Nel 1890, la Mozzoni tenne a Bologna
una conferenza, da cui è tratto lo scritto seguente, per conto di un «Comitato
di propaganda per i diritti della donna», di orientamento radicale. È dedicato
soprattutto alla storia del rapporto tra la campagna di emancipazione femminile
e le vicende politiche italiane del tempo, viste ovviamente dall'interno
dell'opposizione filosocialista alla Sinistra al potere.
Signore e Signori,
Noi tutti ricordiamo che la
salita della Sinistra al potere fu salutata come l'alba della riparazione.
Il programma che essa deponeva
sul banco dei ministri, se non era l'incarnazione dell'ideale più avanzato,
apriva però i cuori alle più larghe speranze - e l'on. Cairoli, specchio
incontaminato di probità e di patriottismo, dando al Gabinetto il suo nome
onesto e glorioso, era guarentigia agli italiani che le loro speranze sarebbero
state colmate.
Nel discorso inaugurale della
nuova Amministrazione, Egli aveva detto che i progetti di legge ch'Egli
s'impegnava di presentare alla Camera allo scopo di promuovere le larghe
riforme che il paese desiderava, dovevano sostituire la realtà laddove non
v'era che la cruda presunzione legale.
Le moltitudini accolsero con
tali entusiasmi questi sprazzi di luce che il nuovo Governo fu quasi sgomento
del proprio successo e sbigottito della sua immensa popolarità, dacché
travedeva al disopra di sé il potere irresponsabile che proiettava la sua ombra
poderosa sulle liete speranze del popolo.
Questa imbarazzante situazione
consigliava anche gli impazienti a starsene cheti nell'aspettazione benevola,
anziché incalzare con fretta, inconsulta e poco pietosa il Ministero.
L'aspettazione benevola fu
lunganime, e nel 1878 le verdi speranze non erano ancora sfrondate: ma la
democrazia cominciava a sentire il bisogno di premurare il Governo con ripetute
manifestazioni in tutti i centri della penisola, si riuniva a solenne Comizio
in Roma dove affermava al cospetto dei poteri sovrani il diritto dei cittadini,
non solo, ma alla distanza di circa un secolo dalla proclamazione dei diritti
dell'uomo ne ripeteva la solenne affermazione, e la piú esplicita, piú
cosciente, più intera.
Ora, se ricordate la promessa
del primo Ministero di sinistra, il quale si impegnava a costituire la realtà
laddove non v'era che la nuda presunzione legale, e la ponete a fianco al voto
del Comizio dei Comizii, voi constatate che quelle affermazioni della
democrazia giunta al potere, per parte del capo del Governo da una parte, e di
tutti i suoi rappresentanti dall'altra, le costituivano un solenne impegno
d'onore verso la metà della Nazione.
Voi sarete egualmente convinti
al par di me che le donne erano in diritto di aspettare il compimento di quelle
solenni promesse e che oggi dopo 14 anni dal discorso Cairoli e 12 anni dal
voto del Comizio dei Comizii è pur d'uopo ricercare le cause di quel completo
oblio a dare opera acché quell'oblio sia riparato.
La condizione delle donne, e non
in Italia soltanto, è un fatto isolato nella nostra organizzazione sociale e il
disaccordo fra questo fatto e i criterii che informano gli ordinamenti
scientifici, politici, giuridici, fra tutto l'insieme della nostra civiltà, va
accentuandosi ogni giorno piú fino a divenire, non solo sofistico e
irrazionale, ma ben anco violento nella vita pratica.
Quando la servitù femminile si
venne affermando nella società primitiva, la superiorità della forza ed il
concetto della legittimità del diritto di forza era, non solo accettato, ma per
dippiú invocato...
... Ove si discorrano con lo
sguardo rapido le grandi modificazioni subite dalle condizioni della donna,
transitando la civiltà dall'Oriente all'Occidente, dal paganesimo al
cristianesimo e dal feudalismo all'ordine presente, v'è di che stupire come
abbiasi potuto ripetere da un principio primo e indiscutibile, un fatto che
venne sempre modificandosi e tarpando man mano le ali al principio e lottando
con esso, e questa lotta spiegarsi piú energica ed efficace quando e dove
l'uomo piega a civiltà, più debole e nulla laddove precipita o giace nella
barbarie.
Questo fatto del continuo
migliorare delle condizioni della donna prova, meglio che qualsiasi sforzo
dialettico, che la cosí detta missione della donna (frase abusata, con la quale
s'intende dire che le facoltà generali della natura umana lottano in lei con lo
speciale lavoro del quale la natura stessa l'ha incaricata) costituisce un
equivoco dal quale è d'uopo uscire, equivoco scientifico e sociale.
La condizione sociale e civile
delle donne ormeggia il passo complesso della civiltà, questo lo accordate
tutti: dunque ha attinenze con l'indirizzo generale del pensiero, col
tramutarsi degli ordinamenti civili, col raffinarsi dei costumi, col concitarsi
dell'attività generale, col fugarsi dei pregiudizii, col progressivo
accertamento delle cognizioni.
Infatti, la questione della
riforma delle condizioni femminili in mezzo alle declamazioni, agli stupori,
agli scandali, all'umorismo parlamentare ed extraparlamentare, procede
trionfante e, come il vento montano spazza le nubi, cosí, essa disperde
mostrandosi le obiezioni che le si parano davanti.
Fu considerata un delirio, essa
rispose ragionando. Fu combattuta col dogma religioso, ed essa ha risposto con
la teoria del libero esame, e rinfacciando alla scienza la ribellione alla
scolastica. Fu assalita con gli a priori scientifici ed essa additò al secolo
l'indirizzo sperimentale e gridò con esso, abbasso alle ipotesi. Le fu
scagliata addosso tutta la statistica, ed essa si armò del razionalismo. Le fu
imposto silenzio in nome della natura, ed essa ha risposto con perfetto buon
senso: prendete lezioni dalla natura e non pretendete dargliene; lasciate alla
natura la libertà delle sue manifestazioni eppoi studiate queste manifestazioni
e concludete. Le furono rinfacciate le liberalità già ricevute; ed essa ha
mostrato l'operaio, il negro e il contadino che hanno ottenuto più in un giorno
che essa nel corso dei secoli. L'uomo difende contro di essa il suo diritto
divino, ed essa gli chiede, sorridendo, che cosa ne abbia fatto del diritto
divino dei re. L'avvocato ed il prete armati della doppia tradizione la
inseguono senza posa, ed essa si difende consegnando ai musei della dotta
antichità i miti dell'uno e facendo vergogna all'altro che, discepolo
primogenito della filosofia moderna, oratore instancabile di diritti e di
libertà, pubblicista inesauribile, mitingaio ardente, diguazzando come pesce in
acqua nel mare magno delle teorie democratiche, vada poi, per conto della
donna, a disseppellire le fossili tradizioni pagane e feudali, pretendendo
ch'essa s'accontenti dei vivaci colori del ristauro.
