapevolmente ad
un principio riconosciuto ed affermato. Cosí, come l'ordinamento primitivo, che
era la spontanea esplicazione della forza, avea dovuto cedere il posto
all'ordinamento fatto dal principio autoritario, interprete delle tradizioni,
cosí questo, che immobilizzava l'uomo e gli faceva obbligo di starsene inerte
al posto in cui si era dapprincipio trovato, dovette cedere il luogo alla
coscienza che svolgendo, rinnovando e migliorando se stessa, tutto svolge
intorno a sé, migliora e rinnova.
L'ordine pratico, informato dal
nuovo pensiero, va riformando le istituzioni e distribuendo piú equamente la
cerchia delle attività individuali. La privata autonomia si va sviluppando,
come gracile arbusto a cui manchi la stecca che lo appoggia insieme e lo
costringe, si va ritemprando e dilatando sotto le benefiche emanazioni
dell'aria e della luce, ed invadendo colle radici il terreno che il despota
protettore gli contendeva.
Col terzo stato è surta un'era
nuova. La scienza, la politica, la letteratura, le arti, l'educazione cercano
nuove basi, nuovi punti d'appoggio e procedono a nuova meta. Ogni individuo,
non piú protetto ed insieme costretto dalle antiche convenzioni, deve
espandersi, affermarsi, provvedersi. Il parassitismo, naturale corollario della
tutela e della servitú, non può in questo moderno organamento sussistere che
come disposizione fenomenale, transitoria, parziale, e non può applicarsi
siccome regola che per un deplorabile anacronismo. È d'uopo che ogni ente abbia
una sfera d'azione ed attinga dalla sua propria attività le ragioni ed i mezzi
della sua esistenza. Da un secolo gli elementi sociali si dibattono contro i
residui dell'antico ordinamento per coordinare tutto l'ordine pratico attorno a
questo principio. Come non applicarlo alla massa femminile, tutta piú o meno
avviluppata nell'antico parassitismo e nell'antica servitú? Non potendo quindi
come istituzione perdurare se informato da un principio che ha cessato di
disciplinare l'ordine pratico, è ovvio che la tesi della emancipazione della
donna deve svolgere tutte le sue fasi e giungere a soluzione, non potendosi
staccare da tutte le altre questioni che preoccupano nel nostro secolo il corpo
sociale, delle quali tutte non ve n'ha una, nella quale la questione della
donna non si affacci sotto uno dei suoi molteplici aspetti.
Nell'organamento domestico la
donna rappresenta il parassitismo e la servitú. L'autorità materna è la
virtualità senz'atto. La condizione della sposa è la servitú sotto l'insegna
dell'eguaglianza. Davanti al diritto di proprietà è minore; l'anormalità è per
lei normalità. Fuori della famiglia ella ha una esistenza fortuita, miserabile
o indecorosa nella gran maggiorità dei casi. La questione del proletariato
contempla una parte degli uomini e la massa delle donne. La questione
della produzione è per l'uomo una questione tecnica, scientifica, economica. Si
tratta per l'uomo di produrre il piú possibile col minor dispendio di tempo,
d'opera e d'istrumenti. Per la donna è piú radicale; si tratta di poter
produrre. La questione dell'igiene pubblica per l'uomo è una questione di
burocrazia e di vizio; un po' d'impiegati che vivono sulla sorveglianza e sulla
percezione delle tasse, l'incomodo delle contumacie pei bastimenti, il
sostentamento dei sifilicomii per parte dello Stato; per la donna è la
prostituzione, è la questione di poter vivere senza ammalarsi e senza
ammalare...
... Ecco tutte le ragioni per
cui la questione della emancipazione della donna non può staccarsi da tutte le
questioni sociali che preoccupano gli scrittori ed i pensatori dei nostri
tempi. Essa vi è anzi perfettamente ingranata come parte, e come massima parte
di un tutto. Può disprezzarla chi mira ad un fine accessorio e parziale, vale a
dire chi tiene sé stesso in grande stima non per altro se non perché, potendosi
il poco ottenere piú facilmente del molto, i suoi piccoli successi lo
persuadono della sua molta veggenza. Ma chi ama d'amor non finto l'umanità, chi
non fa della professione di fede democratica una vaporosa ed infeconda
declamazione deve, accettato il principio, riconoscerlo in tutte le sue
applicazioni e, pur piegando alle imperative necessità dell'ordine pratico,
operare assiduamente onde subordinarlo al principio.
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