SCENA II.
Don Ignazio, Don Rodorico, Don Flaminio, Eufranone.
Don Ignazio.
Intendo, signor don Rodorico, che per accomodar il fallo di don Flaminio
l'avete ammogliato con l'altra sorella.
Don Rodorico. Io per
non partirmi dalle leggi del giusto e per non veder la disperazion di tuo
fratello, mi è paruto accomodarlo in tal modo.
Don Ignazio. Ma
non vuol la legge del giusto che per accomodar uno si scomodi un altro.
Don Rodorico. A
chi ho fatto pregiudizio io?
Don Ignazio. A
me, a cui la rimasta sorella si convenia per piú legittime ragioni.
Don Rodorico. Per
che ragioni?
Don Ignazio.
Prima, avendo io ingiuriato Eufranone, a me tocca la sodisfazione togliendo io la
rimasta sorella, ed egli allor sará reintegrato nel suo onore. Appresso,
restando io offeso da' suoi inganni e vituperevoli frodi, a me tocca
disacerbarmi il dolore con le nozze dell'altra sorella; ché niuna bastarebbe a
farmi partir dal cuore la bellezza, onestá, maniere e tante maravigliose parti
di Carizia, che sua sorella. Egli, che con tanta sceleratezza ha turbato il
tutto, sará rimunerato; ed io verrò offeso, che ho operato bene. Né convien ad
un occisor della sorella che divenghi marito dell'altra; e avendomi tolto la
prima moglie, non è convenevole che mi toglia la seconda; e tante e tante altre
raggioni, che se volessi dirle tutte non si verrebbe mai a capo.
Don Rodorico.
Caro figliuolo, non sapevo l'animo vostro: ho avuto pietá della sua vita come
una imagine della vostra; e stimava che a questo vostro fratello, ancorché
fusse vostra moglie, per compiacergli glie l'avessi concessa.
Don Ignazio. Il
voler tôr a sé e dar ad altri mi par cosa fuor de' termini dell'onesto.
Don Flaminio.
Ella è mia moglie; e non comporterò mi sia tolto quello con violenza che mi ho
procacciato per l'affezion del mio zio e acquistato con ragioni dal padre e con
la fede. Fatto il contratto, volete voi rompere le leggi del matrimonio?
Don Ignazio. Io
non rompo le leggi del matrimonio, ma difendo le mie ragioni con un'altra
legge. Ed io non patirò che un frettoloso decreto sia fatto con infame
pregiudizio dell'onor mio; e ti conseglio che lasci tal impresa, perché verremo
a cattivo termine insieme.
Don Flaminio.
Pazzo è colui che accetta consigli dal suo nemico: e meco venghisi a
qualsivoglia termine, ché con l'armi son per difendere quel che la mia sorte
m'ha donato; e te lo giuro da quel che sono.
Don Ignazio.
D'ingannatore e di traditore!
Don Flaminio. Don
Ignazio, se, mentre siamo vissuti insieme, t'ho fatto altro inganno e
tradimento fuor di questo, veramente son un ingannatore e traditore; se questo,
che ho fatto per amore, si ha da chiamar «tradimento», diffiniamolo con l'armi.
Don Rodorico. Don
Flaminio, tu parli troppo liberamente e fuor de' termini.
Don Ignazio.
Zio, voi ne sète cagione, ché la vergogna degli errori commessi, quando vi si
trapone autoritá d'uomo degno, diventa audacia. Si è fatto superbo per la mia
viltá, ché se per l'offesa fattami l'avesse dato il dovuto castigo, non saria
tale. Ma ella sará mia, o che tu voglia o non voglia; e diffiniamolo con
l'armi. E ti ricordo che alla vecchia tu aggiungi nuova offesa.
Don Flaminio. Chi
m'ha da tôr Callidora me la torrá per la punta della spada!
Don Ignazio. Grida
come se fusse ingiuriato e non avesse ingiuriato altri. Ma se m'hai vinto con
le forfantarie, non mi vincerai con l'armi; e vedremo se saprai cosí menar le
mani come ordir tradimenti.
Don Rodorico.
(Cercando accomodar uno, ne ho sconcio doi). Fermatevi, fermatevi! questo è il
rispetto che mi portate? questo cambio rendete a chi ve ha allevati e nodriti
come padre? non vi son io padre in etá e maggiormente in amore? cosí abusate la
mia amorevolezza?
Don Ignazio.
Zio, chi può soffrir le stoccate delle sue parole, che pungeno piú della punta
della sua spada? Ma io sarò giusto punitore dell'ingiuste sue azioni.
Don Rodorigo.
Ferma, don Ignazio! ferma, don Flaminio! Oh che confusione di sdegno e di
furore, oh che misero spettacolo d'un abbattimento di doi fratelli!
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