No, o Signori, non ce ne accontentiamo.
Voi avete fatto una gran corsa
in questo secolo, ma noi vi abbiamo ormeggiato davvicino e vi invitiamo a non
contenderci il passo.
Né crediate che pari alle
antiche amazzoni che si denudavano i petti quando mancava loro la forza del
braccio, andiamo a fare appello ad altri elementi fuorché i razionali. Oh no!
Se la nostra ragione è adulta, la vostra è senile. Voi siete altri dai vostri
padri che ponevano le donne sulle Cattedre e nelle Accademie e facevano loro il
posto ovunque con le volute qualità le cercassero. Lo spirito tecnico ha dato
un altro indirizzo alle vostre idee ed ai vostri sentimenti, e con le idee
mutano le forme e non v'è nulla da rivederci.
Noi dal canto nostro, divezzate
dall'essere adulate e costrette anzi a reagire contro le multiformi accuse di
codardia, d'inferiorità intellettuale, di mancanza di senso giuridico, di
incapacità in una grande quantità di cose, siamo rientrate in noi stesse,
abbiamo esaminato i nostri pregi ed i nostri difetti e ci siamo permesse di
esaminarvi anche voi, spogli del diritto divino, che è scaduto affatto nella
nostra opinione ed abbiamo trovato che la nostra ragione procede al par della
vostra con la forma sillogistica; che i problemi che travagliano la vostra
coscienza, sono gli stessi che turbano la nostra; che la libertà che voi amate,
l'amiamo anche noi; che i mezzi coi quali voi conquistaste la vostra, furono
indicati dagli stessi principii che debbono rivendicare la nostra; che se lo
sviluppo delle facoltà comuni agli esseri umani aiutano e promuovono tutte le
singole missioni speciali degli individui, attesoché tutte si fondano
sull'impiego delle facoltà razionali, morali e fisiche, e procedono ad uno
scopo egualmente complesso, lo sviluppo di quelle facoltà comuni a tutti gli
esseri umani non combattono, non inceppano e non guastano nulla neppure nella
missione nostra, non solo in faccia alla società, nella quale non siamo che
individui come voi, ma anche in faccia alla specie dove il compito nostro è
diverso.
Cosí agguerrite nel campo teoretico
noi vi abbiamo presentato battaglia e ci siamo azzuffate di santa ragione e
(davanti ai nomi gloriosi della Sand, della d'Héricourt, di Zoè de Gaumond, di
Clarissa Badar, di Maria Desraismes, di miss Butler, della Dhom, di Dora
d'Istria, di Malvina Frank e di cento altre in tutti i paesi civili), dovete
convenirne, con una dottrina, uno slancio ed un valore che non sempre vi
aspettavate, sicché, vedendo che i petti delle amazzoni non si denudavano avete
rinunciato ad ogni velleità cavalleresca. Gli ingegni mediocri non trovando
argomenti ci scagliarono ingiurie e ci rinviarono al fuso, onde dissimularci
l'imperizia delle loro penne, la fiacchezza delle loro armi e la inconseguenza
delle loro opinioni; ma molti cui la passione del dispotismo non fa velo alla
ragione, cominciarono sul serio a mettere in dubbio la nostra inferiorità senza
crederla troppo, e le donne ben temprate che una volta si guardavano come
fenomeni e mostruosità, sono oggi una imponente minoranza.
Molti di Voi e dei migliori
passarono nel nostro campo con armi e bagaglio, sicché il Büchner ad esempio,
capoccia di quella scuola materialista che dal peso e dalla misura del cervello
inferí la nostra inferiorità intellettuale, dopo qualche tempo di soggiorno in
America scrisse che la superiorità intellettuale della donna in quella parte di
mondo è incontestabile.
Ottenuta la ricognizione della
nostra capacità sul terreno teoretico, ci si contende tuttavia di impiegarla
utilmente per noi stesse nel terreno pratico.
Nella famiglia, nella città,
nello Stato si pretende persuaderci che l'esercizio del nostro diritto sia in
collisione con l'altrui o nuoca alla società ed a noi stesse.
Non posso a meno di riscontrare
una analogia fra il nostro caso e quello delle nazioni d'Occidente quando volevano
strappare ai poteri dispotici l'abdicazione in favore della sovranità popolare
e questi respingevano la domanda, dichiarandola incompatibile coi diritti
antichissimi della Corona. Ma fare appello all'antichità nelle cose umane è
follia, perché la vecchiaia appunto perché tale è condannata a morire, quindi
l'abdicazione fu fatta ed oggi popoli e re hanno trovato un nuovo equilibrio.
Lo Stato era, nell'antichità
pagana, una aggregazione di famiglie, e la legge d'armonia volendo la
concordanza del tutto e delle parti, erigeva la famiglia sul tipo aristocratico
e monarchico. Il volere del capo di famiglia era legge e ragione, freno e
motore, principio e fine dell'attività famigliare, tal quale, come il volere
del capo dello Stato, era legge inappellabile in quella società che non aveva
ancora escogitata l'umana personalità.
Lo Stato moderno invece, basato
sulla affermazione di questa personalità, è una aggregazione di individui e
perché il concetto dello Stato si discosti viemmeglio dal concetto della
famiglia, gli si sono levate parecchie attribuzioni che rilevavano da quel
concetto per piegarlo sempre piú a quello di semplice amministrazione.
Lo Stato ha quindi declinato a
mo' d'esempio, ogni responsabilità sulla confessione religiosa dei cittadini ed
i loro voti monastici. Poco gli preme che si erigano e si conservino delle
dinastie nobiliari, né che le sostanze avite rimangano infeudate nelle
rispettive famiglie, com'era una volta statuito per la gelosa conservazione
della casta...
... In che cosa dunque risponde
a questo Stato una famiglia nella quale il capo investito di poteri dispotici,
fa e disfà, vuole e disvuole, autorizza, amministra, dilapida e finalmente si
assenta declinando tutti i suoi doveri e conservando tutti i suoi diritti, e
riunendo in sé in connubio mostruoso il potere assoluto e la irresponsabilità?
Come mai un codice moderno ha
potuto erigere in diritto tanta strapotenza, accostando due termini tanto
incompatibili davanti alla ragione, senza che la coscienza del legislatore
occidentale gli si rivoltasse nel petto?
Come non ha posto mente che
dando così un essere umano in balia di un altro e per tutta la vita, egli
bestemmiava tutta la moderna società?
Eppure, o Signori, il
legislatore non sembrò avvedersi o per lo meno non fu sgomento dall'affermazione
di un diritto cosí enorme. Malgrado l'abuso d'ogni cosa cui l'uomo è fatalmente
inchinato, egli confidò nella natura dalla quale soltanto la società coniugale
è cementata. Certo reputerebbe impossibile vincolare in simili rapporti due uomini,
ma un uomo ed una donna possono andare e, fino ad un certo punto, vanno.
Ebbene questo fatto gli dà
torto. Non la legge, non la forza del diritto del quale investe una parte e che
deprime nell'altra, conserva la società coniugale, malgrado gli sforzi fatti
dal legislatore per renderla odiosa, ma la natura. Tutta la prudenza e
previdenza della legge è in pura perdita, è molto chiasso per nulla. Che se le
disposizioni del codice (che per fortuna i coniugi non consultano che in tempo
di guerra) menassero a conseguenze, la sola logica conseguenza sarebbe questa:
l'inasprimento dell'anima nella parte depressa e l'abuso del potere della parte
prevalente.
Dove la natura ha posto il
cemento, l'edificio si regge, dove non l'ha posto l'edificio crolla e i
tribunali si affaccendano a firmare sentenze di separazione.
La natura ha posto
nell'organizzare la famiglia tutto lo studio che voi avete posto
nell'organizzare lo Stato. Non v'è nulla da metterci; la legge non deve stare
che a guardia dell'abuso.
Voi avete immaginato una
aristocrazia con alla testa una corona irresponsabile ed una democrazia
rappresentata da due elementi, il giovine che promuove, il vecchio che frena,
l'elemento che pensa, discute, delibera ed il potere che eseguisce. È un
congegno, insomma, composto di differenze e di equivalenze che equilibrandosi
costituiscono un insieme più o meno omogeneo. Nella società coniugale la natura
non ha adoperato altrimenti, ma il suo lavoro è di tale efficacia che tutte le
vostre convenzioni non possono dirla con essa quand'ella si mette a non essere
dalla vostra.
Voi dichiarate, ad esempio, che
il marito è capo della famiglia perché ha la capacità. Ora la natura alle volte
non la intende come Voi e gli ha negato questa capacità, ed il diritto che gli
accordaste su una cruda presunzione non può trovare esplicazione nel fatto.
Egli è obbligato a capitolare e la moglie, alla quale negate questa capacità,
deve esercitarla per lui.
La natura ha visto prima di Voi
il bisogno d'equilibrio, di distribuzione, di differenza e di equivalenza ed ha
provvisto a tutto. Soltanto essa non ha opinato con Voi sulla opportunità che,
moralmente parlando, gli elementi attivi ed espansivi siano sempre da una parte
e gli elementi negativi e passivi siano sempre dall'altra. Essa non è imbarazzata
che la donna sia talora piú intelligente, piú volontaria e più pratica
dell'uomo, e che l'attività interna della famiglia sia determinata dall'uno
anziché dall'altro. Questo non le porterà nessun disturbo; i fini ch'essa si
propone saranno sempre raggiunti - e la paura ch'essa non ha dell'attività
morale, intellettuale e materiale della donna, perché l'avrete voi? Qual
maggior diritto di lei avete per aver paura? Avreste sopra di noi delle vedute
diverse dalle sue?
Maometto, che destinava le donne
all'harem in questo mondo, e non dava loro nessuna speranza per l'altro, non
poteva immaginare nulla di meglio per le donne che farne dono completo agli
uomini, chiudendo ben bene le loro menti alla piú lontana nozione di diritto,
alla libera espansione. Ma Voi che fate appello alla nostra missione naturale,
onde persuaderci a star zitte, sapreste Voi dirci per qual ragione la natura ha
posto in noi queste facoltà espansive, o sapreste convincerci che ha fatto una
contraddizione ed una assurdità? Sareste da tanto da provarci che la donna si
snatura quando impiega la sua attività con lo scopo razionale di ogni attività,
l'utile, e dimostrarcelo non già con della lirica e dei fervorini, ma col senso
pratico e comune?
Non sarebbe dunque la legge piú
conseguente all'indirizzo generale del pensiero moderno, se, smettendo la
vecchia mania delle presunzioni e degli a priori, non decretasse piú le
capacità e le incapacità ma facesse grazia di supporre la razionalità a tutti i
cittadini, uomini e donne, fino a prova in contrario?
E non si conformerebbe meglio
alla teoria dello Stato il legislatore, laddove considerando che la sola natura
è la motrice e conservatrice della società coniugale ed affidandosi agli
elementi simpatici ed equivalenti da essa cementati dichiarasse dover essa
svolgersi liberamente nel suo interno e rappresentarsi da entrambi i coniugi
nella città e nello Stato, o dall'uno dei due indifferentemente purché produca
il consenso dell'altro?
Quale pratica impossibilità si
vedrebbe nell'esercizio della patria potestà per parte d'entrambi i genitori,
dacché la natura ha disposto perché l'autorità loro sia diversamente
manifestata da essi e diversamente sentita dai figli, stando qui, come
dovunque, la legge a semplice guardia dell'abuso?
E qual tarda ma urgente
giustizia farebbe il legislatore se, non dimenticando ad ogni terzo momento che
il diritto senza dovere è tirannia, rivedesse un po' le buccie a quel diritto
di assenza del marito, forte del quale, egli abbandona la moglie e i figli alla
provvidenza, disertando bravamente tutti i suoi doveri, e torna poi quando gli
pare, non sempre coperto di gloria come Ulisse, ma con la pretesa però di
trovar sempre una Penelope?!
Le condizioni della donna nella
città non abbisognano meno di revisione. La responsabilità stà al diritto come
lo spirito alla materia, e dal difetto di corrispondenza fra la responsabilità
ed il diritto, uscirono tutte le violenze che hanno funestato la storia umana.
E la storia del dispotismo e della schiavitú, è quella del privilegio e delle
esclusioni, della tirannia e delle oppressioni. Noi, uscite dalla rivoluzione
filosofica, abbiamo talmente respirato con l'aria questa dottrina, che la
disproporzione fra questi due termini stimiamo sofisma in dottrina e barbarie
nel fatto.
Se alla luce di questi principii
guardo alle condizioni della donna nella famiglia, nella città e nello Stato
non so piú se l'89 è fatto, o se è da fare. Il Codice Penale non vede nessuna
logica necessità di convenire le incapacità presunte dal Codice Civile. Sono
due parallele che corrono in perfetta indipendenza l'una dall'altra. Anzi,
nell'adulterio la responsabilità della parte debole, incapace, passiva, pupilla
ed imbecille, è gravissima e maggiore.
Come! la responsabilità e
l'imbecillità possono incontrarsi nello stesso soggetto? l'applicazione della
penalità potrà farsi senza un'assurda barbarie sopra un pupillo perpetuo ed
incapace?
Ma, risponde la legge con una
innocenza invidiabile, l'adulterio della donna minaccia d'introdurre un
elemento straniero nelle famiglie. Ma e l'adulterio dell'uomo, o Signori,
minaccia esso tutt'altra cosa?
La legge dichiara la donna
incapace di tutela in genere - la stima però incriminabile per la spinta alla
corruzione.
La considera inetta ad assumere
una procura, ma imputabile per abuso di fiducia.
La reputa incapace di esercitare
la patria potestà vivente il marito e nella famiglia composta nella normale
careggiata, ma la incarica dell'esercizio esclusivo della patria potestà nella
figliazione naturale, dove questo esercizio è intralciato. Che piú? Vieta la
ricerca della paternità per sollevare la madre della responsabilità che il
padre deve dividere con lei: l'ammette quando si tratta di privare il figlio e
la madre adulterina del concorso del suo corresponsabile al peso comune. Sicché
l'uomo, investito di tutte le capacità e di tutti i diritti, non ha doveri se
non in quanto ha l'onestà di riconoscersene, dacché marito e padre legittimo li
può declinare tutti con l'assenza: padre naturale e seduttore col divieto della
ricerca della paternità.
L'antica Roma gridava «guai ai
vinti!», oggi si deve ancora ripetere «guai ai deboli!»...
... Se poi aggiungete che,
delinquente, la si avviluppa in una veste giuridica lunga e larga quanto quella
degli altri cittadini e le si scatena contro l'uggiosa eloquenza del
procuratore della legge, accanito a provare la sua capacità come il Codice
Civile a decretare la sua incapacità, ed in questa forma impossibile la si pone
davanti ad un tribunale composto di esseri diversi da lei e che però non esito
a dichiarare incompetenti, avete quasi completato il quadro delle condizioni
nelle quali versano le cittadine della libera Italia.
E ho detto, quasi, e non a caso,
poiché se rivolgo lo sguardo a quella moltitudine di donne che, vittime di incomparabili
sofismi sociali e di oltraggiose ed ingiuste esclusioni, è ridotta a vivere di
vizii che non avrebbe e di passioni che non divide, allora poi il cuore si
solleva e l'ironia muore sul labbro. La vergogna di un simile organamento, che
diffonde il vizio alle spalle della miseria, è ributtante.
Taglio corto su molti altri
punti sui quali ci è d'uopo invocare l'attenzione del legislatore onde non
dilungarmi troppo dalla meta e perché quanto ho detto di volo convincerà i piú
sonnolenti ottimisti che le donne hanno bisogni, soffrono ingiustizie, sono
lese negli interessi piú vitali, e che nessuno le rappresenta davanti alla
legge per speciale mandato, e questa dorme fra due guanciali credendo che,
poiché non si parla, tutto cammini pel meglio.
No, vogliamo che ci si dia retta
e siamo divenute esigenti.
I vostri inni e le vostre odi
non ci divagano piú. Avete finito di menare il can per l'aia chiamandoci
«angioli del focolare e regine della famiglia». Tutta questa lirica da scuola
romantica che per conto vostro avete buttato nei ferravecchi e che venite
ripulendo per conto nostro, si risolve a fatti in un vero musulmanismo con
frasario cristiano. Voi non siete piú poeti generalmente, ed i pochi che
rimangono drappeggiati nella toga senatoria dando la destra al collega
banchiere e la sinistra al collega industriale, cantano all'unisono con questi:
«La sventura
non è bella
E glorioso il duol non è.»
Non troverete dunque
irragionevole che anche noi, facendo tesoro delle lezioni che ci date in versi
ed in prosa, domandiamo quelle guarentigie che avete creduto necessarie per voi
medesimi.
Voi trovate intollerabile di non
poter essere Sindaci a 25 anni, noi troviamo insopportabile di essere pupille a
90.
Voi volete pagar meno, noi
vogliamo sapere almeno perché paghiamo tanto.
Voi volete che ogni cittadino
non imbecille sia elettore, e noi vogliamo si riconosca che vi sono delle donne
non imbecilli.
Voi avete protestato contro la
pena di morte e noi vi ci associammo di gran cuore, ma vorremmo prendeste in
considerazione il termine correlativo e si provvedesse la famiglia ed il pane a
tutti gli uomini che nascono.
Si è voluto che la moglie
mantenga il marito quando non ha nulla, ma noi vogliamo controllare un po' le
sue spese quando ha qualche cosa.
Ci bisogna allevare i figli con
dispendio di tempo, cure, voglie e salute? Ben volentieri. Ma vogliamo anche
che la legge ci faccia rispettare da questi uomini dei quali siamo le prime
benefattrici, e che la legge non venga loro a dire ad ogni pagina «vostra madre
è imbecille».
Voi vagheggiate la riforma dello
Statuto, il decentramento, le autonomie locali, la massima libertà individuale,
il minor governo possibile in ogni cosa, noi ci accontentiamo di uscire dal
governo dispotico.
Voi, Signori, fate le leggi per
noi, e noi non siamo consultate: ci confezionate in ogni maniera di salse e non
ci domandate nemmeno per forma se non ce ne stiamo a disagio. Molti di voi
tranquillamente desiderosi del bene e disposti a farlo senza troppo calore,
dicono che le donne oggi stanno come santi nella nicchia, che hanno ottenuto
molto, che di piú veramente non si poteva e non si saprebbe fare per loro, e
molte altre frasi da gente contenta e che vorrebbe che altri s'accontentasse.
Mi duole davvero gettare delle
nubi su quei rosei cuori, ma non siamo contente affatto e per non obbligare i
nostri futuri legislatori a fare un lungo studio intorno ai nostri bisogni
nell'ordine famigliare, e sociale, chiediamo loro che una sola cosa venga da
loro accettata come sacro impegno d'onore, di propugnare non solo, ma insistere
fino alla fine pel nostro voto politico e amministrativo.
Ottenuto questo, verranno essi
medesimi ad informarsi dei nostri bisogni e non crederanno di perdere il loro
tempo.
Ma qui mi vedo assalita da un
nembo di ma, di se, di forse, ai quali tutti darò udienza e risposta.
Il diritto politico e
amministrativo fu, in tesi astratta, riconosciuto alla donna in tutti i paesi
civili. Cittadina e contribuente nella città, nella provincia, nello Stato, investita
di una condizione giuridica, sottoposta alla sanzione penale, non v'è giurista
cosí musulmano da non capire come ad un tal ente giuridico era impossibile
negare teoricamente il diritto. Ma quando poi si tenne all'esplicazione pratica
di questo diritto, quegli stessi uomini che seguendo il nesso logico delle idee
avevano tutto concesso, bloccati in massa dal pregiudizio, tutto negarono. Né
pensarono a distinguere fra essi, e ad esaminare se quelle forme nelle quali si
presentava la donna investita del diritto ripugnassero veramente alla natura
intima delle cose, o se li smarrissero semplicemente perché nuove.
Poiché è pur forza convenirne, o
Signori, mentre la civiltà importa una assidua trasformazione delle idee e
delle cose, ogni novità ci si affaccia sempre come un'assurdità, e non è che il
successivo lavoro di riflessione e di esperimento che ne liscia ai nostri occhi
i contorni e ce la fa apparire successivamente possibile, ragionevole,
naturale, e piú tardi necessaria, indiscutibile.
Cosí è accaduto delle
istituzioni che volta a volta la scienza, l'arte, l'industria, la filosofia, la
politica, la varia vicenda delle cose, ha introdotto nel mondo e cosí è
accaduto del voto della donna in altri paesi a quest'ora stessa, e cosí fra
noi. Non è che per affrettare l'affermazione del principio, nel quale ho fede
inconcussa, che io vi invito a fare con me questo lavoro di riflessione che vi
dimestichi con una novità che non ha altro torto che d'essere tale, restando in
pace profonda con la natura.
Le obbiezioni che si sollevano
contro il voto delle donne sono queste:
1. Le cure della famiglia.
2. La loro ripugnanza agli
affari e a tutto quello che sa di pubblicità.
3. La loro poca intelligenza
politica.
4. La loro ignoranza delle
questioni sociali.
5. La influenza dei padri, dei
mariti, dei figli e degli amanti, per cui verrebbero oziosamente moltiplicati i
voti senza aumento nella somma delle intelligenze e delle volontà.
6. L'influenza clericale,
donde la possibilità di una reazione.
7. La inopportunità di questa
innovazione.
8. Quando a tutto questo avrò
aggiunto che le donne se ne stanno chete in Italia, e che, degeneri della prima
madre non appetiscono ancora il frutto della scienza del bene e del male, io
crederò di aver passato in leale rassegna tutto quello che si può dire contro
la mia tesi, ricordandovi in pari tempo che in queste obbiezioni che vi ho
numerate si comprendono tutti gli argomenti coi quali l'attuale Ministro di
Grazia e Giustizia nella sua relazione motivata della presente legge elettorale
non giustifica certo, ma spiega l'ostracismo incoerente che il Governo di
sinistra ha inflitto alla donna.
Incomincio dunque dalla prima.
La donna è fatta per la famiglia, e la sua natura l'allontana dagli affari e
dalla pubblicità.
Se un turco mi dicesse: «le
donne sono fatte per l'harem e per questo le teniamo rinchiuse», capirei che
quello che domando è incompatibile col loro stato sociale, e che troppe cose
sono da sconvolgere prima di arrivare fin là. Ma in Occidente, Signori miei, le
donne ingombrano le vie e le piazze, affollano gli alberghi e i luoghi di
ristoro e di ritrovo, si stipano nei convogli ferroviari, s'incontrano
viaggiatrici a tutti i gradi accessibili di latitudine come touristes,
per affari commerciali, sotto la varia divisa degli ordini religiosi,
pubblicano libri e giornali, esercitano in pubblico industrie e commerci,
adornano con le nude bellezze e le trasparenti eleganze tutti i convegni,
studiano nei ginnasi, licei ed università, primeggiano sulla scena in tutto il
mondo; e quindi mi è lecito concludere che se cotali usi e costumi, che nessuno
stima sconvenir loro, non sono accusati distrarle dalle famiglie, l'esercizio
del voto elettorale le distrarrà infinitamente meno; e me ne appello ai piú
affaccendati affaristi, se la loro qualità di elettori fu mai un sovraccarico
intollerabile di occupazione ed un dispendio cosí oneroso di tempo per cui il
minimo dei loro affari ne abbia sofferto.
È questa dunque una delle
obbiezioni la cui imponenza sta tutta nella sonorità della frase non avendo in
concreto nessuna entità...
... Ma io voglio essere
larghissima coi miei avversari perché so che gl'istinti autoritari sono cosí
fatti, che esigono tanto di piú da coloro che piú hanno in dispregio.
Qual grado di intelligenza si
esigerà per essere elettore? Saper leggere e scrivere? Esigete dippiú, o
signori, perché io conosco bene le nostre campagne e potrebbe darsi che gli
elettori risultassero infinitamente piú scarsi delle elettrici.
Bisognerà saper far di conto? Ma
l'ultima fruttivendola sbaglia molto meno i suoi conti che certi Ministri di
Finanza.
Bisognerà saper fare degli
sproloqui in politica? saper dimostrare, che siamo una grande potenza militare,
benché andiamo sempre piú diventando una grande impotenza economica? Saper
persuadere coloro che hanno fame ch'essi hanno pranzato mirabilmente? Ma
codeste raffinatezze dialettiche sono riservate a tutta quella gente che ha
delle ragioni sue proprie per cavare i suoi ragionamenti non dalla testa ma
dalle tasche.
Bisognerà aver amato la patria?
Signori, io vi rinuncio tutta l'antichità classica e feudale. Ricordate la
storia d'Italia contemporanea. Oh, rileggetela, repubblicani antichi e nuovi,
rileggetela dal 1848 al 1870.
Qual grado d'intelligenza sarà
dunque necessario per l'esercizio del voto?
Ecco migliaia e migliaia di
donne alle quali è affidata l'istruzione del popolo. Eccone una miriade che,
nubili o vedove, maggiori secondo la legge, fanno i loro affari e vivono nella
perfetta indipendenza, godendo senza scialacquo, amministrando senza errori,
speculando senza storditaggine, facendo onore ai loro impegni, non dovendo
nulla a nessuno.
Eccone migliaia che col lavoro,
l'oculatezza, lo spirito pratico, si sono fatte un patrimonio.
Eccone altrettante che hanno
salvato i mariti ed i figli da catastrofi economiche e hanno ripiantato la casa
ed i commerci una e piú volte rovinati.
Ecco madri che, investite della
patria potestà, nell'assenza, e nell'interdizione, nella soppressione dei
diritti civili del loro marito, o nella vedovanza, con le sapienti economie,
con gli affari ben fatti riporranno a loro tempo nelle mani dei figli il
retaggio paterno in ordine ed in aumento.
Ecco mogli, e molte, che
legalmente separate dai consorti, ebbero dai tribunali un voto di fiducia ben
meritato nella consegna della prole, verso la quale hanno presentato maggiori
guarentigie di moralità, di buon ordine, di savio indirizzo educativo.
Ecco una quantità di commerci e
di industrie nelle cui vele soffia la fortuna incatenata dalla intelligenza
pratica delle donne...
... Quello che dell'ignoranza
vuol essere detto dell'inesperienza. Trasportatevi in ispirito al 1859.
Ricordate le incertezze, le confusioni, le diffidenze, le velleità, le
indeterminatezze che portaste nel primo esercizio del voto. Le antiche divisioni
dell'Italia facevano ignoti alle masse uomini e nomi. I candidati che si
presentavano a chiedervi i voti erano tutti liberali gli uni piú degli altri e
viceversa. Erano tutti patrioti provati, gloriosi avanzi delle cospirazioni,
tutta roba sfuggita ai bagni, alle fortezze e ai patiboli dei cessati governi.
Di tempo in tempo la voce di un popolano arginava la tumultuosa eloquenza degli
avvocati e dei giornalisti, e tentava di veder chiaro fra quella tempesta di
argomenti, di affermazioni, di smentite, di protesta, di programmi, di mozioni.
Il popolo se ne tornava da
quelle tumultuose adunanze con la testa grossa e con la persuasione che quegli
avvocati e quei giornalisti erano tanti Cristi e tanti profeti piovutigli dal
cielo ad annunciargli la buona novella ed il regno di Dio sulla terra; salvo
poi a mutarglisi tutti i quadri il giorno appresso, passando da un Circolo
democratico ad un Circolo liberale, dal liberale al progressista, dal
progressista al patriottico, dal patriottico all'unitario e cosí via, con una
sinonimia di concetto per cosí dire, tanto sottile e briccona da confondere,
non che la testa di un popolano, anche quella dell'Autore del dizionario dei
sinonimi.
Arrivava intanto il giorno delle
elezioni, Pubblici funzionari alti e bassi, giornalisti ed avvocati, apostoli e
candidati, tutti sotto le armi, tutti affaccendati a predicare al popolo, ad
illuminarlo, a guidarlo, ad imbeccarlo; i muri parlanti da cento affissi,
tappezzati di nomi, di programmi di promesse, di allarmi; dovunque una
confusione nervosa, concitata, convulsa, epilettica.
Il popolo ignorava i nomi, non
conosceva le persone, non sapeva la portata del suo diritto, ignorava di quali
interessi e di quante speranze fosse gravido il suo voto per coloro che glielo
cercavano lisciandolo col pelo in giú; e dava il suo voto ad un puntello dei
governi cessati credendo darlo ad un vecchio patriota, o spediva al parlamento
un affarista, credendo porre il suo mandato nelle sacre mani di un apostolo.
Tutto questo significa che non
si impara a nuotare se non gettandosi in acqua, o se preferite, secondo la
frase del nostro popolo, che il mestiere insegna. Noi dunque saremmo piú
giovani di Voi nell'esercizio del voto, ma in compenso da molti anni vi vediamo
all'opera e non sempre con molta edificazione; abbiamo sempre pagato le
imposte, abbiamo letto con le stesse vostre trepidazioni il resoconto dei
bilanci preventivi e consuntivi, abbiamo le tasche vuote al par di voi, vediamo
che vi agitate tutti per qualche cosa che non è soltanto idea e spirito, ma è
forma e corpo, ed abbiamo per soprappiù capito anche questo che i nostri
interessi saranno sempre per voi delle tesi accademiche, finché l'esercizio del
voto politico non si porrà in grado di farvene delle tesi pratiche.
Ora è tempo ch'io affronti il
terribile capitolo delle influenze. Le donne, secondo l'antico adagio
umoristico, non sono gente. Esse non sanno nulla di nulla e non hanno opinione
determinata sopra nessuna cosa: - Se le donne voteranno, lo faranno col padre,
col marito, coll'amante, con un uomo insomma, con quello che avrà saputo entrar
meglio nell'animo loro.
E voi, Signori, che cosa fate?
Voi votate la lista del giornale al quale siete abbonati, voi votate con quel
capo partito che si è imposto alla vostra venerazione, ai vostri entusiasmi;
gl'impiegati votano col capo ufficio, gli ufficiali col generale, i
sottoprefetti coi prefetti, i sindaci coi sottoprefetti, i comunisti coi
sindaci.
Vi sono poi i voti dei cittadini
illuminati non preparati dall'apostolato dei giornali e dei circoli, voti che
arieggiano gl'indipendenti, ma ahimé, sono forse sacerdoti del dio nascosto
nelle casse delle spese segrete.
E temete le influenze per le
donne? Ma ne appello ai padri che fanno allevare le loro figlie in conventi per
poi vederle brillare in ambienti profani - me ne appello ai non pochi mariti
per l'emancipazione dei quali, dal dispotismo delle rispettive metà, scriverei
volentieri un volume - ne appello al signor Proudhon scandolezzato della
ribellione che circola fra le file delle donne intelligenti contro tutte le
pressioni consacrate dai secoli, ne faccio appello a quelle donne coraggiose,
che in tutti i paesi hanno preso nobilissime e non infeconde iniziative,
lasciando che intorno a loro si declamasse, si ridesse, si calunniasse con
anima d'apostoli ed abnegazione di martiri. Che piú? ne faccio appello al fatto
che vi stà dinnanzi, o Signori; su questa donna che vi parla è passato il tempo
e l'esperienza; ma le idee e la coscienza sono incrollabili.
Ma Voi non vi date per vinti. Queste
influenze determinate dal sentimento sono mutevoli e fortunose - ma v'è una
influenza terribile, antica, che soggioga molti uomini e gran numero di donne,
non nelle opinioni soltanto che subiscono il controllo della ragione, non negli
affetti che vi si sposano, ma le afferra nell'intima coscienza, impone la fede
e vieta l'esame, le conquide coi terrori dell'avvenire, paralizza in germe ogni
forza vitale, comanda, regna e governa in nome di Dio, l'influenza del prete.
Per non sottrarmi a nessuna
delle difficoltà inerenti al mio compito, aggiungerò per conto vostro, che la
propaggine sacerdotale deve gran parte della sua forza a questo appoggio che
trova nelle donne; che duttile, elastica, cosmopolita, essa accarezza la
repubblica in America, l'imperialismo in Francia, il legittimismo in Ispagna,
l'autonomia in Ungheria, il dispotismo in Turchia, dapertutto l'elemento che
lusinga i suoi interessi e promuove la sua prosperità.
Rigida nel principio, versatile
nelle forme, assoluta nell'ordine ideale, estremamente relativa nell'ordine
pratico, essa ha capito essere la donna una specie di rete coperta che mantiene
le sue relazioni nel mondo laico, tanto piú comodamente in quanto sfugge
all'apparato delle relazioni ufficiali, e tanto piú profittevolmente in quanto
si toglie alla coercizione delle forme sociali, non lasciando documenti che
aiutino ad apprezzarne l'attività.
Egli è perciò che ovunque si
chiesero larghezze per la donna, la parte illuminata del partito clericale ben
lungi dal dar di piglio alle furibonde diatribe dei vecchi padri del
cristianesimo, l'aiutò galantemente a rialzarsi, uní la sua voce a quella dei
liberali, vantò con lei tutto quello che la Chiesa avea fatto per sottrarla all'abuso pagano
della forza e chiese libertà per lei come per tutti.
Come vedete, o Signori, io
spingo la lealtà fin dove potete desiderarla e non fuggo la battaglia sopra
nessun terreno.
Voi sapete meglio di me perché la Chiesa fece con la donna
un'amicizia cosí salda e cosí antica.
I titoli di benemerenza ch'essa
vanta verso la donna datano dal suo stesso avvenimento nel mondo, sono reali,
son grandissimi, e i legislatori lo sanno senza avere la sagacia di scongiurare
quella influenza acquistando verso la donna titoli maggiori...
... È ben vero che vi sono qua e
là oratori che dalle sacre bigoncie scagliano in capo alla donna le vecchie
invettive di S. Basilio, di Sant'Epifania, di S. Giovanni Crisostomo e di tutti
quei vecchi padri del cristianesimo, che, orientali, innanzi tutto, ripugnavano
dallo spirito democratico del cristianesimo e non potevano inghiottire le
larghezze ch'esso portava alla donna. Ma quando sento dei sacerdoti
disseppellire quei santi rancori e batterceli in faccia con una stizza che non
è, né dei tempi avvezzi a discutere ogni cosa, né dei paesi dove la libertà e
la personalità sono rispettate, né del cristianesimo che abborre da ogni
oppressione e repressione, non ne rilevo che la poca accortezza dell'oratore
che si stacca dalla parte illuminata del suo partito.
Tuttociò vi prova, o Signori,
che noi siamo fatte come voi. Amiamo ciò che ci giova.
Democratici o conservatori, non
siete guidati da un diverso criterio. Voi amate quegli ordinamenti che
rispondono ai vostri bisogni, al vostro amor proprio, ai vostri interessi nel
miglior modo possibile.
Ora questi ordinamenti, cosí
come stanno, soddisfano essi egualmente ai nostri bisogni, ai nostri interessi,
alla nostra dignità di persone e di cittadine, che contribuiamo al par di Voi
alle spese dello Stato, al decoro del paese, alla prosperità della patria? Che
cosa gli ordinamenti democratici hanno fatto per noi? Ci hanno tolto il voto
amministrativo, sicché abbiamo pagato finora le imposte comunali e provinciali
senza che siamo onorate di vederne il perché.
Ci hanno tolto, maritate, la
libera amministrazione dei nostri beni, hanno riconfermato la irresponsabilità
ai seduttori fedifraghi, ai mariti il diritto di assenza, ai padri l'esercizio
esclusivo della patria potestà, hanno ricopiato tutte le nostre pretese
incapacità, ci hanno escluse dalla parte piú onorevole e lucrativa del lavoro
sociale, ci hanno private di voto e di rappresentanza e, come incoronamento
dell'edificio, ci hanno messe a fascio nella integrità delle nostre facoltà
intellettuali e morali coi malfattori, coi deliranti e coi mentecatti.
Per me, non esito a dirlo, o
Signori, sono convinta che la mente del legislatore quando escogitava la
personalità giuridica delle donne era per lo meno afflitta da un subdelirio.
E vi lagnate dell'influenza
clericale? Perché dunque ridete, o Onorevoli, quando vi si parla delle nostre
condizioni impossibili come gente che ha orecchie e non intende?
Perché dunque, o avvocati, vi
fregate le mani e dite che il nostro codice ha segnato un gran progresso e che
non si poteva fare dippiú?
Non vedete che la morale
cristiana, che molti di Voi chiamano incadaverita e mummificata vi precede
ancora di secoli?
Pertanto volete Voi sinceramente
smagare l'influenza clericale? Riconoscete il nostro diritto al voto
amministrativo e politico. Non avete tempo, non avete gusto ad occuparvi di noi
- fatene a meno. Riconosceteci il nostro diritto al voto e basta.
Alla domane del giorno nel quale
questa cosí elementare giustizia sarà fatta, si troverà come per incanto che
voi tutti fate gran caso della nostra intelligenza politica e ne siete tutti
cosí persuasi che venite voi stessi a dimostrarci di essere tutti migliori gli
uni degli altri.
La iniziativa parlamentare, cosa
ormai dimenticata in Italia, risorge. Avete finalmente capito che le nostre
condizioni abbisognano di riforme, sentite finalmente vergogna di questa
barbarie che vegeta a fianco alla vostra civiltà e la deturpa; i progetti di
legge in nostro favore non vi fanno piú ridere; queste madri che comandano il
vostro rispetto, queste mogli che rivendicano la loro personalità e vogliono
essere nelle vostre case non piú gli angeli e le regine, ma in perfetta prosa,
creature umane colla giusta equazione fra i doveri e i diritti; queste
contribuenti che pagano anch'esse del proprio i pubblici servizi e vogliono
fruirne i vantaggi nella città, nella provincia e nello Stato; non vi sembrano
piú ridicole dacché avete avuto bisogno del loro voto, le trovate semplicemente
ragionevoli; non le qualificate piú fenomeni morbosi, ma piuttosto stupite che
non si siano ribellate molto tempo prima, quando serve esaltate od incoscienti,
o vegetavano in una stupida apatia, o combattevano e si sacrificavano per la
vostra libertà senza capire e senza volere la propria.
Restami ora a dire un'ultima parola
intorno all'inopportunità di questa innovazione ed è questa la parte piú
incresciosa del mio assunto, poiché se, discutendo le altre obiezioni, ho
dovuto rivolgermi alle diverse gradazioni dei partiti nazionali pei quali è piú
o meno discutibile il principio medesimo, per combattere questa mi è d'uopo
guardare alla democrazia, perché da lei sola, che per necessità di coerenza
ammette il principio, parte questa paurosa, illogica e vaga obiezione.
Che cosa è l'opportunità?
Per me l'opportunità è un concorso
di circostanze omogenee e compatibili con l'affermazione dell'oggetto che si
considera. Le circostanze omogenee in questo caso sono il trovarsi in esse i
requisiti che si esigono dagli elettori, la possibilità di seguire nella scarsa
misura convenevole gli avvenimenti politici, interessi e bisogni da guarentire,
la possibilità materiale di compiere l'atto del voto. Ora quale di queste
condizioni manca alla donna?
Io temo piuttosto che
l'inopportunità sia tutta nelle disposizioni dell'animo vostro, o nel non
esservi abbastanza convinti della identità dei principii che reggono le sorti
umane in ambo i termini della specie.
So che i re non hanno mai
creduto alla opportunità delle repubbliche, e i papi non hanno mai creduto un
momento alla opportunità del libero esame. Ma re e papi tengono le radici nella
tradizione ed in un ordine di idee assoluto, immutabile come il passato. Il
loro non possumus è la resistenza della logica. Ma Voi, con quale
diritto e con quale logica respingete le conseguenze pratiche di idee che sono
le ragioni dell'esser vostro?
Voi sapete tanto bene queste
cose che nel Febbraio del 1881 al Comizio dei Comizii votaste unanimi questo
ordine del giorno:
«Il Comizio dei Comizii
riconoscendo nel diritto del voto il diritto umano:
«Considerando che l'umanità è
costituita e rappresentata dall'uomo e dalla donna;
«Riconoscendo impossibile la
soluzione della questione sociale se non cessino per la metà del genere umano
le attuali condizioni di esclusione, di minorità e di assenza;
«Coerente ai suoi principii e
sollecito della giustizia che è l'utile di tutti;
«Riconosce, afferma e proclama
cosí nell'uomo come nella donna il diritto alla integrità del voto.»
Ora che cosa ha fatto essa la
democrazia per sciogliere l'impegno d'onore contratto verso i propri principii,
nel 1876 per mezzo del Ministro Cairoli e nel 1881 votando nel suo solenne
parlamento quell'ordine del giorno?
Nulla. Io vidi la democrazia
combattere per sé, individui e partito, non l'ho veduta lottare pei principii
sicché ha accreditato nell'animo di chi osserva spassionatamente l'idea che un
governo di sinistra non differisca da un governo di destra che per mutamento
d'uomini e di nomi, non già per un indirizzo diverso, quand'anche un uomo fra
le piú spiccate sue personalità non si fosse a quest'ora incaricato di
trapiantare in Italia un dispotismo africano.
Io faccio voti perché la
democrazia si desti dal suo torpore, faccia il suo esame di coscienza, e
riconosca che se piú che di spingere i suoi uomini al potere, le mordesse il
cuore la sollecitudine dei suoi ideali, ben altre sarebbero oggi le condizioni
degli italiani.
Noi non vedremmo in ogni atto
del potere legislativo una genuflessione, ed in ogni legge votata una
umiliazione od un balzello; non vedremmo l'apoteosi non interrotta degli
interessi dinastici; e la sconfitta incessante degli interessi popolari - non
vedremmo gl'interessi dei forti prevalere, prevalere sempre a scapito degli
interessi dei deboli, e il fasto politico passeggiare tronfio e chiassoso come
un sovrano orientale fra moltitudini impoverite ed affamate; e non vedremmo
correre alle urne una turba rurale, strumento incosciente di chiunque la
spadroneggia e la paga, mentre le vostre madri, le vostre spose e le vostre
figlie, colte ed intelligenti, vivono in condizione di paria e di iloti, senza
voce e senza rappresentanza, senza altra funzione nella famiglia, nella città e
nello Stato che quella di contribuire di persona e di borsa ed obbedire.
Faccio perciò formale invito
alla democrazia ed ai socialisti, e per primi ai sodalizii che mi hanno onorata
della loro chiamata di voler assumere l'impegno d'onore di imporre ai loro
candidati politici il mandato categorico e imperativo di presentare un progetto
di legge per il voto delle donne, e di patrocinarlo col maggiore impegno alla
Camera legislativa.
E convinta che lo farete, io mi licenzio da voi,
ringraziandovi dell'onore fattomi e sperando potere in un giorno non lontano
ringraziarvi a nome del mio sesso.
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